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 2015  settembre 27 Domenica calendario

E DICONO CHE SONO UN IMPOSTORE

[Conversazione tra Hans Magnus Enzensberger e Hans Ulrich Obrist] –
HANS ULRICH OBRIST — Per prima cosa vorrei raccontarle il progetto a cui sto lavorando e di cui «la Lettura» ha scritto in passato: si tratta della crescente scomparsa della scrittura a mano nel nostro tempo. Tutto è incominciato con Umberto Eco, che ho incontrato ancora di recente a Milano. Nel 2009 aveva pubblicato sul «Guardian» un articolo in cui analizzava il modo in cui la scrittura a mano va sempre più sparendo.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Nel frattempo questa si è trasformata in una questione burocratica. I burocrati della cultura vorrebbero eliminare la calligrafia per questioni, così dicono, di difficoltà di decifrazione, e per il bene di questi «poveri bambini» che sarebbero così stupidi da non riuscire nemmeno a scrivere a mano.
HANS ULRICH OBRIST — E questo ha effetti catastrofici.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Naturalmente.
HANS ULRICH OBRIST — È il motivo per cui ho avviato questo progetto in internet. E per la stessa ragione il progetto diventerà un libro. Ogni giorno su Instagram vengono pubblicate frasi di scrittori, intellettuali, filosofi e artisti figurativi che celebrano la scrittura a mano. Eco per esempio ha scritto: «Are we still able to write by hand? I don’t know. Now I check». «Siamo ancora capaci di scrivere a mano? Non lo so. Ora controllo».
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — (ride) .
HANS ULRICH OBRIST — Invece Daniel Silver ha scritto: «My hands are cleverer than my brain». «Le mie mani sono più intelligenti del mio cervello».
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Anche questa è buona.
HANS ULRICH OBRIST — Vorrei dunque invitare anche lei a scrivere una frase a mano e a partecipare a questa protesta contro la scomparsa della scrittura a mano. Lei scrive a mano i suoi testi, non è vero?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Accade per gradi. Ma il primo gradino è sempre uno scarabocchio. Poi si procede attraverso i vari strati fino alla macchina per scrivere e alla stampa, o anche fino al monitor del computer. Da qualche parte si va ad approdare, certo.
HANS ULRICH OBRIST — Eco mi ha inviato anche dei disegni fatti di suo pugno. Ad esempio ha disegnato delle cartoline. Anche lei fa schizzi? Disegna qualche volta?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Sì. Ma non sono un disegnatore di talento. Lo faccio solo per me stesso. Mi guarderei bene dal mostrare queste cose, che sono naturalmente molto dilettantesche. Ma per me sono sufficienti. È come un bozzetto. Gli artisti e gli architetti hanno sempre scarabocchiato e pasticciato, un tempo.
HANS ULRICH OBRIST — Ed è così anche per lei?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Certo, naturalmente. Ma è sempre qualcosa di provvisorio.
HANS ULRICH OBRIST — E questi manoscritti, che per lei stanno all’inizio del processo di scrittura, li conserva ancora?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Ma no, butto via tutto.
HANS ULRICH OBRIST — No!
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Sì invece. Non archivio me stesso. Non credo a queste cose. Il mondo deve anche dimenticare. Non si può conservare tutto. Si dovrà pur alleviare il mondo!
HANS ULRICH OBRIST — Questo è un grosso problema anche su Google, il fatto cioè che non si possa più dimenticare, che non vi sia un diritto all’oblio.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Io però sono piuttosto ottimista. Perché, dal momento che i sistemi operativi cambiano ogni cinque minuti, ci sarà anche un processo automatico di dimenticanza. Tanti testi non potranno più essere convertiti. All’oblio si sarà dunque già provveduto in qualche modo.
HANS ULRICH OBRIST — Non dobbiamo preoccuparci allora?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — No. Per esempio non esiste più la macchina in grado di leggere certi nastri magnetici conservati nei National Archives di Washington. E vogliamo parlare dei dischetti floppy? Possiamo tranquillamente buttarli nel cestino. Quello che però è stato scritto con un buon inchiostro sulla pergamena si può conservare per migliaia di anni.
