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 2015  settembre 27 Domenica calendario

DIFFIDARE DELLA PAROLA «OLTRE»

Chi cerca di spiegare cosa è e come funziona la ricerca scientifica a persone che non lo sanno e che comunque vogliono legittimamente dire la loro in materia (es. i decisori politici) si trova di fronte a un problema difficile. Apparentemente insolubile. Deve per esempio fare capire che l’aggettivo “alternativo” e l’avverbio “oltre” sono termini inadeguati per discutere di scienza, perché nascondono o alimentano solo dei preconcetti ideologici. Denunciano che in gioco ci sono ragionamenti che prescindono dai fatti o dalla sensatezza.
Si pensi alle medicine “alternative”, che non si sa bene cosa siano, ma di certo non sono trattamenti medici. Forse credenze superstiziose? Si basano sull’errore di pensare che ci si possa inventare da niente qualche spiegazione o teoria partendo da casi aneddotici, o che si possano usare questi casi sparsi e senza significato per dimostrare qualche credenza o fantasia, prescindendo dai vincoli stabiliti dalle leggi scientifiche. Per fare un esempio, se è vero, com’è vero, il numero di Avogadro, allora l’omeopatia è un cumulo di insensatezze. Non ci sono “alternative” nella scienza. Certo, si può ignorare la scienza, il numero di Avogadro, i geni, etc., quindi usare prodotti omeopatici o pregare con la ferma convinzione che si guarirà. Potrebbe anche accadere qualche volta di stare meglio, ammesso che si fosse davvero malati. La natura è piena di sorprese. Ma non è stato mai dimostrato, perché non si può proprio farlo e quindi non si può invocare la scienza nel merito, che l’oscillococcunum o un’ave maria fanno sparire un carcinoma in situ o guariscono una setticemia.
Le persone che non hanno fatto studi scientifici, ma anche molti insegnanti di scienze o qualche scienziato, ragionano come che pensassero che la natura permetta scorciatoie, o di inventare, a costo zero e soprattutto a rischio zero, una nuova tecnica, solo perché così ne verrebbero a noi dei vantaggi pratici, o non si toccherebbero interessi economici o la gente non si spaventerebbe. Si dice ai ricercatori: ma come, noi vi paghiamo (per la verità in Italia pochissimo o niente) e voi non riuscite a trovare una cura (ieri!) per questa malattia, o una cura Y “alternativa” alla cura X che ha effetti pesanti collaterali o che deve essere sperimentata su animali, o una nuova tecnica che vada “oltre” quelle esistenti che sono poco efficienti, o non consentono di ottenere risultati subito, o spaventano la gente.
Prendiamo le recenti discussioni sulle biotecnologie applicate all’agricoltura, in particolare la questione se i nuovi metodi di genome editing, che usano specifici enzimi per riscrivere le sequenze genomiche e quindi cambiare o inserire in modo mirato nel genoma di una pianta le informazioni per tratti di interesse in vista della coltivazione, siano diversi e quindi “alternativi”, o vadano “oltre” le tecniche usate per fare i famigerati ogm. Come se quello che è nuovo fosse automaticamente più “buono” rispetto a quello che in passato è stato percepito come “cattivo”. In realtà, si tratta di una discussione quasi analoga a quelle che nel medioevo si facevano sul sesso degli angeli. Le biotecnologie, che si tratti del Dna ricombinante (con cui si fanno gli ogm) o della stessa ricombinazione di Dna mediante genome editing hanno indicazioni definite e possibili in base al contesto (le piante e quindi i genomi) a cui si applicano: non sono buone o cattive. Queste ultime due categorie sono di natura morale e non si applicano alla fattispecie. Si potrebbe pensare che una sia più rischiosa dell’altra, ma dobbiamo specificare di che rischi stiamo parlando. Per esempio, gli ogm sono coltivati e consumati da vent’anni negli Stati Uniti, e in quel paese non si è avuto un solo caso di danno alla salute da ogm riportato ai Centers for Disease Control di Atlanta, che invece registrano centinaia di casi di intossicazioni alimentari dovute al consumo di qualunque alimento (inclusi quelli venduti come cibi biologici/naturali). Senza contare che gli ogm studiati e autorizzati richiedono meno pesticidi, erbicidi e lavorazione del terreno: quindi all’atto pratico sono amici dell’ambiente.
Come si fa a dire che il genome editing è meglio degli ogm, solo perché nuovo e senza averlo sperimentato? In quale ambito sarebbe meglio? O dire che la scienza è andata “oltre gli ogm”? Certo basta non sapere di cosa di cosa si sta parlando, come accade spesso al ministro Martina. Forse serve dire che si vuole andare “oltre gli ogm” per qualche convenienza, per scopi di retorica politica? Ma può la comunità scientifica accettare la concessione (il compromesso) di fare genome editing (ma chi lo fa in Italia?) se la condizione è che si metta una pietra tombale sugli ogm, che altri biotecnologi italiani chiedono di sperimentare in campo e molti agricoltori coltiverebbero, magari pure accettando che questi passino (falsamente) per “cattivi”? Bene:à la guerre come à la guerre. A parte che sarà da vedere se anche il genome editing non verrà fatto ricadere dagli esperti paranoici dell’inganno pubblico tra le biotecnologie spaventose, gli scienziati non sono comunque un partito e ancor meno aderiscono a una sorta di centralismo democratico. Però non può essere un argomento per accettare l’offerta quello che «non si può sempre dire di no a tutto». È almeno dal Discorso della Montagna di Gesù che viene consigliato un linguaggio diretto: «si, si; no, no; il superfluo procede dal maligno».
Sarà bene soppesare tutte le conseguenze di ragionamenti che sotto il profilo logico-sperimentale non stanno proprio in piedi. Anche per non dare l’immagine di quei teologi medievali che appunto discettavano di quanti angeli potessero sedere o danzare sulla capocchia di uno spillo, mentre i Turchi prendevano Costantinopoli. O, più prosaicamente, per evitare di apparire come l’astronauta Buzz Lightyear di Toy Story, che al grido «verso l’infinito e oltre» si lancia in volo e va quasi regolarmente a schiantare sul pavimento.
Gilberto Corbellini, Domenicale – Il Sole 24 Ore 27/9/2015