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 2015  settembre 26 Sabato calendario

LA LUNGA CORSA OLTRE I LIMITI UMANI


Lunedì compirà un anno uno dei record più “giovani” e incredibili dell’atletica moderna: il 2h02’57” con cui il keniano Dennis Kimetto è diventato il primo uomo a scendere sotto la barriera delle 2h03’ nella maratona. Eravamo lì a Berlino quando il formidabile Kimetto, che non ha ancora recuperato da quella fatica, realizzò l’impresa e sul traguardo il suo manager Gerard van de Ween fu perentorio sulla possibilità che un giorno l’uomo potrà scendere sotto le 2 ore: «Se succederà noi non lo vedremo perché saremo già morti». Possibile che serva aspettare più di 50 anni per un incremento di meno di 3 minuti visto che l’ultimo progresso analogo (dalle 2h06’05” di Da Costa nel ’98 alle 2h02’57” di Kimetto) è arrivato in soli 15 anni? Non tutti la pensano così anche se in molte specialità dell’atletica il tempo sembra essersi fermato. Basti pensare al più vecchio record europeo delle specialità olimpiche che, dopo il primato dell’olandese Dafne Schippers nei 200 metri ai Mondiali di Pechino (21”63), è diventato il mitico 19”72 che lo scorso 12 settembre ha compiuto 36 anni. Uno dei tanti esempi che dimostra l’invecchiamento dei primati atletici, anche a livello mondiale, che nel nuovo millennio hanno subito pochissimi ritocchi. Nelle specialità della pista solo 9 primati individuali maschili e 7 femminili sono stati realizzati dopo il 2000 con un netto contrasto fra i progressi dello sprint maschile, dove anche le spallate di Usain Bolt sono state determinanti, e il settore dei concorsi (specialmente i lanci) dove regna la stagnazione. Che l’uomo (e la donna ovviamente) abbiano raggiunto i limiti in molte specialità dell’atletica? Niente di tutto questo. Inutile nascondere che l’improvviso incremento delle prestazioni negli Anni 80 e 90 sia stato il frutto di tre fattori: l’evoluzione dei materiali tecnici (piste e attrezzature); la pesante incidenza dell’uso di sostanze dopanti mai sanzionate (basti pensare alla Germania Est) che suggerirebbe a qualcuno (e anche a noi) di azzerare tutti i primati dei lanci, a meno che non ci abbiano già pensato le novità tecniche (giavellotto e martello femminile); lo scarso sviluppo di alcune specialità, soprattutto nel settore femminile, che in quell’epoca sono state semplicemente portate all’altezza delle gare più frequentate.

NEL NUOTO, UN’ALTRA MARCIA
Qui diventa interessante il paragone fra atletica e nuoto, che hanno marciato e continuano a marciare su binari diversi proprio in relazione al ritardo storico dell’attività acquatica. In uno studio realizzato dalla Gazzetta negli Anni 80, ma sempre attuale, il dato risultava evidente: mettendo a confronto la media dei record mondiali maschili di distanze che registrano tempi analoghi nel nuoto e nell’atletica (quindi più brevi in acqua, più lunghe in pista) avevamo visualizzato il progressivo recupero compiuto dai primatisti del nuoto rispetto a quelli dell’atletica. Compensazione dovuta a fattori fisiologici ma anche storici perché il nuoto ha un’evoluzione più recente legata anche all’adeguamento degli impianti ed è ancora impegnato a compensare i ritardi tecnici. Da tutto questo possiamo concludere non tanto che l’uomo è vicino ai suoi limiti più in terra che in acqua, ma che l’evoluzione dei nuotatori è in ritardo rispetto a quella degli atleti. Non per niente quest’anno ai Mondiali di atletica a Pechino è caduto un solo record mondiale (nel decathlon a opera del fenomeno Ashton Eaton) e a quelli di nuoto a Kazan ben 5 (50 rana maschili, 800 e 1.500 stile libero, 100 farfalla e 200 misti femminili).
Nella storia dell’atletica la pietra miliare (lo dice il nome stesso) dell’evoluzione umana è rappresentata, più ancora che dal primo 10” netti (Armin Hary a Zurigo nel 1960) o dal primo 9”9 (Jim Hines a Sacramento nel ’68) nei 100 metri, dal primo crono sotto la barriera dei 4 minuti nel miglio: lo stabilì l’inglese Roger Bannister il 6 maggio 1954 a Oxford con 3’59”4. Curioso anche il caso del giavellotto, con cui il tedesco orientale Uwe Hohn il 20 luglio 1984 superò per primo la barriera dei 100 metri (104,86) ma fece scattare un allarme sui pericoli di una gittata così lunga al punto da indurre la Iaaf a spostare all’indietro il baricentro dell’attrezzo in due occasioni per ridurre la portata dei lanci.

LE PROSSIME BARRIERE
Ma quali sono le barriere dell’atletica e del nuoto che l’uomo ha a portata... di mano? Sembra incredibile ma, a parte le 2 ore della maratona, non ce ne sono molte. Nell’atletica il muro più vicino sembra quello dei 9 metri nel lungo maschile, anche se il primato di 8,95 con cui Mike Powell nel ’91 ai Mondiali di Tokyo ritoccò il mitico 8,90 di Bob Beamon a Città del Messico ’68 negli Anni 2000 è rimasto lontano di oltre 20 centimetri. Se vogliamo, una barriera seppur poco significativa ci sarebbe nei 1.500, dove il primato è ancorato al 3’26”00 stabilito dal grande Hicham El Guerrouj a Roma nel ’98 ed è stato più volte attaccato dal keniano Asbel Kiprop, rinvigorito dal titolo mondiale conquistato quest’anno a Pechino. Ancora più lontane le barriere del nuoto, che ha un’evoluzione superiore all’atletica ma ha già bruciato tutte le “tappe” principali. Il muro del minuto è rimasto in piedi solo nella specialità più lenta, i 100 rana, dove la donna più vicina alla barriera è la lituana Ruta Meilutyte che ai Mondiali di Barcellona 2013 l’ha nuotata in l’04”35. Ma 4 secondi non sono pochi visto che per scendere dei precedenti 4”35 ci sono voluti 34 anni. Fra i candidati a far cadere il muro dei 14’30” nei 1.500, oltre al cinese Sun Yang (14’31”02), c’è anche il nostro Gregorio Paltrinieri, che a Kazan ha portato il primato europeo a 14’39”67.