Arianna Ravelli, Corriere della Sera 26/9/2015, 26 settembre 2015
ARRIVABENE: “VETTEL, L’UOMO GIUSTO PER LA ROSSA. HA CARATTERE: UNO DI NOI”
SUZUKA Il momento è delicato, potenzialmente esaltante e pericoloso assieme: Maurizio Arrivabene dopo il trionfo di Singapore pensava di aver raggiunto gli obiettivi («Avevamo detto che con tre vittorie saremmo andati in Paradiso»), invece sente crescere diaboliche tentazioni mondiali. Materiale da maneggiare con cura. Per questo il team principal Ferrari che ci ha abituato al suo stile ultradiretto, parla di tutto, da Vettel alla vita nei boschi, ma pesa ogni virgola.
Ferrari dietro le Mercedes a Monza, davanti anni luce a Singapore. Dove sta la verità?
«Il comportamento della macchina cambia di pista in pista. Ci sono situazioni favorevoli, e allora si tratta di approfittarne, e altre meno. A Monza la performance è stata buona su un circuito che non era tra i nostri preferiti, ma che a me piace tantissimo e che spero continui a ospitare il Gp d’Italia. Quello che ho visto lì è stato fantastico».
Singapore è stata favorevole, Suzuka di nuovo ostile?
«In teoria sì, come Sochi. Ora è facile cadere nel trappolone: “Avete la chance di vincere il Mondiale, se non ci riuscite fallite”. Non è così. Tenteremo di cogliere ogni chance, ma con umiltà e piedi per terra».
Siete in lotta per il titolo?
«No. L’aritmetica dice di sì, ma la Mercedes rimane forte».
Quanto sente l’obbligo di vincere nel 2016?
«Il presidente Marchionne quest’anno ci ha dato una grande spinta e ovviamente pretenderà che nel 2016 siamo come minimo competitivi per la lotta al Mondiale».
La Ferrari potrebbe fornire i motori alla Red Bull: perché assumersi un rischio che la Mercedes ha evitato?
«Il rischio va giudicato in pista, non a priori. Noi, come Mercedes, vendiamo auto e motori: è lecito parlare con chiunque senza farsi remore. Poi è ovvio che per concludere un affare domanda e offerta devono incontrarsi».
È un ricatto quello di Red Bull che dice che senza motori competitivi lascerà la F1?
«Diciamo che vincere piace a tutti. Noi compresi».
Ferrari ha definito la collaborazione con il team Haas: al di là dell’entrata economica, ne trarrà vantaggi tecnici?
«È un accordo articolato, ma in linea con i dettami della Fia, che è stata informata di ogni passo e a luglio ha fatto un’ispezione a Maranello. Non è corretto parlare di vantaggi e se non l’avessimo fatto noi questo contratto l’avrebbe firmato qualcun altro».
I piloti di Haas dovrebbero essere il vostro Gutierrez e Grosjean, verso il quale la Ferrari può esercitare un’opzione nel 2017.
«Non so, Haas non ci informa prima dei suoi piani. Ovvio che se ci chiedesse suggerimenti saremmo pronti a darli, magari creando una collaborazione simile a quella tra Red Bull e Toro Rosso».
Manterrete l’Academy?
«Finora non abbiamo avuto il tempo di occuparcene, però c’è l’intenzione di mantenerla come fucina di talenti che in Haas potrebbero trovare uno sbocco».
Il rinnovo di Raikkonen si spiega con l’importanza della stabilità?
«Qualche suo collega ha scritto che ci pentiremo. Sarei ben felice di pentirmi se vincessimo il Mondiale. I piloti sono importantissimi, ma altrettanto importante è la collaborazione in squadra».
Davvero Vettel le ricorda Michael Schumacher?
«Molti dicevano che Seb vinceva solo perché aveva la macchina migliore e in certi momenti l’ho pensato anch’io. Oggi che lavoro con lui posso dire che, sotto certi aspetti, è anche meglio di Michael».
Tecnicamente o come carattere?
«Come carattere, perché Michael era uno introverso che si apriva solo con una stretta cerchia di persone. Seb è più solare, i ragazzi lo sentono uno di loro. Poi quando deve dire la sua non cede di un millimetro».
Cosa non ha funzionato con Alonso? Vede parallelismi con il capitolo Valentino-Ducati?
«Quanto ad Alonso non ho vissuto le cose dall’interno, conosco in maniera più diretta la vicenda di Valentino. Mi sembrano due storie completamente diverse».
Qual è la prima cosa che ha cambiato arrivato in Ferrari?
«Avevo le mie idee, ma sarebbe stato stupido agire immediatamente e da solo. Come prima cosa ho ascoltato il presidente e condiviso le scelte con lui».
Marchionne riesce a essere presente a Maranello?
«La presenza fisica non è così importante, è importante la guida strategica. Io amo la musica classica: lo paragonerei a un musicista che scrive la sinfonia, noi siamo l’orchestra che deve interpretarla al meglio. Scriverla è più difficile, a noi spetta di non steccare».
Com’è la sua F1 ideale?
«L’ho vissuta 25 anni fa, per almeno 15 anni. Era competizione, spettacolo, cameratismo dopo la battaglia. Oggi vedo borse firmate, jet ed elicotteri: il mondo è cambiato ma non a tal punto da dimenticare che tra i vostri lettori c’è gente normale che chiede solo di essere più vicina a questo sport. Cerchiamo di farli sognare».
Quanto le è cambiata la vita da team principal Ferrari?
«Devo fare alcune cose che sono assolutamente contrarie al mio carattere, tipo apparire. Mi crea meno imbarazzo dormire in un sacco a pelo in un bosco che stare qui a fare quest’intervista. Io sono quello dei boschi, non l’altro».