Diego Gabutti, ItaliaOggi 29/9/2015, 29 settembre 2015
DEI KILLER PSICOPATICI DI STEPHEN KING NON SE NE PUÒ FRANCAMENTE PIÙ. SONO FATTI CON LO STAMPINO, TUTTI CATTIVI, TUTTI DESTINATI A MORIR MALE
A differenza di Roberto Saviano, che plagia gli articoli altrui e copia-incolla le voci di Wikipedia, e se poi glielo fate notare vi beccate del «camorrista oggettivo», Stephen King plagia solo se stesso, o meglio si ripete, rivisitando, trent’anni dopo, una vecchia trama, quella di Misery, Sperling & Kupfer 2014, la storia terrificante della lettrice sciroccata che sequestra uno scrittore, colpevole d’avere ucciso il suo personaggio preferito, Misery, in un romanzo appena pubblicato, e lo costringe a resuscitarla scrivendo, con una pistola puntata alla nuca, un nuovo romanzo. Chi perde paga (Sperling & Kupfer 2015, pp. 469, 19,90 euro) è di nuovo un romanzo su un lettore disturbato e uno scrittore di culto.
Prima d’essere ucciso da un fan psicopatico, un giovane delinquente irlandese che non ha digerito gli sviluppi della storia di Jimmy Gold, diventato un integrato da quell’apocalittico che era nell’ultimo volume della «trilogia» detta appunto «di Jimmy Gold», John Rothstein era finito sulla copertina di Time come una specie di J.D. Salinger: «il genio misantropo a stelle e strisce». Da vent’anni cincischiava intorno a due nuovi episodi della saga, accumulando nella cassaforte taccuini su taccuini, ma senza riuscire a combinare niente, sempre come Salinger con la sua famiglia Glass.
Morris Bellamy, il suo assassino e fan più acceso, prima lo uccide e poi gli ruba i taccuini, che seppellisce in un bosco, deciso a farne qualcosa prima o poi, ma le cose hanno la tendenza complicarsi quando si è un killer psicopatico e così Morris, o «Morrie» come lo chiama chi sta cercando guai, finisce in galera per qualche orribile reato e ci resta per trent’anni.
Ma ecco che quando sta per uscire di galera un adolescente con genitori in crisi (causa la crisi dei subprime del 2008 e i posti di lavoro che svaniscono come satanassi e fantasmi alle prime luci dell’alba in una storia di King) s’imbatte per caso, vagando di malumore per il bosco, nel baule che contiene i taccuini di Rothstein.
Comincia di qui un’altra storia di Stephen King, anch’essa parte d’una trilogia, iniziata l’anno scorso col fortunato e spaventoso Mr. Mercedes (Sperling & Kupfer 2014). È la trilogia di Bill Hodges, anziano poliziotto a riposo, e dei suoi aiutanti, Holly Gibney e Jerome Robinson. S’attende, per il settembre prossimo più o meno, il terzo volume della serie. È annunciato anche un serial televisivo.
Comincia, dicevo, un’altra storia di Stephen King, ma la verità, naturalmente, è che comincia la solita storia di Stephen King. E non perché Chi perde paga è un remake (più splatter) di Misery. Sono i personaggi di King, che di personaggi vivi e reali è stato sempre generoso, a essere sempre più stereotipati e di maniera. Dei killer psicopatici di Stephen King non se ne può francamente più. Sono fatti con lo stampino: tutti giovani, tutti cattivi, tutti pervertiti, tutti destinati a morir male. Non se ne può più neanche degli eroi ultrasettantenni che King (da quando non è più un giovanotto nemmeno lui) mette al centro delle sue trame.
È sempre questa la storia che King ha raccontato negli ultimi vent’anni (più o meno dai tempi del Miglio verde).
Nessuno rimpiange l’horror kinghiano, perché era diventato ormai banalotto e (quel che è peggio) new age. Ma anche il thriller mostra ormai la corda. Che nostalgia del King geniale e senza eguali di It (Sperling & Kupfer 2013) e di Stand By Me (che trovate in Stagioni diverse, Sperling & Kupfer 2014, forse la più bella antologia di racconti della moderna letteratura americana).
Diego Gabutti, ItaliaOggi 29/9/2015