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 2015  settembre 28 Lunedì calendario

TOKYO, PROFITTI E FIUMI DI LIQUIDITA’: COSI’ LA BORSA-SAMURAI SOGNA IL 40% – 

L’Europa resta favorita. Gestori e banche d’affari lo ripetono da tempo e non hanno cambiato idea. Neppure dopo la violenta correzione estiva, che ha spinto il Vecchio Continente a -3,5% rispetto alle quotazioni d’inizio anno. Ma c’è una piazza lontana che, nonostante la caduta, ha mantenuto il segno più. Tokyo è in rialzo di 1,5 punti e secondo qualche analista potrebbe tornare a correre, più di altre, rovesciando i pronostici.
«Il nostro target per il Topix a fine 2017 è 2.000 punti», premette Cédric Le Berre, analista multi-management & fund research di Union Bancaire Privée. Equivale a un guadagno del 40% in conto capitale in poco più di due anni. «In questo arco di tempo — precisa Le Berre — ci aspettiamo che la Borsa giapponese superi l’Europa di almeno 5 o 10 punti percentuali».
Gli analisti chiamano in causa, in primo luogo, la dinamica degli utili. «Molte società nipponiche sono vicine ai massimi storici in termini di profitti; il mercato, invece, non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi», osserva l’analista di Ubp. I risultati delle aziende quotate a Tokyo sono incoraggianti e secondo Ernst Glanzmann, gestore del fondo Julius Baer Japan Stock Fund, supportano bene i corsi azionari: «durante l’attuale fase di consolidamento — spiega — le stime degli analisti sono state sistematicamente riviste al rialzo».
In Europa, la traiettoria dei profitti appare meno netta. A favore delle imprese giapponesi giocherebbero anche gli investimenti in conto capitale (capex): la spesa complessiva è salita da 60 trilioni di yen nel 2010 a 72 trilioni, ricorda Glanzmann, si avvicina ai picchi pre-crisi. «Dal punto di vista valutativo — conclude il gestore — il mercato nipponico appare più a buon mercato rispetto a quello europeo: gode perciò di un cuscinetto di sicurezza più solido per assorbire eventuali cattive notizie».
Ciò che preoccupa non è tanto il dato sulla crescita del Pil nel secondo trimestre, in calo dello 0,3% su base congiunturale, né il rallentamento dei consumi privati (-0,7%), derubricati a segni di una frenata fisiologica e temporanea: il recente annuncio di una riduzione delle tasse sulle aziende a partire dal 2016, da parte del Premier Shinzo Abe, potrebbe infatti favorire l’aumento dei salari e alimentare una ripresa più robusta dei consumi.
Timori
Semmai, i timori si concentrano sugli effetti collaterali della crisi dei mercati emergenti. Sono giustificati? Secondo una ricerca di Credit Suisse, appena pubblicata, l’esposizione dell’indice Nikkei 225 ai Paesi meno sviluppati è del 17% in termini di ricavi, in linea con Euro Stoxx 50 e Ftse 100. L’energia e il settore estrattivo, invece, valgono in Borsa solo l’1% del fatturato giapponese, molto meno rispetto alla zona euro (7%) e al Regno Unito (18%). A conti fatti, quindi, il Nikkei dovrebbe essere meno sensibile alla frenata del mondo emergente.
Sul Giappone, però, la Cina pesa di più: a livello di interscambio commerciale (rappresenta il 17% dell’export nipponico, il 9,7% nell’Ue) e nella percezione degli investitori, che ritengono Tokyo, a torto o a ragione, più vincolata alle sorti dell’Asia e di Pechino in particolare. Non è un caso che il rallentamento cinese abbia colpito in Borsa soprattutto il settore dei beni strumentali. «Siamo convinti, però, che da questa area possano provenire sorprese positive perché alcuni nomi sono stati penalizzati eccessivamente. Al contrario, settori come quello turistico o l’health care sono andati molto bene e potrebbero fare i conti con qualche delusione», osserva Glanzmann.
Sostegni
Intanto la Bank of Japan continua a garantire un supporto monetario ultra-espansivo. Per il momento, non è previsto un ampliamento del programma di acquisti della banca centrale. «Solo se i consumi e l’inflazione dovessero restare deboli avremo un’altra dose di allentamento quantitativo. Lo yen perderebbe ancora valore ma l’impatto sul mercato azionario sarebbe comunque modesto, perché finirebbe per scoraggiare le imprese a effettuare nuovi investimenti produttivi», osserva Le Berre. Rimane un punto interrogativo. «Prima o poi i mercati potrebbero rendersi conto che le banche centrali non possono da sole sostenere l’economia. Se così fosse — avverte Jacopo Ceccatelli, amministratore delegato di Marzotto Sim — gli investitori tenderebbero a focalizzarsi sulle situazioni dove i problemi di crescita lenta e deflazione sono più gravi e radicati. Il Giappone è ovviamente tra queste».