Luca Castaldini, SportWeek 26/9/2015, 26 settembre 2015
PARMA ÜBER ALLES
Taffarel, Donati, Gambaro... «Primo anno di Scala in A, 1990-91». Gandini, Murelli, Davin... «’84, promozione in B, allenatore Marino Perani». Si potrebbe continuare all’infinito, tanto Marco Ferrari – al pari di un interista con “Sarti, Burgnich, Facchetti” o di uno juventino con “Zoff, Gentile, Cabrini” – le saprebbe tutte. E a ogni risposta, nonostante il suo nuovo ruolo istituzionale di vicepresidente del Nuovo Parma 1913 e tutto il teorico distacco che ne consegue, continuerebbe ad accendersi nel pronunciare, mentre gli occhi gli si illuminano, i nomi dei suoi eroi laici, in maglia un po’ gialloblù e un po’ crociata.
Orgoglio, allora. Parma-città, sportivamente “stuprata” – perché è questo il termine più ricorrente utilizzato dai tifosi all’ombra del Duomo e del Battistero per definire le vicende dell’ultimo anno calcistico – è ripartita dai Dilettanti mossa da un sentimento impetuoso, quasi mezzo secolo dopo il primo fallimento e la scoperta delle serie (molto) inferiori. All’epoca ne scaturirono due società, Parma FC 1913 e Parmense, che poco dopo si unirono recuperando la dignità del campo con la promozione in B del ’73. Adesso il precipizio è stato ben più profondo e la caduta negli inferi dolorosissima: nel recente passato c’è stata una Serie A abitata spesso ai piani alti per 24 degli ultimi 25 anni, le coppe europee, la lotta per lo scudetto e i tanti fuoriclasse passati di qui. La squadra allenata da Malesani che vinse a Mosca la Uefa 1999, più che la formazione di una città di 180 mila abitanti, sembrava il Resto del mondo: Buffon, Thuram, Sensini, Cannavaro, Vanoli, Boghossian, Dino Baggio, Fuser, Verón, Chiesa, Crespo; più Balbo e Asprilla a mo’ di “rincalzi”. C’era voluto nel 2003 il crac finanziario più imponente della storia, quello da 14 miliardi della Parmalat, per chiudere un’epoca d’oro.
Con il 2015 è invece arrivata la scudisciata della retrocessione in B, il fallimento (per il quale l’ex patron Tommaso Ghirardi è indagato per bancarotta fraudolenta e l’ex d.g. Pietro Leonardi per concorso nel medesimo reato) e la ripartenza forzata dalla D. Oggi c’è un club con 9.700 abbonati, una luna di miele tra imprenditoria (i sette soci che compongono la nuova proprietà sono tutti parmensi) tifosi e territorio e una partenza di campionato con 4 vittorie in 4 partite. Soprattutto, c’è un club strutturato secondo logiche nuove, competenza e quella cosa lì, l’orgoglio. Dietro il new deal alla parmigiana, c’è l’eureka! proprio di Ferrari, 43 anni, tre figli e imprenditore specializzato in start-up digitali. «Durante i mesi che hanno preceduto il fallimento, qualunque persona che avesse a cuore il calcio della città si è sentita umiliata», esordisce. «La notizia del club venduto per un euro (da Ghirardi al petroliere albanese Rezart Taci; ndr) ha fatto il giro del mondo. Anche questo ha aumentato il senso di responsabilità da parte dell’imprenditoria locale, convinta di poter trasformare sensazioni di rabbia e frustrazione in un’occasione di riscatto. Parma ha rappresentato la punta dell’iceberg di una roba che fa schifo? Ok, abbiamo alzato la mano e abbiamo detto: è giusto ripartire dalla D, siamo stati i “rappresentanti” di quello che è il calcio oggi ma adesso vorremmo (ri)diventare quelli di una storia diversa. E la gente ha capito che stiamo seguendo questo percorso».
