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 2015  settembre 27 Domenica calendario

L’ORA FATALE. VENTI DI GUERRA A SAN SIRO

Il Balilla raggiunse a fatica la tribuna. Tutti lo fermavano, gli chiedevano l’autografo, volevano sapere del suo infortunio. «Peppino, come va il piede? Ti fa ancora male?». «Meglio, meglio...», si limitava a rispondere il Balilla cercando di liberarsi dall’abbraccio dei tifosi. Quel giorno, a San Siro, erano in quarantamila: uno spettacolo meraviglioso, e Peppino Meazza, detto il Balilla, si accomodò su una seggiola di legno, distese le gambe e si preparò ad assistervi. Domenica 2 giugno 1940, ultima giornata di campionato: Ambrosiana Inter-Bologna. Sfida decisiva per lo scudetto, perché le due squadre erano distanziate da un solo punto in classifica: Ambrosiana 42, Bologna 41. Meazza era emozionato, ma non lo dava a vedere, sempre elegante nel suo abito gessato, con i capelli impomatati e pettinati all’indietro e quel sorriso che aveva incantato le più belle donne di Milano. Lui era l’Inter: il capitano, il simbolo, l’uomo guida. Ma quell’anno non aveva mai giocato in campionato: un embolo aveva colpito il suo piede sinistro. Così, anche se non aveva ancora trent’anni, stanco dopo tante battaglie e appagato dalla gloria (aveva vinto due Mondiali nel 1934 e nel 1938), si era preso una pausa. Non considerava l’idea di ritirarsi, il dolore al piede era quasi sparito, però vedeva che quei ragazzi, laggiù in campo, correvano più veloci di lui.
LA TENSIONE Guardandosi attorno, durante la partita, il Balilla si accorse che negli occhi della gente non c’era soltanto l’emozione per quello che stavano vedendo. Il presente li faceva gioire, sì, ma il futuro? Quella folla, pensò Meazza, non era spensierata come avrebbe dovuto, c’era qualcosa che la turbava: erano mesi, ormai quasi un anno, che non si parlava d’altro che della guerra, l’Italia ne era ancora fuori, ma in tutta Europa si sparava e si lanciavano bombe. Prima o poi il fuoco avrebbe incendiato anche il nostro Paese, e il Balilla lo sapeva, lui che dal regime e da Mussolini era stato «adottato». Ne avevano fatto un’icona, il suo volto compariva nelle fotografie pubblicitarie e serviva a trasmettere un’immagine positiva e a creare consenso. Meazza sentiva che un’epoca, la sua epoca, stava finendo, e un’altra, decisamente peggiore, era soltanto all’inizio. E anche il popolo aveva quella convinzione. Ci si aggrappava allo sport, al calcio e al ciclismo in particolare, per dimenticare le ansie. Avviene sempre così. Mentre l’Ambrosiana Inter e il Bologna si sfidavano a San Siro, e in ballo c’era il titolo di campione, il ventenne Fausto Coppi, alla sua prima partecipazione, e il suo capitano Gino Bartali lottavano sulle montagne per conquistare il Giro d’Italia. Coppi, da gregario, aveva già «legnato» Bartali il 29 maggio sull’Abetone, e si era preso la maglia rosa.
LA PARTITA A Roma, chiuso nella Sala del Mappamondo a Palazzo Venezia, Benito Mussolini stendeva sulla scrivania un’enorme carta geografica e si faceva spiegare dai suoi collaboratori quali sarebbero state le prime mosse. L’intervento armato al fianco della Germania nazista era già stato deciso, ma non ne era ancora stato dato l’annuncio. L’Ambrosiana impiegò nove minuti a liquidare la pratica Bologna: un gol di Pietro Ferraris, detto Ferraris II, spianò la strada ai nerazzurri e il Balilla Meazza applaudì e si rilassò. Erano bravi, i suoi compagni: Perucchetti; Poli, Setti; Locatelli, Olmi, Campatelli; Frossi, Demaria, Barsanti, Candiani, Ferraris II. L’allenatore era un austriaco, Tony Cargnelli. Il presidente, Ferdinando Pozzani. Il Bologna di Biavati, quello che inventò il famoso «doppio passo», dovette inchinarsi. A San Siro quel giorno venne stabilito il record d’incasso: 471 mila lire. Nei viali intorno allo stadio cominciò la festa, gente che sventolava bandiere, grida, ma nessun incidente (almeno così riferiscono le cronache del tempo). E anche nei giorni successivi i tifosi dell’Inter, pur lasciandosi andare a normali manifestazioni di gioia, non crearono problemi di ordine pubblico. Il fatto era che nell’aria si avvertiva qualcosa di più grande che stava per accadere. Il 5 giugno, mentre a Milano si organizzavano cene in onore degli eroi dell’Ambrosiana, Coppi e Bartali, insieme, staccarono il gruppo e giunsero sul traguardo con un notevole vantaggio. Domenica 9 giugno Coppi conquistò il Giro: fu il vincitore più giovane della corsa rosa.
IL DISCORSO Lunedì 10 giugno l’Italia era un Paese in fermento. Era come se tutti già sapessero: le notizie correvano veloci. Alle sei del pomeriggio Benito Mussolini si affacciò al balcone di Palazzo Venezia e, davanti a una piazza strabordante, annunciò: «La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia». Il boato della folla fu la prova del consenso che il Duce aveva. Sulla Gazzetta dello Sport, in prima pagina, un corsivo intitolato: «Sportivi, a noi!». Tutti allineati, poche stecche nel coro. Il Balilla Giuseppe Meazza, come molti italiani, ascoltò il discorso di Mussolini alla radio, in casa sua. Poi si alzò dalla poltrona, il piede sinistro gli doleva ancora un po’, guardò fuori dalla finestra e pensò che la sua epoca, quel giorno, era davvero finita.

5 - Continua
(Pubblicate: 1a puntata 23 agosto; 2a puntata 30 agosto; 3a puntata 6 settembre; 4a puntata 20 settembre)