Gianni Canova, Domenicale – Il Sole 24 Ore 27/9/2015, 27 settembre 2015
GENERAZIONE CAPATONDA
Qualcuno ha detto che sembra una divinità neopagana discesa dagli impervi picchi delle montagne abruzzesi, ma a me sembra più un fool impertinente e beffardo emerso all’improvviso dalle viscere del web e della società crossmediale. Marcello Macchia, alias Maccio Capatonda, classe 1978, è una delle maschere più rappresentative dell’italiano medio nell’era di Internet e dei new media. Il senso del ridicolo, in lui, è sempre 2.0: implica la presenza e la partecipazione dei social, si nutre di followers e di like, è virale e contagioso.
La sua popolarità, a dire il vero, nasce prima nella vecchia Tv grazie ai finti trailer cinematografici andati in onda nelle trasmissioni televisive della Gialappa’s Band, che poi però vengono postati su You Tube e diventano virali nella rete. La sua comicità, non a caso, si genera proprio al crocevia delle tre pratiche comiche più amate ed efficaci sul web: la parodia di oggetti culturali di successo, la deformazione espressionistica del linguaggio e l’iperbole portata ai limiti estremi. La parodia – da Totò a Franchi e Ingrassia – è da sempre uno dei registri più diffusi nella comicità italiana, ma Maccio la applica con voracità bulimica: da La febbra a Il sesto scemo (parodia di Il sesto sen so), i suoi fake-traile r sono esilaranti per come irridono e sbeffeggiano i propri oggetti di culto. Perché Maccio è quasi lo shaker della sua generazione: prima ingurgita, vede e divora tutto ciò che è possibile vedere negli anni ’80 e ’90 – l’alto e il basso, Non è la Rai e Nino Frassica, i grandi film hollywoodiani e la Tv spazzatura – poi lo “rigetta” in forma gioiosamente caricaturale e deliziosamente demenziale.
Il suo primo film da regista, Italiano medio, uscito nelle sale a gennaio 2015 (con un box office che ha superato i 4 milioni di euro) è un piccolo capolavoro di questa arte della parodia come cocktail multimediale: come il protagonista di Fight Club, anche Giulio Verme – il personaggio interpretato da Maccio – ha un alter ego dai comportamenti vistosi ed eccessivi ed entra a far parte di un gruppo che vuol compiere eclatanti azioni terroristiche, come in Limitless cambia identità a causa di una sostanza chimica, parla alla folla come il finto messia di Brian di Nazareth e nella scena di sesso accelerato parodizza addirittura Arancia meccanica di Stanley Kubrick.
Il linguaggio verbale adottato – come si diceva – fa continue capriole espressioniste e si sottopone a incessanti deformazioni sia lessicali che idiomatiche («mi son cacato sopra!»), in un frenetico lavorio trasformistico per cui Maccio costruisce incessantemente identità e le sbriciola. In questo gioco di mimetismo ininterrotto – spesso spinto fino ai limiti estremi del verosimile, un po’ come faceva Fantozzi negli anni ’70 - è possibile ritrovare i vizi, i tic, le ossessioni e le manie degli italiani del nostro tempo. Impossibile non farci i conti – come del resto con Luca Medici, alias Checco Zalone – per chiunque voglia cercare di capire qualcosa dell’Italia di oggi. E del suo/nostro senso del ridicolo.
Gianni Canova, Domenicale – Il Sole 24 Ore 27/9/2015