Siamo più o meno a febbraio: Ferrari, tra i soci di Ghirardi fino al 2013 quando se ne andò dal club non senza sbattere la porta, chiama gli amici Guido Barilla e Paolo Pizzarotti spiegando loro come immaginava il Parma del futuro ritenendo impossibile che qualche ricco scemo sbarcasse dalle parti del Teatro Regio per investire 60 milioni e acquistare un club avviato alla B. «L’ispirazione ce l’ha data il modello Bundesliga, dove dal 1999 nessun azionista può detenere più del 50% della proprietà del club, novità che evita a una società di essere legata alle lune o ai fallimenti di un singolo investitore». Quando a Barilla e Pizzarotti, convinti dalla bontà del progetto, si affiancano altri importanti imprenditori del territorio come Giampaolo Dallara, Mauro Del Rio, Angelo Gandolfi e Giacomo Malmesi, l’Everest in salsa crociata comincia a sembrare un po’ meno inviolabile. «Questi sette soci detengono circa il 75%, poi c’è il 25% circa di un embrione di azionariato diffuso, arrivato per ora a 300 sottoscrizioni. La società è gestita da un Cda: la maggioranza esprime quattro consiglieri e il 25% due. Nevio Scala («Il suo entusiasmo e il suo amore per questa città sono stati fondamentali, senza di lui non saremmo mai partiti», confessa Ferrari) è il presidente, di garanzia e tutt’altro che nominale. I due manager sono Luca Carra per la direzione generale e Lorenzo Minotti (il capitano del Parma Anni 90; ndr) per l’area sportiva».
A metà primavera, al netto della rabbia mai svanita verso la vecchia dirigenza e dello spettro ormai reale di un ritorno tra i dilettanti dopo 47 anni, le notizie ufficiose sul Nuovo Corso si rivelano per la piazza la luce in fondo a un tunnel di piccoli dubbi (questo erano a fine 2013) diventati preoccupanti probabilità (un anno dopo) e poi mortifere verità (il fallimento viene dichiarato il 19 marzo) sul futuro del Parma. «All’inizio si sentiva dire che il giardiniere del Tardini o il fruttivendolo del catering e poi sempre più fornitori iniziavano a non essere pagati dalla società», ricorda Corrado Marvasi, abbonato dal 1959 e per questo, oltre alla sua traboccante simpatia, riconosciuto come “il” tifoso del Parma. «All’inizio si pensava che non fossero vere, poi però si sono moltiplicate. Quando è scoppiato il caso dell’esclusione dall’Europa League per il mancato pagamento dell’Irpef, si è capito che qualcosa si era rotto per davvero».
Tra gli scempi ereditati dalla nuova dirigenza, c’è quello emblematico del settore medico del centro sportivo. «Oggi possiamo dire che, pur essendo in Serie D, i giocatori del Parma sono seguiti come i loro colleghi di A», spiega Giulio Pasta, coordinatore dello staff medico. «Se penso a quello che c’era, anzi, non c’era a giugno... Parlo dei macchinari venduti all’asta o di quelli impossibili da utilizzare perché i fornitori, non pagati da tempo, si rifiutavano di ripararli. La volontà della società, chiamiamola pure lungimiranza, è stata quella di far tornare tutto com’era prima, così da non farsi trovare impreparata il giorno in cui, spero molto presto, si riuscisse a tornare tra i professionisti». La bontà del progetto messo in piedi da Ferrari e la partecipazione di un’istituzione qual è in città Guido Barilla è certificata da almeno un paio di considerazioni. La prima riguarda la risposta dei tifosi, con: le trasferte in scooter in provincia per le amichevoli di agosto; il corteo di accompagnamento della squadra dall’hotel al Tardini, prima di Parma-Villafranca, come ai tempi di Prandelli; i 500 spettatori ai primi allenamenti; le infinite serate, tra premi e beneficenza, organizzate per Scala, Apolloni e i giocatori. «Vorrà dire che, nonostante la delusione del salto in D, le nostre trasferte saranno ancora di più all’insegna del motto “Il fisico non deve soffrire”», sorride Marvasi, che già elenca baccalà alla vicentina e costate nei menù dei pranzi delle prime trasferte effettuate, ad Arzignano e al Mugello. L’altra considerazione riguarda quanto già oggi la società ha realizzato o ha annunciato di voler fare a breve. «Intanto l’investimento per organizzare un servizio di quattro navette gratuite, dalla provincia e fino al Modenese e al Mantovano, a disposizione dei ragazzi delle giovanili», spiega Ferrari che, insieme al board, ha già brindato per la trasmissione di tutte le gare dei crociati su Sky. «Poi è stato deciso che tutte le squadre, dai Pulcini alla D, e compresa la neonata femminile che partirà dalla C, si alleneranno a Collecchiello. Il bambino in un campo, capitan Lucarelli e gli altri in quello vicino, il senso di appartenenza secondo noi si crea anche così».