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 2015  settembre 27 Domenica calendario

ELEMENTARE WATSON

NEW YORK
Abbiamo bisogno di aiuto per l’acquisizione di un’azienda, ci puoi aiutare Watson?
Watson: come? Brian Gaucher: facci vedere delle imprese americane con ricavi tra i 25 e i 60 milioni di dollari che abbiano a che fare con l’analisi dei dati.
W.: (pochi secondi dopo) 87 imprese.
Andy Aaron: bene. Watson, ora fammi vedere delle imprese specializzate nell’analisi dei dati e nella strategia cognitiva che siano le più simili alla Wolfram Alpha e alla Kawasaki Robotics.
W.: ho trovato tre imprese simili a queste.
A. A.: fantastico. Compariamo queste imprese. Watson, mostrami una tavola delle decisioni (sullo schermo appare una specie di foglio Excel con le celle vuote).
B. G.: Watson, per favore, colloca le imprese Wolfram Alpha, Kawasaki Robotics, Raytheon BBN Technologies, Decisive Analytics e Cognilytics nella tavola di decisione.
W.: ok (sullo schermo appaiono le nuove informazioni nelle celle della tavola di decisione).
B. G.: abbiamo bisogno di altre caratteristiche. Watson, includi “profitti”, “dipendenti” e “struttura imprenditoriale” nella tavola di decisione.
W.: d’accordo.
B. G.: adesso abbiamo il confronto fra loro. Watson, dammi un suggerimento su quale impresa dovremmo comprare.
W.: ho un suggerimento...
Nel laboratorio del Centro Ricerche Ibm Thomas J. Watson di Yorktown Heights, Stato di New York, un’ora a nord di Manhattan, in mezzo a boschi rigogliosi, avvengono cose incredibili: uomini che parlano con una macchina per decidere l’acquisizione di un’impresa; medici che dialogano con un tablet cercando la diagnosi della strana malattia che ha colpito un bambino; ingegneri di una società petrolifera che cercano nel cloud come ridurre l’incertezza delle loro costosissime trivellazioni nell’oceano; cuochi che analizzano in un’interfaccia la fattibilità di una nuova ricetta a partire dalla composizione molecolare dei suoi ingredienti; scienziati che scrutano i geni di una persona per applicarle una terapia contro il cancro; consulenti finanziari che usano algoritmi per prevedere il funzionamento del mercato ed evitare bolle finanziarie, tecnici che scavano nelle informazioni fornite da migliaia di sensori sparsi per tutta la città per evitare future inondazioni.
Brian Gaucher e Andy Aaron sono degli scienziati del laboratorio dei sistemi simbiotico-cognitivi della Ibm. Watson è un supercomputer. Gaucher e Aaron dovevano simulare l’acquisto di un’impresa. Il loro interlocutore era uno schermo di diversi metri quadrati che riproduceva per iscritto le loro parole e offriva i dati che gli venivano chiesti: un sistema cognitivo. La macchina e gli uomini hanno comunicato con le parole. Gaucher, Aaron e centinaia di altri scienziati della Ibm lavorano a un nuovo grande passo dell’informatica, quello che molti considerano come la nuova era della conoscenza. Sono i sistemi cognitivi, computer che imparano. Il fenomeno ha un nome: Watson, in onore al fondatore e storico presidente della Ibm, Thomas J. Watson.
Si tratta del grande progetto dell’azienda per trasformare l’enorme quantità di informazioni che ci sono nel mondo, i Big Data, in una nuova risorsa con la quale interagire come mai in precedenza.
Darío Gil, che alla Ibm dirige il Centro ricerche sui sistemi simbiotico-cognitivi, avverte subito che non si tratta affatto di voler sostituire l’uomo: «Il lavoro con un sistema cognitivo è un dialogo, una relazione simbiotica. Che cosa ci mettiamo, noi umani? I problemi, le nostre conoscenze, il nostro buon senso, la nostra intuizione e i nostri valori nell’assumere le decisioni. Il sistema cognitivo ci mette la sua capacità di analisi e di scoperta, la sua capacità di trovare connessioni in tutta la conoscenza digitale disponibile. È così che lavora Watson, per esempio, con alcuni tra i maggiori oncologi del mondo. Finora, molti computer si sono basati sul paradigma del calcolo. Oggi possiamo costruire sistemi che possono imparare, trovare correlazioni, creare ipotesi a partire da quelle correlazioni e suggerire e misurare azioni da intraprendere Stephen Baker, esperto di informatica e autore del bestseller The Numerati, aggiunge: «Ciò che è diverso in Watson è il linguaggio. Capisce quello che scriviamo. Decifra i rapporti statistici tra le parole e fa un simulacro di comprensione. Si può davvero dire che impara. Il computer può suggerirci delle cose e ha una mente aperta a tutte le possibilità. Ciò che è rivoluzionario in Watson è che non sa niente. Non ha una risposta alle nostre domande. Elabora un’indagine su ogni domanda e, siccome non può mai essere sicuro di aver capito la domanda, fa uno studio sulle probabilità.
E ritorna con delle risposte offrendo una percentuale di affidabilità per ciascuna. Per intenderci: Watson direbbe che Obama è il presidente degli Usa con un 98 per cento di affidabilità della risposta». Tutto iniziò nel 2004. Charles Lickel, direttore del Centro ricerche Ibm sul software, andò al ristorante con altri ingegneri della società. Lì vide che tutti smettevano di mangiare per guardare come Ken Jennings difendeva il suo titolo di campione nel programma televisivo Jeopardy! In quegli anni, l’azienda voleva affrontare grandi sfide pubbliche, come a suo tempo accadde con il Deep Blue, il supercomputer che sconfisse Gary Kasparov nel gioco degli scacchi. Sarebbe stata una bella sfida vincere a Jeopardy!, un concorso che consiste in domande complesse a cui bisogna rispondere molto velocemente. L’avventura non era semplice. Si trattava di mettere Watson accanto a due umani, Ken Jennings e Brad Rutter, i migliori concorrenti della storia. E usando un linguaggio naturale. Il cervello artificiale di Watson gli permetteva di analizzare l’equivalente di un milione di libri in poco più di due secondi. Alla fine Watson vinse.
@ El País Semanal /LENA Leading European Newspaper Alliance
(Traduzione di Luis E. Moriones)
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Vicente Jiménez, la Repubblica 27/9/2015