Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 26/9/2015, 26 settembre 2015
«PRIMA NOI, POI I MIGRANTI» IL MALESSERE LUNGO IL PO
C’è un paese sulla sponda emiliana del Po dove sono tornati Peppone e don Camillo. Ma il sindaco non è più rosso, è leghista, respinge i migranti e vuole aumentare la Tasi a coloro che li accolgono, «giuda che tradiscono i concittadini per 30 euro al giorno». Il parroco ai migranti ha aperto la canonica: «Sono ragazzi meravigliosi, ne faremo tanti italiani». Il cambiamento è epocale al punto che qui a Bondeno, secondo gli schemi di un tempo, Peppone è di destra, don Camillo di sinistra.
Terra d’acque. Da Ferrara si scende verso il Po tra canali, rogge, dighe, argini, file di pioppi, stormi di uccelli lacustri che si alzano in volo. Il Duomo è coperto dai ponteggi, le finestre del Comune sono puntellate, il paese appare pericolante. «Ci siamo beccati entrambi i terremoti del 2012 — racconta il sindaco, Fabio Bergamini —. Il primo fu un colpo durissimo. Il secondo ci ha giustiziati. Ho 730 persone fuori dalle loro case, ci sono contadini che dormono nei prefabbricati per non abbandonare le cascine agli sciacalli. Qui i clandestini non li possiamo accogliere. Prima i nostri. Invece il parroco. ..» .
L a chiesa di don Giorgio Lazzarato è in località Salvatonica, a cinque minuti di macchina. I suoi ragazzi ne parlano come di un santo. In paese qualcuno dice che «è un po’ strano, ha la mania di accogliere tutti». Vent’anni fa, ad esempio, aprì un ostello per 110 cani abbandonati, provocando una rivolta tra gli abitanti indispettiti dai latrati. Don Giorgio affrontò uno di loro «con una serie di improperi, offese ed espressioni da caserma» scrisse La Nuova Ferrara , che gli sono costati un processo e una condanna al risarcimento danni. «Diecimila euro ho dovuto pagare. Tutto falso: erano loro a minacciare me — racconta il parroco —. Uno mi augurava di sprofondare. È sprofondato lui, nel canale sotto casa: annegato. Prego ogni sera per la sua anima. Alla fine il canile l’ho dovuto chiudere. Al suo posto aprirò un altro centro di accoglienza».
Peppone in fondo rispettava don Camillo. Dice il sindaco che «il parroco è un generoso, un uomo di valore. Lo conosco da una vita: lavoravo in prefettura, allo sportello unico per l’immigrazione. Per questo so una cosa che lui non ha capito. Il governo, oltre a non saper gestire l’emergenza, sta aprendo le porte all’invasione finale: chi non ha diritto di asilo riceve il permesso umanitario di soggiorno, validità un anno, rinnovabile; in pratica, una gigantesca sanatoria». L’avanguardia è già qui: i ragazzi del parroco. «Non sono migranti; sono clandestini — sostiene il sindaco —. La sinistra controlla le parole, e pensa in questo modo di controllare le cose; ma non funziona così. Alcuni sono afghani, e passi: si sa che in Afghanistan c’è la guerra dai tempi di Alessandro Magno. Ma altri vengono dal Pakistan, dal Mali, dalla Nigeria, dal Senegal. Che guerra c’è in Senegal?». In Nigeria ci sono i terroristi di Boko Haram. «È quello che dicono tutti. Questi però vengono da Benin City. Mi sono informato: è una delle capitali del Sud, laggiù Boko Haram non l’hanno mai visto. Intanto i nostri contadini cominciano a lamentarsi per i furti. Spariscono piccoli trattori, tagliaerbe, ogni sorta di metallo. Io so che non sono i ragazzi di don Giorgio: non hanno nessun interesse a rubare, e lui non glielo permetterebbe mai. Ma la gente pensa che siano loro. Perché ha paura. Farò mettere dappertutto telecamere per sorvegliare».
Don Camillo in fondo voleva bene a Peppone. «Come potrei voler male al sindaco? — dice il parroco —. Sono qui in paese da quando era bambino. Subisce un diktat politico da Salvini. La gente non va spaventata; bisogna aprirle gli occhi. Tutti abbiamo alle spalle alluvioni, guerre, ora pure terremoti. Tutti dovrebbero conoscere Farid, che viene da una zona del Pakistan funestata dai talebani. I genitori sono riusciti a mandarlo in Grecia, dove faceva il pastore. Ha vissuto da solo per tre anni, parlava soltanto con le pecore. Da noi ha imparato l’italiano in 93 giorni; ieri è entrato in terza media a Ferrara. Cyrus ci ha messo sei anni ad arrivare qui dall’Afghanistan: parla tutte le lingue dei Paesi che ha attraversato, pashtun, urdu, tedesco, turco. Il turco l’ha imparato in galera a Istanbul, chiedeva agli altri reclusi: “Parlate con me”. “Di cosa dobbiamo parlare, siamo stati tutto il giorno qui dentro” gli rispondevano. “Non fa nulla, io devo imparare il turco”. Ha compiuto 18 anni la settimana scorsa, gioca molto bene a calcio. Ma il più promettente è Nyang, senegalese, un’ala sinistra molto tecnica: l’ho già segnalato alla Spal».
