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 2015  settembre 26 Sabato calendario

OSLO È HOT


«Quando arrivo a Oslo rimango colpita. Se a Stoccolma è fatto tutto in modo che le persone non si tocchino, qui è tutto uno sgomitare. Leggere i dibattiti sui giornali norvegesi è uno choc, quanto fervore! I professori alla tv sembrano dei selvaggi, coi capelli arruffati e i vestiti non ortodossi. E a differenza che in Svezia, ogni deviazione dalla tradizione non è un errore o una mancanza», spiegava un amico allo scrittore norvegese Karl Ove Knausgård in uno dei sei volumi di La mia lotta, l’autobiografia che lo ha reso una popstar internazionale. Fino a qualche tempo fa, si poteva tranquillamente dire che Oslo era al 50% foreste, al 50% petrolio, scoperto negli anni 70 come i pantaloni a zampa d’elefante e servito a proteggerla dalla crisi del 2008. Adesso le percentuali sono da rivedere. La compagnia petrolifera Statoil ha un problema: i prezzi al barile sono crollati, le esportazioni dimezzate. Che fare? Qualcuno ha pensato che dalla Statoil si poteva passare alle startup. Altri che un 50% poteva essere caffè. Oggi è la città con la crescita più veloce d’Europa: dalla popolazione (il 2% all’anno) alle architetture che spuntano come funghi alla scena musicale (ha il nome di un fungo, la vescia, anche il duo dei Royksopp: elettronica, ma “calda”). Questa città è «la sorellina hardcore delle capitali scandinave», ti dicono: radici vichinghe, libera, trasparente, aperta.
La prova sono state le elezioni municipali del 14 settembre: Oslo ha dato una gomitata al governo conservatore norvegese in carica da due anni (la premier Erna Solberg, è nota anche per le gaffe in diretta tv, tipo infilarsi il telefonino nel reggiseno), mandato a casa il sindaco Fabian Stang (in carica dal 2007) e procurato alla formazione di destra anti-immigrati Progress Party (alleata dei Conservatori al governo) il peggior risultato elettorale degli ultimi 22 anni. I Laburisti hanno vinto con il 32%, i Verdi, che su scala nazionale avevano meno dell’1%, qui sono il terzo partito con l’8,1%. Come dice Marco Aime, discografico che ci ha vissuto, «Oslo è talmente piccola che la nicchia è già mainstream». E adesso i Verdi hanno in mano il swing vote, per decidere il prossimo sindaco.
La campagna elettorale era stata bollente sul tema dell’accoglienza dei profughi siriani. L’esito ha promosso i piani di accoglienza: «L’immigrazione va agevolata, noi possiamo aiutare l’Europa», dice il parlamentare verde Rassmuss Johansson che però spiega il successo del suo partito soprattutto con «le urgenze ecologiche, l’opposizione alle compagnie petrolifere che vogliono trivellare l’Artico. I 150mila esuberi previsti nel settore vanno ricollocati altrove: nelle biotecnologie e nelle nuove tecnologie digitali».
Lì Oslo va alla grande: se gli svedesi hanno Spotify, qui hanno creato «Wimp, che poi è diventato Tidal, e a febbraio se l’è comprato Jay-Z, che l’ha lanciato a New York con le varie Madonna e Rihanna «ma la base è a Oslo», spiega l’ex Ceo Per Einar Dybvik, nel frattempo impegnato nello Startup Lab. «È il più grande incubatore di tech del nordeuropea», dice il socio Rolf Assev, che a sua volta ha fondato Opera, il Google di Norvegia, 350 milioni di utenti mondiali, «eravamo dieci, siamo diventati 850, da 55 parti del mondo». Adesso stanno all’Oslo Science Lab, 70 compagnie al lancio, tutto su ruote (tavoli, armadi, scaffali), e alberelli in ufficio. «È simbolicamente vicino all’università. E c’è tanta richiesta per entrarci che non basta avere un’idea geniale. Dobbiamo rifiutarne quattro su cinque».
Dice che è stato «l’effetto nightclub: più è lunga la fila fuori, più se ne accodano. E con l’incertezza del futuro del petrolio, la speranza è nel tech». Ai colloqui chiede: «Se la Statoil offre un miliardo di dollari per la tua compagnia, gliela vendi?» Se dicono di sì, non sono fatti per questo mestiere. O vuoi i soldi subito, o sei un «unicorno» (l’imprenditore geniale).
«I petrolieri sono finanziati dal governo, noi siamo indipendenti, quindi più veloci», dice Kriszti Tòth, ungherese arrivata qui per un ex fidanzato biondo e rimasta per business, tra i fondatori di Mesh, altra «piattaforma di connessione e accelerazione», come la chiamano. «Siamo partiti da un investimento bassissimo e adesso ospitiamo 70 compagnie per 225 persone e una nuova ala è in costruzione. Il modello non è nuovo, qui a Oslo c’era la – bellissima – LiteraturHuset», con le stanzone che offrono uffici e divani gratis agli scrittori, 150 eventi l’anno (da Teju Cole a Linn Ullmann). «Abbiamo replicato il modello per chi aveva altri obiettivi».
