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 2015  settembre 27 Domenica calendario

BASTA LIBRI, STUDIATE SULL’IPAD ECCO LA NUOVA SCUOLA HI-TECH

A sbirciare dentro le classi un certo effetto lo fa. Niente libri. E nemmeno zaini. Solo iPad, penne e quaderni. In terza B, però, stanno facendo la versione di greco. E qui il vocabolario c’è. Siamo a Roma, nell’Istituto Pio XI, scuola salesiana parificata, una delle più digitali d’Italia. Qui il tablet è arrivato nel 2012 e ha preso il posto dei libri. Così come le lavagne interattive multimediali (LIM) hanno sostituito quelle di ardesia. Invece del registro cartaceo, c’è quello digitale: i genitori, con username e password, possono sapere in tempo reale cosa combina il figlio, se entra in ritardo o se prende 4. C’è la scuola media, il liceo classico e lo scientifico, totale: 382 alunni. “Prima c’era il docente e il libro di testo, ora gli studenti hanno a disposizione un intero universo. Da noi i ragazzi ascoltano la lezione a casa, con il video dell’insegnante sul tablet, e al mattino ci si confronta”, racconta Gianmarco Proietti, giovane preside dell’istituto.
Il modello è quello della flipped-classroom, la scuola capovolta. Sulle lavagne vengono visti video, mentre con i tablet i ragazzi possono continuare a interagire e postare i contenuti sulle pagine FB della scuola. Di libri neanche l’ombra: vengono scaricati e studiati sull’iPad. “Il tablet non è solo uno strumento di apprendimento, ma anche di ricerca. Agli adulti fa un certo effetto, ma gli studenti di oggi sono tutti nativi digitali e hanno un approccio diverso con la tecnologia”, spiega il preside. Naturalmente siamo in una scuola parificata dove si paga una retta alta: 3 mila euro l’anno. Con il tablet a carico delle famiglie. “L’iPad si acquista una volta sola. Con 250 euro se ne trovano anche usati. Mentre la versione digitale dei libri costa molto meno di quella cartacea. Se si paragona al costo annuale dei libri normali, qui i ragazzi risparmiano”, conclude il preside.
Di scuole così ce ne sono diverse. Anche statali. Tra le più innovative, il liceo scientifico Filippo Lussana di Bergamo, l’Itis Marconi di Jesi, l’Itts Alessandro Volta di Perugia, l’Istituto Baccio di Montelupo Fiorentino. Sull’eccesso di tecnologia, però, il dibattito è aperto. Di recente un dossier dell’Ocse ha dimostrato che il rapporto più tecnologia uguale più apprendimento non esiste. “Se i ragazzi che usano moderatamente il pc a scuola hanno un apprendimento migliore di quelli che lo usano poco o nulla, chi ne fa un uso massiccio tende a peggiorare in lettura, matematica e scienze”, si legge nel documento. Troppo web rende lo studente più “solo” e “svogliato”. E lo priva di “un importante rapporto umano con il docente”.
In Italia la media degli alunni che usa il pc a scuola è del 66,8 per cento, contro una media Ocse del 72. “Io sono stata la prima in Italia a portare il tablet in classe, nel 2010. La tecnologia è solo uno strumento che deve integrare il libro, non sostituirlo. La vera innovazione è nella rivoluzione della didattica: il professore non deve più stare dietro la cattedra, ma scendere in mezzo agli alunni. Io non ho abolito i libri, ma i banchi sì. Quando entro in classe non li voglio vedere”, racconta Dianora Bardi, professoressa di italiano e latino al liceo Lussana di Bergamo e fondatrice di “Impara digitale”.
Il suo modello è la “scuola scomposta”: in essa tutto è fluido e il prof. sta in mezzo ai ragazzi, in una sorta di Attimo fuggente 2.0. La didattica non è solo verticale, ma orizzontale: si decide un tema da approfondire e lo si sviluppa nelle diverse materie. “Il punto non è utilizzare tablet e LIM, ma come si studia. Io lascio totale libertà: se uno studente preferisce il libro, ben venga”. Non tutti concordano con questo approccio. “Il Miur spinge per aumentare l’uso di tecnologia a scuola per colmare un gap che abbiamo verso l’Europa, ma sull’uso del digitale ci andrei molto cauta. Gli adolescenti già fanno un uso smodato di smartphone nel tempo libero, almeno a scuola lasciamoli fuori.
Altrimenti c’è il rischio di un’omologazione verso il basso: non si alimenta la fantasia e si appiattisce la curiosità”, sostiene Mariella Cittadini, insegnante di materie giuridiche ed economiche e membro della Rsu all’Istituto superiore Luca Paciolo di Bracciano. “Opporsi alla tecnologia è anacronistico, ma spesso si introducono questi strumenti senza formare gli insegnanti”, sottolinea Paola Tonna, ex preside di un istituto romano e presidente di Apef (Associazione professionale europea per la formazione). “Inoltre – aggiunge – l’eccessivo uso del web può provocare una sorta di pigrizia mentale e limitare la capacità di ragionamento dei ragazzi. Se trovi sempre facilmente le risposte a tutto il cervello si atrofizza”.
Gianluca Roselli, il Fatto Quotidiano 27/9/2015