HANS ULRICH OBRIST — Con la scrittura a mano scompaiono anche gli scambi di lettere. È un dramma, non si ricevono più lettere per posta. Lei intrattiene scambi epistolari?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Ho sempre scritto molte lettere. Ma quella di cui lei parla è una perdita che risale molto indietro nel tempo. Prendiamo per esempio i romantici: non avevano il telefono. Questo significa che ogni sera aspettavano regolarmente il passaggio del postale per consegnargli le ultime pagine scritte al volo e destinate all’amata o all’amico o a un socio in affari. Dovevano per forza comunicare per iscritto perché non c’era il telefono, e nemmeno il telegrafo.
HANS ULRICH OBRIST — Significa che l’inizio della scomparsa delle lettere risale ancora più indietro.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Naturalmente. Il primo colpo lo ha sferrato il telefono.
HANS ULRICH OBRIST — In letteratura e nell’arte però si pubblicano sempre epistolari. Io ad esempio ho di recente pubblicato il mio carteggio con Maria Lassnig, uno scambio proseguito per decenni.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Ma questi lunghi scambi nel frattempo sono già diventati archeologia. È vero che si pubblicano carteggi, ma ciò avviene presumibilmente perché non ve ne sono più di nuovi. Sono un po’ come la Stele di Rosetta, si tratta di un fenomeno archeologico.
HANS ULRICH OBRIST — E lei ha mai pubblicato i suoi epistolari?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Non mi preoccupo affatto di queste cose, non mi interessano. Lo faranno forse altri. Ci saranno dei filologi. Rispetto il loro lavoro, ma vorrei evitare di preoccuparmi della posterità.
HANS ULRICH OBRIST — Perché il pensiero dei posteri ci blocca in ciò che possiamo fare nel presente?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — A parte questo, la posterità farà quello che vuole. Non abbiamo alcun controllo su di essa.
HANS ULRICH OBRIST — È quello che Gerhard Richter dice sempre dei suoi dipinti: perché pretendiamo di controllarli? I quadri sono come i figli ormai cresciuti che si devono lasciare andare per la loro strada nel mondo.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — (ride) . Sono d’accordo.
HANS ULRICH OBRIST — Ancora una cosa vorrei chiederle a proposito dell’archivio: lei dice di non archiviare le sue cose. Prendendo però ad esempio il suo libro Album ho come l’impressione che consista di diversi materiali che vi vengono come archiviati.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Credo che sia un po’ come per la meteorologia. Per esempio quando nevica. Ci sono degli accumuli, delle sedimentazioni che però non dureranno per sempre. Si sciolgono e scompaiono. Rimangono tuttavia dei sedimenti. Anche una biblioteca non è nient’altro che un deposito. Ognuno ha il proprio deposito. L’«album», in effetti, è già nella testa. Si dice a se stessi a proposito di qualcosa: «Non potrei esprimerlo meglio di quanto non abbia già fatto Mr X cinquecento anni fa; lo ha formulato meravigliosamente, e una formula migliore io non potrei trovarla». Esiste anche questa sorta di scrap-book come si dice in inglese, o Sudelbuch , come i brogliacci in cui Lichtenberg buttava giù i suoi aforismi. Sono pieni di citazioni: Lichtenberg ha ripreso tante cose anche da altri.
HANS ULRICH OBRIST — Anche una copia, una citazione, un’appropriazione rientra nel processo creativo. Lo sa che la scorsa primavera l’ho vista qui a Monaco alla mostra rococò Mit Leib und Seele («Con il corpo e con l’anima»)? Era profondamente immerso nella contemplazione di un disegno, non ho voluto disturbarla.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — (ride) . Alle mostre d’arte si vedono cose meravigliose. In particolare gli schizzi. Gli studi sono spesso più belli dell’opera compiuta. I bozzetti, questi disegni a penna sono realizzati con una tale libertà ed esuberanza…
HANS ULRICH OBRIST — Va spesso alle esposizioni artistiche?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Sì, vado a vedere quello che mi interessa.