Su oslobusinessregion.no c’è la mappa delle compagnie come la loro: sono 657, un bel traffico, per una popolazione che non arriva a 700mila abitanti (saranno 832mila nel 2040). E proprio nella capitale della Statoil è nato Meshcraft, «l’Airbnb dell’auto elettrica», sintetizza Asmund Frengstad, che ha l’ha messo su per far incontrare chi offre ricarica e chi la cerca. «Oslo è l’epicentro della mobilità alternativa, non c’è città al mondo che abbia più di un veicolo elettrico a testa come qui». «Se stai via un anno, quando torni ti imbatti (o sbatti) in cose mai viste», aggiunge Kriszti Tòth. Per esempio quando Jay-Z è venuto a ufficializzare l’accordo Tidal, lui e Beyoncé hanno pernottato al nuovissimo The Thief, il ladro (in omaggio al tizio che riuscì a rubare l’Urlo di Munch), il primo 6 stelle costruito rompendo la leggendaria jante, il mantra sociale norvegese che scoraggia pomposità e manie di grandezza.
Nella hall c’è un cowboy dipinto da Richard Prince, forse perché, dice lo scrittore Erlend Loe «i norvegesi sono i cowboy di Scandinavia». Il proprietario Petter Stordalen è un miliardario ambientalista pro-tasse come la moglie Gunhild, fisica, animalista, detti i Bill e Melinda Gates di Norvegia: adesso lui ha offerto 5000 notti gratis a rifugiati siriani in hotel della sua catena. Nella stessa isola ex malfamata, a Tjuvholmen, c’è l’Astrup Fearnley Museum di Renzo Piano, con il prato in riva al mare che si vede dalle vetrate e i ponticelli: niente di spaccone, un po’ mozzafiato sì.
Ovunque ti giri vedi i grattacieli del Barcode, autori gli MRVD, criticati dai tradizionalisti, ma sostenitori della crescita verticale in chiave di risparmio del suolo. Nel 2016 sarà pronta la “libreria del futuro”, la Deichman, dell’Atelier Oslo, a minima dispersione termica. E nel 2018 il Munch Museet accanto all’Opera House. «Costruita con lo skateboard in testa, potendoci planare sul tetto», ha scritto Robert Rosenberg sull’Atlantic, «è la prova che c’è un modo di pensare lo spazio pubblico che non sia la linea dell’architettura deterrente, anti-homeless, come a Londra dove hanno piantato spuntoni metallici sul marciapiede». Del resto è degli avventurosi Snohetta, che hanno progettato anche la Edward Munch High School, appena inaugurata, sui tram è pieno di manifesti iperpop che la promuovono. Speriamo che metta voglia di andarci, visto che la Norvegia ha un problema con l’alto numero di dropout che lasciano la scuola o hanno difficoltà a reintegrarsi nel mondo del lavoro. Lo dicono le statistiche, e lo ribadisce la manager del PS: Hotell, dove il personale è composto unicamente da chi ha perso il lavoro: «Li aiutiamo con un training che li rimetta sul mercato, gli faccia riacquisire fiducia in se».
Se fino a qualche tempo fa il simbolo della gentrificazione era l’apertura di uno Starbucks Coffee, Oslo è la prova che nel XXI secolo gli indicatori di cambiamento sono gli anti-Starbucks. Microrivendite di caffè selezionatissimo da piantagioni che il proprietario va a cercare personalmente. Come Tim Wendelboe, faccia alla Mad Men, che ci dà appuntamento nel suo bar di mattina prestissimo (a Grunnerlokka, va da sé) dove traffica coi misurini mentre un collega controlla l’acidità dei grani con l’Apple mac. Si è appena comprato una fattoria di 7 ettari a Huila, Colombia. Aveva cominciato come barista da Stockfleths, il pioniere della rivalutazione norvegese del filter coffee. I rivali sono spuntati, anche qui, come funghi: Supreme Roastworks, Mocca, Java. O il Fuglen, infilata di stanze in zona universitaria dove tutto è in vendita e pare di stare «nel soggiorno di tua nonna». Più che caffè e nightbar (ostriche e cocktail), una filosofia: Einar Holte lo chiama «approccio socialdemocratico al business, economia collaborativa, link tra vecchio e nuovo». In linea con la cosiddetta Flat-White Economy (saggio dell’economista Douglas McWilliams) su come il business del caffè sia connesso alle nuove professioni, da Londra a... Oslo.
Con la gentrificazione in corso, tuttalpiù il rischio è che scompaiano gli ostelli truci dei gialli di Jo Nesbo (li mostrano ai turisti negli Harry Hole tour). «L’amico Nesbo può cominciare ad ambientare i crimini negli appartamenti carini», suggerisce Erlend Loe, autore della serie tv Lotta per l’esistenza: «In un episodio un adolescente si inventa un’app, diventa milionario, e compra l’appartamento dei suoi genitori che stanno divorziando. Un testimonial della nuova Oslo», ride Loe.
Per dirla con la 15enne Elise By Olsen, blogger superstar internazionale, dalle 8 alle 15 a scuola e per il resto del tempo impegnata a dirigere la sua rivista online Recens: «Prima eravamo solo pesci e petrolio, sai che palle». Non più.