Dice il sindaco: «Se mi chiamano razzista mi arrabbio. Io non sono un uomo di destra. Quelli di Casa Pound non li voglio neanche vedere. Sono un leghista emiliano. E qui la Lega ha un’anima popolare. La gente vota a sinistra alle politiche, come sempre, e vota per noi alle amministrative, compresi i volontari alle feste dell’Unità, perché sanno che ci battiamo per loro. Bondeno è medaglia di bronzo della Resistenza: le donne assalirono il Comune per bruciare i registri della leva di Salò. Mio nonno arrivò qui da profugo, scampato alle rappresaglie sull’Appennino: è ancora vivo, lui e papà fanno i parrucchieri. Dei 730 fuori casa, 109 sono stranieri, di cui 57 minori; i bambini italiani sono solo 50». Perché non impiegare i migranti nei lavori della ricostruzione? «Prima li dovremmo assicurare: costa troppo. Potrebbero falciare l’erba, aiutare le vecchiette. Ma don Giorgio non me l’ha proposto. Ha preferito isolarsi». Dica la verità: questa storia della Tasi più alta per chi accoglie i migranti è una bufala per finire sui giornali. «Tutt’altro. Sto aspettando il parere legale. Noi facciamo le cose per bene: solo ordinanze non impugnabili. Le case vengono assegnate in base all’anzianità di residenza. All’asilo nido hanno la priorità i figli delle mamme che lavorano, cioè le italiane: i marocchini le mogli le tengono a casa».
La comunità di don Giorgio è un posto semplice: la mensa, le brande, la sala tv, il parco giochi con i cartelli «Fort Apache» e «Tahiti». I primi ad arrivare furono gli albanesi, nel 1991. Racconta il parroco che uno di loro adesso fa il parlamentare a Tirana: «Si chiama Cara Parid, ha aperto un’azienda edile a Bondeno, è stato eletto senatore nel suo Paese. Noi non abbiamo idea del potenziale di questi ragazzi, e del calvario che hanno sofferto per le vessazioni burocratiche. Quelli di Forza Italia girano con gli occhi bassi, non sono d’accordo con il sindaco, sanno che fa propaganda: tanto in paese nessuno affitta ai migranti. L’unico sono io: pago 650 euro al mese per un appartamento che ho ceduto a una famiglia di pachistani; avevano cambiato 36 case in quindici anni». Una volontaria milanese tiene un corso di filosofia: «Lei non può sapere quale emozione ho provato nel sentire uno di questi ragazzi citare Platone. Mi è sembrata una conquista della nostra cultura, mi sono detta: qui oggi comincia l’Europa. Mio padre, ebreo russo, mi ha insegnato che quando scappi le poche cose che puoi portare con te sono chiuse qui dentro, nella tua testa. Questi ragazzi portano con sé ancora troppe poche cose. Abbandonarli a se stessi è omissione di soccorso. No, il mio nome non lo scriva: qui tutti hanno i nervi a fior di pelle. A loro dico sempre: non rispondete alle provocazioni; se vi danno un pugno fate finta di niente, se ci riuscite».
Il sindaco tiene botta: «I miei assessori sono con me. Cristina Coletti di Forza Italia stava celebrando un matrimonio il giorno della marcia degli scalzi: la sposa ha invitato tutti a togliersi le scarpe per solidarietà con i migranti. L’assessore ha detto: “Se non vi rimettete subito le scarpe, non vi sposo più”. Si sono rimessi le scarpe. Altro che reazionari razzisti; noi siamo i resistenti del buonsenso».
Dice il parroco che «i terremotati sono divenuti un alibi per il sindaco: se tutti e 730 avessero la casa, quale pretesto si inventerebbe lui per tenere lontani gli stranieri? Allo stesso modo, gli stranieri stanno diventando un alibi per noi italiani. Se l’Italia va male è colpa loro. Io invece dico che l’Italia potrebbe andare meglio grazie a loro. E tu giornalista vedi di scrivere bene, anzi non scrivere nulla: altrimenti ti mando i miei romeni. Il più basso è un metro e novanta».
Alla fine, Peppone e don Camillo erano due emiliani. Uomini della bassa padana, pieni di iperboli, meno duri di quel che vorrebbero sembrare, capaci nelle giornate migliori di mettersi d’accordo, restando legati a valori inconciliabili. Ricorda il parroco che in fondo nel Ferrarese ci sono appena 600 migranti per 350 mila abitanti. Risponde il sindaco che sono soltanto l’avvisaglia di una questione destinata a durare più della guerra fredda.
(3 - continua )