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 2015  settembre 27 Domenica calendario

DOVE VA LA F1? SEMPRE PIU’ GP E TEAM MA È CRISI MOROTI

Il puzzle verrà seppure con estrema lentezza completato. Questione di giorni: domani, con l’udienza all’Alta Corte di giustizia inglese che può decretare l’amministrazione controllata della Lotus, avremo un indizio. Perché i dirigenti del team di Enstone sono convinti che la Renault sanerà la situazione, assumendo il controllo (in settimana è attesa una conferenza stampa). Anche sotto traccia le trattative tra Red Bull e Ferrari per la fornitura delle power unit proseguono. «I colloqui sono positivi», si limita a dire Horner, lasciando comunque aperta la porta a un clamoroso ritiro che coinvolgerebbe anche la Toro Rosso: «Noi non siamo come McLaren, Ferrari e Williams, per noi la F.1 deve produrre profitti. Abbiamo una grande forza lavoro, un team ricco di talenti e ci serve un buon motore. È mio lavoro trovarlo se non lo troveremo, c’è un rischio…. È vero che ci siamo impegnati (firmando il Patto della Concordia; n.d.r. ) a restare in F.1 sino al 2020, ma senza un motore (competitivo) è più economico pagare la penale a Ecclestone che restare».
PIù AUTO E gp In teoria nel 2016 vedremo al via 22 macchine, quattro Case costruttrici coinvolte e un calendario infoltito con l’ingresso del munifico Azerbaigian. Un segnale di ritrovata salute per la F.1? Mica tanto, considerato che si andrà inevitabilmente incontro a una sorta di duopolio Ferrari-Mercedes. Perché la Renault, pur tornando con un proprio team (come tra il 2002 e il 2011) ha deciso dopo gli ultimi due anni di matrimonio con Red Bull di mettere la parola fine alla forniture (per quanto redditizie sotto l’aspetto finanziario con altri team): «Perché quando vinci il motore finisce sempre in secondo piano, mentre poi quando ci sono i guai le colpe sono nostre», ha sottolineato il presidente Renault Carlos Ghosn, annunciando di aver già informato le autorità sportive «dell’indisponibilità a sostenere altri team». La Honda che invece sarebbe ben lieta di allacciare rapporti con altre scuderie oltre alla McLaren (l’accordo di esclusiva è valido solo per il 2015 anche se il team di Woking può porre il veto su alcune partnership considerate “temibili”) è in un vicolo cieco perché le sue fragili e poco potenti power unit non sembrano interessare a nessuno. Da qui la «necessità» (ben retribuita) da parte di Ferrari e Mercedes di spartirsi i team: nell’orbita di Maranello ci saranno Red Bull, Toro Rosso, Sauber e Haas (che sarà una sorta di team satellite considerato chela loro vettura non avrà solo la power unit in comune con l’erede della SF15-T); i tedeschi, persa la Lotus, continuerebbero con Williams, Force India e acquisirebbero la Manor.
SVOLTA VERDE Non siamo negli anni ’70 quando la Ferrari gareggiava contro garagisti o assemblatori inglesi, come amava definire il Commendatore i rivali d’Oltremanica, che correvano tutti con gli stessi cambi (Hewland) e motori (i mitici Ford Cosworth), ma poco ci manca. Considerato anche che il clamoroso caso dei dati truccati sui motori diesel venduti negli Usa, potrebbe di fatto bloccare gli eventuali piani Volkswagen di uno sbarco nei GP. Non era certo questo il disegno che aveva in mente Jean Todt quando qualche anno fa spinse i costruttori di motori alla svolta ecologica: una mossa obbligata per mantenere la Formula 1 al passo con i tempi. In un mondo dell’automobile sempre più orientato all’ibrido, tanto che pure i marchi delle supercar ormai ci si sono convertiti (si pensi alla Mission E, la concept Porsche svelata al Salone di Francoforte), il mondo dei gran premi poteva andare avanti con motori rumorosi e inquinanti come gli 8 cilindri che hanno corso sino a due anni fa ed erano stati progettati nel 2006? Nell’ottica della Fia l’apertura a questa nuova frontiera, l’introduzione di un motore termico sovralimentato da 1600 cmc e potenziato con lo sfruttamento dell’energia cinetica ottenuta con la frenata (kers) e quella del calore del turbo (ers) avrebbe dovuto spingere anche coloro che erano usciti a fine 2008 (Honda, Toyota e Bmw) e qualcuno che non aveva mai osato affrontare la sfida dei gran premi (Audi e Porsche) a entrare. Nulla di tutto questo pare all’orizzonte: la ragione? La stessa che ha spinto alcuni marchi a lasciare 7 anni fa dopo una serie di rovesci, ovvero il rischio di fare la fine della Honda, sporcando la propria immagine con gli insuccessi sportivi.
ROBA DA RICCHI Il guaio, come aveva paventato Ecclestone, fiero oppositore della rivoluzione, è che queste nuove power unit sono risultate, oltre che complicate — come possono ben testimoniare i giapponesi di Honda — anche estremamente costose con effetti a cascata sui clienti. I team medio piccoli che erano soliti spendere 6-7 milioni di euro per la fornitura annuale del vecchi otto cilindri aspirati ora ne devono spendere tre volte tanto. E questo ha portato pressoché al lastrico la maggior parte di loro: Caterham ha chiuso, la Marussia è fallita e risorta, Lotus rischia di farlo se non verrà acquistata da Renault, Sauber tira avanti solo grazie a Ericsson che ha un munifico sponsor alle spalle. Persino la McLaren non naviga in buone acque e a tre quarti di stagione non ha ancora uno sponsor principale. E qui si innesta l’altro pericolo di depauperamento del Mondiale che riguarda il calendario: con i diritti commerciali che sono diventati principale fonte di sostentamento per la maggior parte dei team, è giocoforza per Ecclestone allungare il calendario, spostare il Mondiale in quei Paesi che, avendo bisogno di visibilità per questioni economiche, sono disposti a investire capitali per costruire autodromi e organizzare GP e non concedere più deroghe (leggi sconti) alle piste storiche. Se Monza, Hockenheim, Nürburgring, Spa e Silverstone sono in grado di coprire la domanda della Fom, bene. Altrimenti, appare chiaro: se ne farà a meno. Ma un Mondiale con poche Case e senza palcoscenici storici quanto starebbe in piedi? E la Ferrari potrebbe accettare di esserne ancora protagonista?