HANS ULRICH OBRIST — E ha mai collaborato con artisti? Spesso la letteratura nasce dalla collaborazione di artisti figurativi e scrittori.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Occasionalmente faccio cose di questo tipo, quando si crea una particolare alchimia. Un artista c’è in effetti — ma se ne sta piuttosto in disparte rispetto ai grandi mercati dell’arte. È un amico con cui collaboro volentieri, si chiama Jan Peter Tripp. Un vero virtuoso. Fa, tra l’altro, lavori fotorealistici. Ma nel suo background ci sono molte tradizioni. Lavora in diversi campi.
HANS ULRICH OBRIST — Dove vive?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — In Alsazia, e non ha bisogno di nessun gallerista perché ha tutta una schiera di collezionisti. Per i suoi lavori ci sono addirittura liste di attesa. Non va alle fiere dell’arte a Miami o a Basilea, perché ha tutto un suo giro particolare. E lo pagano bene. È un tipo intelligente. E ci intendiamo alla perfezione.
HANS ULRICH OBRIST — Ci sono altri artisti con cui collabora?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Un tempo ce n’erano. Ho bighellonato un po’ in giro. Ma faccio anche oggetti di mio.
HANS ULRICH OBRIST — Costruisce oggetti?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Faccio cose di ogni sorta. Mi diverto. Una certa fama si è conquistata un marchingegno che ho costruito tempo fa: un Poesieautomat , cioè un distributore automatico di poesie, una sorta di juke-box. Si trova al museo della letteratura di Marbach. È una macchina che produce componimenti. Lo fa grazie a un complicato programma basato sul calcolo combinatorio.
HANS ULRICH OBRIST — E cosa ne è delle poesie che compone?
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Scompaiono di nuovo. È molto semplice: lei entra nel foyer di Marbach, e lì si trova quella macchina. Appare come un tabellone per gli annunci, un po’ come negli aeroporti. E c’è un bottone. Chiunque si faccia avanti può premerlo, le lettere cominciano a girare sferragliando e si forma una poesia. In tutto questo naturalmente non è chiaro se l’autore sia io, o colui che ha premuto il bottone, oppure se non vi sia affatto un autore. In ogni caso il visitatore ha l’impressione che la poesia abbia qualcosa a che fare con lui. Comunque, quando arriva il visitatore successivo, il testo precedente scompare e non lo si rivedrà mai più, perché ci sono miliardi di varianti e un testo esattamente identico non ricomparirà tanto in fretta.
HANS ULRICH OBRIST — Però si può fare una foto.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Certo, si può fare anche questo. Ognuno può fare quello che vuole. La macchina è stata finanziata dal collezionista Reinhold Würth ed è stata piuttosto costosa. L’ha esposta anche nel suo museo a Schwäbisch-Hall. Ma io non premo per introdurmi sulla scena dell’arte. È un ambiente in cui non piacciono gli outsider. I galleristi dicono: «Che cosa? Costui non ha un gallerista? Ma allora è un criminale». I galleristi chiedono il cinquanta, sessanta per cento, e io non ho alcun gallerista. Dunque sono un impostore (ride) .
HANS ULRICH OBRIST — Anche il suo Album ha a che fare con l’arte. Nel mio mondo lo chiamerei un libro artistico.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — E va bene, diciamo che ho un occhio per queste cose. Di tanto in tanto ho fatto anche dei libri d’arte. Ma penso che cose simili mi piacciano solo in parte, perché non amo le illustrazioni che siano semplicemente una ripetizione. Se su una pagina sta scritto qualcosa, e sulla pagina accanto vi è un’immagine che rappresenta esattamente la stessa cosa, allora non voglio quell’immagine. Fatalmente, infatti, essa distruggerà la capacità di rappresentazione del lettore. Se ci dev’essere un’immagine, dovrà rappresentare qualcosa di completamente diverso di quanto non stia già nel testo.
HANS ULRICH OBRIST — Però può anche accadere che l’artista e lo scrittore collaborino, come è accaduto per i surrealisti o nel Dada.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Ho appunto appena fatto qualcosa di molto divertente con un giovane artista. Insegna alla Städelschule di Francoforte e si chiama Jonathan Penca. Mi ha mostrato un paio di disegni che mi sono piaciuti. Allora gli ho mandato una storia, per la quale ha realizzato delle illustrazioni assolutamente pazzesche. E non vi appariva mai la stessa cosa di cui si diceva nel testo.
