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 2015  settembre 28 Lunedì calendario

ALILTALIA, HOGAN VUOLE UN COLPO D’ALA NUOVO AD E PIÙ DELEGHE A MONTEZEMOLO

L’Alitalia targata Etihad accelera (e ritocca in corsa) il piano di rilancio per scacciare i fantasmi del passato. Nessuno pensava che i petrodollari degli emiri potessero cambiare dalla sera alla mattina i destini del gruppo. A un anno dal loro ingresso nel capitale, però, i risultati della cura mediorientale per l’ex compagnia di bandiera hanno il sapore di un déja vu: la società ha perso nei primi sei mesi dell’anno 130 milioni di euro, qualcosa come 714 mila euro al giorno. “Una cifra perfettamente in linea con le stime”, gettano acqua sul fuoco in azienda, ma un rosso appena inferiore a quello degli anni dei capitani coraggiosi che tra 2008 e 2014 hanno bruciato 1,5 miliardi. A riportare indietro l’orologio è arrivato poi l’addio per “motivi personali”, come recitano le note ufficiali, di Silvano Cassano, il quarto ad a saltare dopo la privatizzazione. Un divorzio arrivato secondo il tam tam interno per le incomprensioni con parte del management e la “scarsa determinazione”, come dicono eufemisticamente ai vertici dell’azienda, con cui avrebbe mandato avanti il riassetto.
«Il piano non cambia di una virgola e sono ottimista», ha rassicurato tutti il presidente Luca Cordero di Montezemolo che ha ereditato tutte le deleghe. Vero, ma non del tutto. Lo stesso ex numero uno della Ferrari ha preso in questi giorni in mano con decisione la cloche di Alitalia. E in attesa della scelta del nuovo ad - «potrebbero servire fino a un paio di mesi», dicono fonti interne - proverà a recuperare il tempo perduto negli ultimi mesi. Accelerando i lavori in corso, ridisegnando l’organizzazione «perché la struttura va snellita», promuovendo i nuovi servizi («i clienti non sono riusciti a percepire il nostro cambiamento»”, come ha spiegato il presidente ai manager) e ripensando il network delle rotte. L’obiettivo, ribadito nei giorni scorsi in un incontro di tutte le aerolinee partecipate da Etihad, è coordinare al meglio i collegamenti con quelli dei partner. Il lancio della Roma-Pechino, previsto a fine ottobre, potrebbe così forse essere rinviato, mentre il Milano-Shanghai, nato in teoria solo per la stagione dell’Expo, è in odore – si vedrà nei prossimi giorni – di riconferma. La scommessa sul lungo raggio – assicurano in Alitalia – non è in discussione ed è la vera partita per il futuro. «Abbiamo lanciato in pochi mesi 4 rotte a lungo raggio contro le 2 in 5 anni delle precedente gestione», dicono al quartier generale. Allo studio rimangono destinazioni come Città del Messico, San Francisco e Santiago del Cile e più voli per Abu Dhabi, forse anche da Catania. Una cosa però è certa: per crescere bisognerà prima completare l’opera di risanamento dei conti, la stessa strada che si sta seguendo con Air Berlin, l’altro grande “malato” della scuderia degli emiri. «L’obiettivo del ritorno all’utile resta fissato per il 2017», ha garantito Montezemolo che viste le mosse di queste settimane potrebbe conservare qualche delega forte in mano anche dopo l’arrivo di un nuovo ad. E solo da allora la compagnia potrà davvero tornare a pensare in grande. Il rebus dei conti La difficoltà a riportare in rotta i conti di Alitalia non è una sorpresa per James Hogan, il “mastino” australiano alla guida di Etihad. Il triennio 2015-2017, come previsto, è stato centrato sulla riduzione dei costi e lo sviluppo delle sinergie per riuscire, un milione alla volta, a ridurre il pesante passivo del gruppo. «Tutti tendono a dimenticare che un anno fa la compagnia era tecnicamente fallita», ricordano i responsabili della finanza di gruppo. I dati del primo semestre 2015 invece, letti in controluce, sono addirittura meno peggio del previsto, specie alla luce delle condizioni in cui sono maturati. L’incendio e lo stop di Fiumicino costeranno alla compagnia 80 milioni spalmati sul secondo e sul terzo trimestre. E tantissimo pesa pure la chiusura per l’ostruzionismo del governo venezuelano della Roma-Caracas, una delle rotte più redditizie. Il recupero di redditività, tra l’altro, non può far conto su un aumento esponenziale dei ricavi. Anzi. L’Alitalia del 2015 è una fotocopia in scala ridotta di quella del passato. Il piano Etihad ha imposto in questa prima fase una riduzione drastica del servizio. Volano 120 aerei circa contro i 186 degli anni d’oro, sono state tagliate del 25% le rotte domestiche e del 5% quelle internazionali a breve e medio raggio – vittime