Stefano Agnoli, Corriere della Sera - La Lettura 27/9/2015, 27 settembre 2015
DAI MUNGITORI DI PIETRE LA NUOVA VITA DEL GAS
Rivoluzione. Dipendenza. Nuove rotte. Certo, per definire il mondo e l’industria che ruotano intorno al gas naturale (una fonte che copre all’incirca un quinto dei bisogni mondiali di energia) ci sono molti modi. Il primo termine, «rivoluzione», può sembrare strano o addirittura fuori luogo, visto che ci si potrebbe chiedere che cosa ci possa essere di rivoluzionario in una produzione così old economy come quella del gas.
Eppure, come definire ciò che è andato in scena negli Stati Uniti dai primi anni Duemila? La combinazione di due tecnologie in via di maturazione dagli anni Cinquanta — la fratturazione idraulica e la perforazione orizzontale — ha dato vita, quasi esclusivamente su suolo nordamericano, al boom del fracking . Ovvero dell’estrazione di gas direttamente dalla roccia madre, dal cosiddetto shale . Un metodo ambientalmente controverso ma dagli effetti dirompenti: dagli anni 2005-06 questo genere di produzione è cresciuto di 7-8 volte e oggi copre all’incirca il 40 per cento del cubo rosso relativo agli Stati Uniti che si vede qui sopra.
Una storia che dimostra inoltre quanto il settore Oil&Gas a stelle e strisce mostri una vitalità tecnologica di primo livello, che si unisce a una potenza industriale (ed economica) ancora irraggiungibile: la metà di tutti gli impianti di perforazione attivi al mondo sono americani.
Al gradino appena più basso, quello della Russia (secondo produttore del pianeta), non si può non affiancare la dicitura «dipendenza». Nel senso di dipendenza dal gas di origine siberiana, che fa di Mosca il fornitore principale dell’Europa con una quota di poco inferiore al 40 per cento. È un fattore geopolitico dei giorni nostri, che mostra con pochi semplici numeri la debolezza dell’Europa, costretta ad appoggiarsi per più di metà dei suoi fabbisogni energetici (il 53 per cento per la precisione, comprendendo anche il petrolio) a regimi di dubbie credenziali democratiche o a sultanati mascherati da repubbliche ai quali sborsa, ogni anno, la bellezza di 400 miliardi di dollari.
Le nuove rotte, infine, sono una necessità, una conseguenza logica della dipendenza. Il motivo per cui da almeno dieci anni l’Unione Europea sta cercando di implementare quanto meno un «corridoio Sud», una linea alternativa a Russia, Algeria e Libia che consenta di portare il gas del Caspio, e forse dell’Iran, verso Occidente. Non una garanzia di sicurezza «geopolitica» ma almeno una diversificazione importante. E se si consolidassero i ritrovamenti nel Levante mediterraneo, come l’ultimo «supergiant» scoperto dall’Eni al largo dell’Egitto (il giacimento di Zohr), un’altra via si potrebbe aprire. Altrettanto importante, sempre per l’Europa, sarebbe sbloccare i «tappi» interni che impediscono di trasportare liberamente il gas da sud a nord o da est a ovest. Una partita in cui l’Italia ha un ruolo importante da giocare.