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 2015  settembre 24 Giovedì calendario

SCIMMIE, TIGRI E PIPISTRELLI NEL MENU’ DEI NUOVI RICCHI

In futuro potremmo aver bisogno di hamburger di medusa e di una gastronomia a base di insetti per fronteggiare la penuria alimentare di un mondo popolato da 9 miliardi di persone. Nel frattempo, rischiamo di mangiarci quel che resta della faune tropicali del Pianeta in nome di una commistione perversa di magia, medicina sciamanica e soprattutto l’emergente gusto delle élite globali - il rampante ceto medio che veste griffato ma non rinuncia alle tradizioni locali - per ciò che gli ecologi chiamano bushmeat, la carne selvatica di specie in rapido declino.
Nella fascia geografica tropicale di Africa e Asia il cibo esotico, spesso considerato un tonico corroborante, è sempre più ricercato man mano che la crescita economica traghetta queste economie in via di sviluppo verso stili di vita più opulenti. La caccia illegale che rifornisce di carni pregiate i mercati delle aree urbane è diventata in un decennio una delle principali cause di estinzione delle faune endemiche. La Iucn (l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) nella sua red list che elenca le specie minacciate ritiene che questo tipo di prelievo costituisca il fattore numero uno della scomparsa dell’85% dei primati e degli ungulati in pericolo o criticamente a rischio.
Le scimmie sono una piccola parte del menù. Nell’Africa centrale i bracconieri portano sui mercati rettili e grossi roditori. Una ricerca di Fauna & Flora uscita lo scorso agosto sul magazine Oryx ha rivelato che nella fascia di Paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea (Mali, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Benin, Togo, Nigeria, Camerun, Gabon) rapaci e soprattutto avvoltoi sono diventati una preda sempre più ambita. Su 67 mercati esaminati almeno il 41% degli animali selvatici in vendita erano nibbi e Necrosyrtes monachus, un avvoltoio molto raro.
In Indonesia vengono catturati anche i pipistrelli: il Daily Mail ha pubblicato foto impressionanti del mercato di Tomohon, in Sulawesi, con cataste di pipistrelli grossi come piccoli cani arrostiti interi. Sempre nell’isola di Sulawesi si commercia il babirussa (un parente del cinghiale con un grosso corno ritortno sul muso) endemico dell’isola. In Cambogia, nella cittadina di Ratanakkiri si possono acquistare cervi protetti, il muntjac e il sambar. Nella zona di libero scambio detta «Triangolo d’oro» tra Laos, Thailandia e Myanmar gli uomini d’affari cinesi bevono tiger bone wine, un intruglio alcolico in cui viene immerso lo scheletro intero della tigre. Lo yewei («aroma selvaggio», in cinese) comprende gechi del Tokai, lucertole, pitoni e tartarughe. Il flusso di animali trafficati segue rotte commerciali che congiungono Asia e Africa. Il pangolino africano sostituisce quello asiatico nei congelatori con destinazione Cina.
La ricerca sul campo è impegnata a capire le conseguenze ecologiche del fenomeno. Ad esempio, il rapporto tra specie cacciate e servizi ecosistemici o l’impatto del bushmeat sulla capacità degli habitat tropicali di rispondere al cambiamento climatico e all’assedio dei terreni convertiti ad agricoltura. Per ora sappiamo che la pressione costante sulle popolazioni di specie cacciate entra in una sinergia fatale con i processi di defaunizzazione delle foreste tropicali. Foreste che stanno già affrontando le conseguenze di un drastico tracollo dei predatori di vertice, come i grossi felini, e dell’assottigliamento di relazioni ecologiche essenziali. come la dispersione di semi a causa del bracconaggio sui grandi erbivori, che si riproducono lentamente e sono meno numerosi.
Oggi secondo il CIFOR (il Center for International Forestry Research) più di un miliardo di persone è costretto a contare solo sulla carne selvatica per aggiungere proteine animali alla propria dieta. La inarrestabile demografia umana è il comune denominatore tra i poveri degli slums e dei campi profughi, i lavoratori stagionali a basso costo delle compagnie petrolifere o delle piantagioni di olio di palma - che diventano in breve tempo clienti dei cacciatori - e i nuovi ricchi. Il cibo è lo specchio della nostra natura ecologica: siamo super-predatori, capaci di espandere all’infinito la nicchia geografica e tassonomica cui attingere per soddisfare i bisogni alimentari di una popolazione numericamente fuori controllo. E i suoi capricci.