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 2015  settembre 26 Sabato calendario

LUCCI IENA PER SEMPRE

«Eeeh senta, dobbiamo fare un nuovo programma con Simona Ventura. Se è interessato, ci ricontatti». La carriera di Enrico Lucci, oggi Iena di successo, è cominciata da un messaggio in segreteria. «Me lo ha lasciato Mediaset, con quella e stretta che c’avete voi milanesi. Dai Castelli romani sono partito per Cologno Monzese e, in 18 anni, non sono più andato via». Lucci, i primi passi mossi «in televisioni localissime, piuttosto tristi», degli anni non sente il peso. Unico veterano del programma di Davide Parenti, è pronto a ricominciare, alle 21.10 di domenica. Sempre su Italia 1, con Teo Mammucari e Ilary Blasi.
Lucci, non è stanco del tempo passato ad indossare giacca e cravatta, castigando e fustigando chi incontra?
«Stanco no. Le Iene mi calzano a pennello. Quel che non mi piace di questo mestiere è la definizione di “castigatore”. Io non castigo nessuno: microfono in mano, mi limito ad osservare. Inoltre, da cinque anni, ho un nuovo autore, Umberto Alezio. Uno di quelli che se necessario mi prendono per le orecchie e mi trascinano a lavorare».
A lavorare e a prendere in giro. Com’è possibile farlo senza che l’interlocutore se ne accorga?
«Macché prendere in giro! Io racconto solo la nostra epoca, l’età della grande scemenza. I personaggi che intervisto fanno tutto da sé: sono loro a costruire l’immagine che poi passa in televisione. Sia essa più o meno ridicola».
I soggetti come li sceglie?
«Dipende. A volte mi arrovello per trovarne uno buono. Altre volte, l’idea viene dall’attualità, dalla lettura di qualche giornale. Altre ancora, invece, la squadra che ho dietro decide di soddisfare un prurito, andando a pescare quel che ci dà fastidio».
Negli anni, lei si è sempre vantato del servizio in cui è riuscito a far rinnegare Mussolini a Fini. Qual è, invece, il servizio che vorrebbe non aver mai fatto?
«Oh, sì. Quel servizio è la mia medaglia: un vanto. Da che sono a Le Iene, però, ho fatto circa 900 servizi, alcuni terribili. Guardandomi alle spalle, ne trovo tanti brutti, bruttissimi, a volte persino sbagliati. Tuttavia, non ne rimpiango nessuno, non mi vergogno di niente».
Nemmeno delle querele...
«Per carità! Di querele ne ho prese a iosa. Ho ricevuto qualche minaccia e prestato l’orecchio a molte proteste. Grazie ai nostri splendidi avvocati, però, ho sempre vinto su tutti».
Eppure qualcuno ancora critica il suo approccio al mestiere, come a dire che Le Iene non sono quel che dovrebbero. Secondo lei, invece, quali sono i programmi tv che fanno male davvero?
«Mah, male alla società lo fanno un sacco di cose. Nessuna di queste però credo sia di natura televisiva. Prenda me, ad esempio. Io guardo tutto: faccio zapping, mi gusto persino la zozzeria. Eppure sono sano. Quel che fa male, oggi, è spendere intere giornate davanti alla televisione o ai computer, come se fuori non ci fosse un mondo».
I social network hanno inventato dinamiche nuove, determinanti anche per il suo lavoro.
«Già, ma lei non si immagina quanto comoda sia per me questa cosa dei social network. Facebook e Twitter hanno convinto la povera gente a mettersi completamente in vetrina. Le hanno raccontato che ostenta-
re è giusto, che la libertà, quella vera, non sta nello scomparire ma nel mostrarsi. Non c’è più bisogno di fare niente, allora. Chiunque ormai si sputtana da solo».
Qualcosa da dire, però, dovrà pur essere rimasto. Chi, ancora, le piacerebbe intervistare?
«Ah, potessi, mi piacerebbe raggiungere il Santo Padre. Dopo parecchi secoli di religione, sta procedendo nella direzione giusta. Dice cose ovvie, cose che Carl Marx diceva cent’anni fa. Eppure è considerato un genio. Mi piacerebbe chiedergli, allora, se seguendo la logica delle sue parole crede ancora all’esistenza di Dio».
Come saranno Le Iene senza Gialappa’s?
«I tre della Gialappa’s sono delle persone magnifiche, grandi artisti. Ma ce la faremo anche senza di loro. In diciott’anni, non ricordo un conduttore che abbia fatto la differenza. Non la faranno neanche loro. Le Iene sono un programma corale, collettivo nel senso più puro della parola».
Dove si immagina tra dieci anni?
«E dove devo andare? Ormai è quasi finita la vita, c’ho 52 anni. Se non mi schiodo prima, rimarrò a Le Iene».
Mi tolga una curiosità, non avesse fatto la Iena, cosa avrebbe fatto?
«L’assassino» (ride, ndr).