Michele Brambilla, La Stampa 27/9/2015, 27 settembre 2015
ANCHE IL MASOCHISTA TAFAZZI PUÒ AIUTARE LA RICERCA MEDICA
Oggi Giacomo Poretti lascia lo spazio della sua rubrica a un suo personaggio: Tafazzi. E non solo per ridere ma anche (soprattutto) per fare del bene. Poi vedremo perché. Ma prima della spiegazione, occorre una celebrazione: quella appunto di Tafazzi, uno di quei personaggi il cui genio fu all’inizio incompreso, tipo Giuseppe Verdi respinto dal Conservatorio di Milano, tanto per fare un equilibrato paragone.
Giacomo provò per la prima volta la gag di Tafazzi nel 1993, proponendola a Rai 3 per una trasmissione che si sarebbe chiamata Cielito Lindo, e che sarebbe stata trasmessa nell’autunno di quell’anno. Si mise la tutina nera con rinforzo su quelle parti lì, e via con le bottigliate. «Queste cose vada a farle all’oratorio», gli risposero a Rai 3. Giacomo provò allora a teatro ma, a spettacolo finito, il suo socio Giovanni gli disse «Giacomino non te la prendere, ma non ti è venuta bene, è meglio se lasci perdere». Sembrava un epitaffio.
Ma ogni tanto anche i politici servono a qualcosa. Il giorno dopo, infatti, mentre erano a Palermo per uno spettacolo, Giacomo ricevette una telefonata di Veltroni, allora direttore dell’Unità.
«Tafazzi è fantastico, si fa del male da solo, sembra l’incarnazione dell’attuale sinistra» (lo sarebbe stato anche delle successive, ma forse Veltroni non lo poteva prevedere). Comunque. Con l’imprimatur del giornale fondato da Gramsci, Tafazzi va avanti e nel 1995 sfonda a «Mai dire gol». Oggi è ormai tra gli immortali, reso imperituro perfino dallo Zingarelli: «[Cognome di un personaggio impersonato dal comico Giacomo Poretti che in una trasmissione televisiva si colpiva il bassoventre con violente bottigliate; 1995] s.m. e f. inv. Chi ha un atteggiamento autolesionistico o masochistico».
È proprio nel 1995 che la storia di Tafazzi si intreccia con un’altra storia, più seria. La genetista Daniela Toniolo, oggi al San Raffaele ma allora al Cnr di Pavia, lavora per scoprire la causa di una malattia infantile grave e rarissima: la Sindrome di Barth, che colpisce i maschi e si manifesta principalmente con problemi cardiaci. Scopre che all’origine c’è un gene alterato che modifica il Dna; il risultato è poi la mancanza di un enzima fondamentale per il cuore. Manda la sua ricerca negli Stati Uniti a Nature Genetics, rivista scientifica molto prestigiosa. Gli americani accettano la ricerca, dicono ok dottoressa, ma perché nel suo studio ha chiamato «tafazzina» questo enzima? «Risposi che Tafazzi era un personaggio masochistico di una popolare trasmissione tv e il gene alterato è appunto qualcosa che finisce per il farsi del male. Ma la verità è che in anno di lavoro avevamo avuto un sacco di problemi: la ricerca in Italia non è molto aiutata e in laboratorio eravamo tutti un po’ stressati. Così ci sfogavamo con una bottiglia di plastica sulla quale avevamo scritto “Tafazzi’s bottle”».
Un’altra studiosa italiana – Angela Corcelli, fisiologa dell’Università di Bari – viene poi a sapere della tafazzina da un collega americano e scopre che agisce sulla cardiolipina, necessaria al funzionamento del muscolo cardiaco. Morale: un anno fa è nata la «Barth Italia», associazione che riunisce le famiglie dei malati, i medici, gli scienziati e i volontari; il mese scorso è stato aperto il sito www.barthitalia.org; mercoledì e giovedì prossimi si terrà a Firenze un grande congresso internazionale organizzato dalla Barth Foundation Usa e dall’Università di Bari.
Ancora non esiste una cura per la Sindrome di Barth, che colpisce un bambino su 300.000. La mortalità è ancora altissima. Ma qualcosa si muove. Anche grazie a Tafazzi. Oggi in tutto il mondo gli scienziati chiamano «tafazzin» la causa della malattia e negli Stati Uniti i bambini disegnano e appendono, alle pareti degli ospedali, un omino in tuta nera che si tira bottigliate sui cosiddetti. Per ora serve a farli sorridere, che è già molto: domani chissà.
Michele Brambilla, La Stampa 27/9/2015