HANS ULRICH OBRIST — Insomma ha continuato a pensare, spingendosi oltre il suo testo.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Sì, ha fantasia. E ne è nato un libretto pubblicato da Insel Verlag: Verschwunden! («Sparito!»). Penca fa anche installazioni e film. Non è un tipo rigido, bloccato in un unico settore. Ha diciannove o vent’anni, mi piace l’idea di offrire una rampa di lancio a qualcuno.
HANS ULRICH OBRIST — Ciò che mi interessa molto, a proposito della collaborazione con gli artisti, è che spesso il libro stesso venga considerato un’opera d’arte. In letteratura ciò accade piuttosto di rado. Ma alcuni architetti, come Le Corbusier o Rem Koolhaas, spesso hanno concepito i libri come delle opere d’arte, dunque hanno visto il libro come un medium. E lei fa parte dei pochissimi scrittori che fanno la stessa cosa anche in letteratura, che contribuiscono, cioè, a ripensare la forma del libro.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Credo che anche noi scrittori dobbiamo farci venire in mente qualcosa di nuovo. Ai giornalisti piace tanto sostenere la tesi della «fine del libro», della «fine della scrittura», della «fine dell’autore» o di chissà cos’altro. Se ne fa un gran dire. Nella maggior parte dei casi sono giudizi avventati. Si può certo farsi venire in mente qualcosa. Di recente, per esempio, ho preparato un piccolo calendario uscito in questi giorni da Suhrkamp. L’autore immaginario dei pensieri che vi sono raccolti è «Kilroy» come «Kilroy Was Here». Per un anno intero ho pubblicato ogni giorno sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» un pensiero di tre righe.
HANS ULRICH OBRIST — Li ho letti, erano, per così dire, delle piccole infiltrazioni sulle pagine del giornale.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Sì, erano pensieri in terzine, piccoli componimenti di tre versi, nello stile degli haiku. La «Faz» li pubblicava ogni giorno. E adesso ne abbiamo fatto un calendario, anche un Daumenkino , un libro stroboscopico in cui le immagini, sfogliando rapidamente le pagine con il pollice sul margine, appaiono in movimento.
HANS ULRICH OBRIST — Ecco, questa riflessione sul libro accade anche nel caso di Album . Il libro appare appunto come uno scrap-book , non lo si legge in modo lineare, è una specie di jumping universe dove, leggendo, ci si può muovere saltando da una pagina all’altra.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Sì, Album è un libro senza numeri di pagina! In questo caso il mio compagno di avventura è stato Franz Greno, il più acuto tipografo che ci sia in Germania. Con lui ho lavorato per vent’anni in qualità di editore per pubblicare la cosiddetta Andere Bibliothek , «L’altra biblioteca». Solo Greno avrebbe potuto farla. Dei libri della collana ha configurato ogni singola pagina al computer. Là non vi erano frasi automatiche. È stato un progetto molto dispendioso.
HANS ULRICH OBRIST — Ho l’impressione che lei inclini a un lavoro straripante. Che abbia uno stile enciclopedico.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — È così, preferisco l’eccesso alla parsimonia. Non sono affatto un asceta, nemmeno un puritano. Non potrei esserlo. Forse è un peccato, perché ci sono anche grandi asceti (ride) .
HANS ULRICH OBRIST — Una cosa, però, per concludere, mi preme chiederle riguardo a quel progetto sulla scrittura a mano di cui abbiamo parlato all’inizio. Potrebbe scrivere una frase per me? La pubblicherei su Instagram e nel libro, naturalmente, sarebbe meraviglioso.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Come devo fare?
HANS ULRICH OBRIST — Deve semplicemente scriverla. Ho anche dei post-it, ma se preferisce la scriva su un foglio A4.
HANS MAGNUS ENZENSBERGER — Ah, me ne infischio. Non è una cosa così pretenziosa.
HANS ULRICH OBRIST — Grazie infinite! «Arme Amputierte, die nicht mit der Hand Denken, Kritzeln, Schreiben können». «Poveri amputati che non sapete pensare, scarabocchiare, scrivere con la mano». Grazie di cuore per questa conversazione.

(traduzione di Alessandra Iadicicco )