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 2015  settembre 26 Sabato calendario

IL TUNNEL

È un po’ come se vi chiedessero: «Chi ha scritto l’Odissea?». Con pazienza Omero ne porta il peso da una trentina di secoli ma certezze non ce ne sono né in un senso né in un altro. Però l’Odissea resta lì, avventura senza tempo, avventura per tutti. Chi l’ha scritta l’ha scritta, mi basta goderne la lettura. E allora, se vi chiedono: «Chi ha inventato il tunnel?». È così importante? A chi tenta l’avventura, sia il Saponara di Empoli-Atalanta (cinque tunnel riusciti), Messi contro Milner (cfr. youtube...) o il ragazzino nel cortile, non importa chi l’ha inventato. Mi basta goderne il pathos: è adrenalina se ti riesce, è sconforto se ti dice male. Il tunnel è una sfida a quello che sei capace non tanto di pensare ma di sentire dentro. Non è una giocata che prepari, è più questione di fatidiche premesse: il sincronismo di esecutore e vittima. La versione del cinico: è irridere, il pallone fatto passare tra le gambe altrui. La versione dell’esteta: è danzare, un movimento di tre, il giocatore, l’avversario, il pallone. Quale sia il punto di vista, resta un fatto: il tunnel è a-logico; non privo di logica ma oltre la logica. Franco Causio, ex ala di Juventus e Nazionale: «No, il tunnel non si allena. Te lo senti e lo fai all’improvviso. È istinto».
Quando senti tunnel pensi a Sivori, Maradona, Riquelme, Messi. Argentina, Argentina e ancora Argentina. Non sappiamo chi sia il padre, ne conosciamo la madre. Il tunnel è una giocata molto argentina,fine ma provocatoria. Sì, molto argentina, a rifletterci. Non è un caso se i primi grandi interpreti visti in Italia erano emigranti di ritorno. Per dire: Renato Cesarini, stella della Juve anni Trenta (quella dei 5 scudetti di fila), amava il tunnel. Fu uno dei primi a mostrare da noi il giochetto. Angelo Rovelli, firma storica della Gazzetta, raccontò la sorpresa dei genovesi quando videro Guillermo Stabile: era l’autunno del 1930, l’attaccante a luglio aveva perso la finale del primo mondiale contro l’Uruguay. Debutto col Genoa, tre gol, uno dei quali segnato così: finta al bolognese Gasperi, palla sotto le gambe, corsa verso la porta, scaldabagno dentro la porta. Negli anni Cinquanta, Cesarini da allenatore del River e Stabile da ct dell’Argentina, lanciarono un ragazzino dall’aria scontrosa: si chiamava Omar. Se oggi in Italia dici tunnel ti rispondono: Sivori. Forse è un caso che Sivori sia stato allievo di Cesarini e Stabile. Forse no. Sivori ha fatto del tunnel uno status esistenziale. Il tunnel si era già visto ma non si era visto il lato oscuro del tunnel: il suo devastante potenziale psicologico. Se Meazza faceva un tunnel a un brasiliano nella semifinale mondiale del 1938, era una bella giocata e si proseguiva tra gli applausi del pubblico marsigliese. Se Sivori puntava un avversario e lo passava in tunnel era per dirgli: sei pura contingenza, la tua esistenza calcistica la decido io, decido io dove far scomparire e riapparire il pallone; sei pura contingenza. Scriveva Claudio Gregori, altra firma della Gazzetta: «Sivori fu il primo a istituzionalizzare il tunnel». Non era un trucco alla Garrincha, del tipo “niente di personale, amico, è solo che devo andare”; con Sivori suonava tipo “lo faccio e lo rifaccio, e la palla non la vedrai mai perché mai sarai quello che sono”. Irridente, quasi offensiva, superiorità.
Linguisti inglesi attribuiscono l’etimologia della parola usata per il tunnel, nutmeg (noce moscata) o semplicemente nut (nocciolina) a due origini: le «noccioline» (testicoli) sotto le quali passa il pallone nel tunnel; le finte noci moscate che a fine ottocento commercianti sudamericani (ma va?) spedivano in Gran Bretagna mischiate a quelle vere, costosissime: una piccola fregatura, per lucrare sul prezzo. Torniamo alla natura fedifraga del tunnel. Tutti d’accordo? Macché. Autunno 2010, Milan-Chievo (3-1): a centrocampo Ronaldinho fa un tunnel, in piroetta e con il tacco (!), a Luca Rigoni (oggi al Palermo). La giocata è ancora tra le più viste in rete. «Sì, l’ha fatto, e allora? Non ha influito sul risultato e la derisione non c’entra», dice Rigoni. Mistero tunnel, direbbe Dario Fo. Splendido mistero.