della concorrenza delle low cost – mentre il timido aumento (+4%) di quelle a lungo raggio è legato solo all’aumento delle frequenze per Abu Dhabi per incanalare i passeggeri a lungo raggio verso il Far East sui jet di Etihad. Il riassetto si gioca così tutto sui tagli ai costi. Il crollo del petrolio (che rappresenta il 25% delle spese della società) darà i suoi benefici solo dal prossimo anno quando scadranno le coperture finanziarie a 100 dollari, garantendo un risparmio di un centinaio di milioni. Per ora quindi si prova a limare le spese grazie alle sinergie con i partner della galassia Etihad. Air Serbia, per dire, ha già centralizzato tutto il suo back office ad Abu Dhabi e il successo (inatteso e consistente) dell’emissione di bond collettivo con gli alleati ha dimostrato come la centralizzazione di finanza e acquisti possa giovare a tutti nel medio termine. La compagnia “sexy” Sul fronte del bilancio, insomma, si lavora con attenzione ma (almeno per ora) senza troppa apprensione. Il vero tallone d’Achille di questo primo scorcio di cura Etihad, e la buccia di banana su cui – secondo molti in azienda – è scivolato Cassano, è il mancato turnaround dell’immagine della società. Sul tema Hogan ha sempre avuto idee molto chiare. «Dovrà diventare la compagnia più sexy del mondo», ha ripetuto come un mantra dal primo giorno in cui ha annunciato l’investimento emiratino. La sua idea era (ed è) quella di trasformarla in una sorta di ambasciatrice volante del made in Italy. Una via Montenapoleone dei cieli, lo specchio dell’immagine che il nostro paese ha ancora per molti stranieri. La forbice tra ambizioni e realtà, in questo caso, ha faticato a chiudersi. Abu Dhabi, ovvio, sapeva che la metamorfosi non sarebbe stata breve e che nei cieli mondiali ci vuole tempo perché un “brutto anatroccolo” (Alitalia è catalogata come un’aerolinea a tre stelle su cinque) si trasformi in un cigno. I progressi però sono molto più lenti del previsto e i risultati delle indagini di customer satisfaction interni, dice il tam tam aziendale, hanno lasciato l’amaro in bocca al nuovo management, convinto che i primi interventi già fatti avrebbero dovuto marcare un’inversione di tendenza più accentuata. E che sulle operazioni “a costo zero” (cortesia, disponibilità ed efficienza) si sarebbe potuto fare di più e prima. Sull’immagine della compagnia pesa poi l’effetto Fiumicino. Nelle ultime settimane, sotto la regia di Montezemolo, è stato attivato una sorta di tavolo di confronto continuo con i vertici di Adr per migliorare i servizi di base – dai controlli dei passaporti agli interventi per rendere più fluidi gli sbarchi e la consegna bagagli – in vista del dibattito molto più impegnativo previsto nei prossimi mesi relativo ai maxi investimenti necessari per potenziare l’aeroporto. E al ruolo che in questo percorso verrà assegnato ad Alitalia. I nodi di Abu Dhabi Che tutto vada bene, del resto, interessa molto anche ad Hogan, che ha giocato con Etihad una scommessa ad alto rischio. Seguendo una via opposta a quella dei cugini-rivali di Emirates e Qatar e decidendo di crescere non comprando aerei (o almeno non solo) ma anche investendo a tappe forzate in partecipazioni di aerolinee già esistenti. L’azzardo, per ora, ha pagato. Il vettore di Abu Dhabi è diventata la quinta realtà mondiale per dimensioni a tempo record e i conti reggono. Il riassetto delle partecipate procede però a due velocità. Benissimo, per dire, in India, dove l’alleata Jet Airways, grazie a know-how e petrodollari del Golfo, ha portato da pochi punti percentuali al 21% la sua quota del traffico internazionale dal subcontinente. Bene in Air Serbia, in gran crescita. Le cose sono invece più complesse e più lunghe del previsto – «come pensavamo», dicono in azienda – per Air Berlin e Alitalia. La famiglia regnante dell’emirato (con cui Montezemolo ha ottimi rapporti) ha pazienza e mezzi per aspettare. Hogan però, per non prendere rischi, ha capito che il piano dell’ex compagnia di bandiera va seguito da vicino. E nei prossimi mesi, anche quando sulla poltrona di ad si siederà qualcun altro (si fanno i nomi dell’ex-Alenia Giuseppe Giordo e di Giancarlo Schisano, Duncan Naysmith e Bruno Matheu come candidati forti interni), sarà molto più spesso a Roma. Errare una volta – come successo con la scelta di Cassano, fortemente sponsorizzato da lui, accusano i soci italiani – è umano. Perseverare rischia di essere diabolico. E troppo anche per le tasche profonde degli sceicchi mediorientali.
Ettore Livini, Affari&Finanza – la Repubblica 28/9/2015