Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 27 Domenica calendario

LA LADY CHE SEDUSSE L’EUROPA

«In piedi, in ginocchio, seduta, sdraiata, seria, triste, maliziosa, sfrenata, contrita, provocante, minacciosa, timorosa e via dicendo: un’espressione segue a un’altra, e un’altra la sostituisce. Per ciascuna ella sa scegliere e cambiare il drappeggio del velo, e con le stesse stoffe si acconcia in cento modi i capelli. L’anziano cavaliere le regge il lume ed è in costante adorazione davanti alla sua persona. Trova in lei tutte le immagini dell’antichità, i bei profili delle monete siciliane e persino l’ Apollo del Belvedere . Sta di fatto che il divertimento è unico!».
Così Goethe descrive les attitudes di Emma Hart nel suo Viaggio in Italia . Il poeta tedesco fu uno dei primi ad assistere, nel 1787, alle esibizioni della ragazza inglese che in breve sarebbe diventata famosa in tutta Europa come Lady Hamilton. E «l’anziano cavaliere che regge il lume» è sir William Hamilton, 55 anni, da oltre 20 ambasciatore a Napoli del re inglese Giorgio III. All’epoca Emma Hart non aveva ancora sposato Hamilton, non era ancora lady, era piuttosto a woman with a past , una donna con un passato. Il diplomatico, vedovo e senza figli, appassionato di antichità, l’aveva letteralmente acquistata da Charles Greville, un nipote che si era indebitato e voleva liberarsene. Greville gliel’aveva offerta inviando un ritratto e una lettera in cui la descriveva come «l’unica donna con cui abbia mai dormito a non aver mai offeso nessuno dei miei sensi; e una compagna di letto più pulita e dolce non esiste».
Il ritratto di Emma, in veste di baccante, era del pittore George Romney, che pare l’abbia immortalata in più di trecento pose. Lo riferisce Dieter Richter, curatore della mostra Lady Hamilton: eros e attitude , appena inaugurata alla Casa di Goethe a Roma. Maria Gazzetti, direttrice del museo, l’ha ideata ritrovando nei depositi alcuni dipinti di artisti che assistettero alle esibizioni della donna passata alla storia per aver incantato poeti e regnanti, ma anche per aver fatto parte, con sir Hamilton e l’ammiraglio Nelson, del «trio infernale», che insieme a re Ferdinando e alla regina Maria Carolina nel 1799 condannò a morte centinaia di rivoluzionari partenopei, a cominciare da Francesco Caracciolo, Luisa Sanfelice ed Eleonora Fonseca Pimentel.
La mostra, oltre a raccogliere opere e testimonianze dell’epoca, offre l’occasione di rileggere un personaggio che presenta ancora oggi lati controversi, come fanno alcuni studiosi nel catalogo dell’esposizione. C’è chi, come Richter, ricostruisce la biografia di Emma Hart, nome d’arte di Amy Lyon, figlia di un maniscalco e diventata moglie di Hamilton nel 1791. Richter tenta di distinguere tra la realtà e le leggende alimentate dai numerosi Memoirs of Lady Hamilton non autentici, apparsi nell’anno della sua morte, avvenuta il 15 gennaio 1815 a Calais, quando ormai era sola, in miseria, preda dell’alcol. Hamilton e Nelson erano morti entrambi senza lasciarle averi.
Richter ripercorre le tappe di un’ascesa inarrestabile che, dopo le nozze con l’ambasciatore, portano la neo lady a diventare amica intima di Maria Carolina e poco dopo amante di Horatio Nelson, eroe della battaglia navale di Abukir. Emma, che rivendicò in parte il merito della vittoria per aver convinto i governatori della Sicilia e delle isole vicine a rifornire d’acqua le navi di Nelson, scrisse all’ammiraglio: «Mi vesto à la Nelson dalla testa ai piedi. Perfino il mio scialle è blu, con àncore d’oro. In breve, siamo completamente nelsoned ».
Quando lui rientrò a Napoli lo accolse con uno svenimento, costringendolo praticamente a sostenerla. Ferito a un occhio e senza un braccio, fu accolto dagli Hamilton nel loro palazzo. Emma lo curò, gli faceva da interprete, gli tagliava la carne, godeva di fama riflessa. Fu forse allora che divenne la sua amante.
Perfino il viaggio di ritorno verso l’Inghilterra, nel 1800, quando Nelson fu richiamato e Hamilton esonerato dal suo incarico a Napoli, fu un trionfo per la lady. Incontrò in settembre Joseph Haydn, che compose per la sua voce la cantata Nelson-Arie e l’accompagnò al piano in occasione della prima rappresentazione.
Sono rimasti i ritratti delle sue attitudes , che contribuirono a diffondere in Europa l’ideale stilistico del classicismo. A farne un’ammirata primadonna presso intellettuali e regnanti, contribuì l’educazione che sir Hamilton le aveva imposto al suo arrivo a Napoli: tre volte al giorno un maestro di canto; tre volte alla settimana il maestro di danza della regina; un maestro di musica le dà lezioni di arpa; un insegnante di lingua lezioni di francese. Della formazione filosofica e morale fu incaricato Giuseppe Capecelatro, arcivescovo di Taranto, che poi avrebbe aderito alla Repubblica partenopea.
A sviluppare i talenti della Hart contribuirono anche gli scavi di Ercolano e Pompei, che tra il 1739 e il 1749 avevano riportato alla luce la vita quotidiana dell’antichità. Emma, con le sue performance, diventa modello di una bellezza antica tornata in vita. Con una tunica sul corpo nudo, uno scialle, un tamburello fa di nuovo danzare le donne pompeiane.
Gli artisti ne rimasero sopraffatti, come testimoniano i ritratti realizzati da Heinrich Wilhelm Tischbein, Angelika Kauffmann, Elisabeth Vigée Le Brun, Joshua Reynolds, Gavin Hamilton. L’ambasciatore la esibiva nelle sue varie residenze. A Caserta, dove soggiornava nei mesi invernali. Nella residenza ufficiale di palazzo Sessa, a Pizzofalcone, dove è ancora conservato il cabinet degli specchi. A Posillipo, nella villa che porta il nome di Emma. E una Villa Emma è nel «regno giardino» di Dessau-Wörlitz, edificata per Leopoldo III da Friedrich Wilhelm von Erdmannsdorff, fondatore dell’architettura neoclassica in Germania.