Gianluca Paolucci, La Stampa 28/9/2015, 28 settembre 2015
I 50 CHILOMETRI DEL RISPERMIO TRADITO CHE AFFOGANO VICENZA E MONTEBELLUNA
Nell’ennesima storia italiana di risparmio tradito c’è la madre vedova di un disabile che aveva investito il «tesoretto» per garantire un futuro al figlio. L’anziano che ha bisogno dei soldi per pagare la badante e non sa come fare. Quello che si è fatto prestare i soldi dalla banca per comprare le azioni della banca e adesso la banca chiede indietro i soldi del prestito ma lui non può vendere i titoli. E tante famiglie e imprenditori, grandi e piccoli, che ci hanno investito i risparmi propri e le risorse dell’azienda.
Ecco perché «Veneto Banca e Popolare di Vicenza non sono più un problema finanziario ma un problema sociale», come dice serio un banchiere milanese. I numeri sono questi: messe insieme, le due popolari venete hanno 205 mila soci. Il valore dell’investimento totale oggi è di 8,3 miliardi. Nel momento di massimo splendore i miliardi erano quasi 10. Adesso dovranno fare entrambe un altro aumento di capitale. Sono un miliardo per Veneto e 1,5 per Vicenza. Altri 2,5 miliardi da aggiungere al conto. Per capire di cosa stiamo parlando basterà ricordare che Parmalat, il più grande crac della storia d’Italia, fallisce lasciando disperati 100 mila risparmiatori esposti per un ammontare di circa 10 miliardi di euro.
Padri padroni e stress test
Vicenza e Montebelluna, sede di Veneto Banca, sono separate da 54 chilometri di capannoni e accomunate adesso da questo attentato al pubblico risparmio. Due storie simili di banche cresciute troppo, con i prezzi delle azioni stabiliti a tavolino con l’attenzione più al consenso che ai valori reali. E con due padri-padroni, Gianni Zonin a Vicenza e Vincenzo Consoli a Montebelluna, che seppur con ruoli diversi ne hanno guidato per troppo tempo i destini.
Poi arrivano gli stress test che mettono in luce tutte le debolezze dei due istituti. La legge di riforma che impone di dire addio al modello Popolare di «una testa un voto» per aprirsi al mondo. E la vigilanza della Banca centrale europea e le inchieste della magistratura. Risultato (provvisorio): quei titoli una volta «sicuri» valgono il 20% in meno dei valori massimi. E soprattutto nessuno li può vendere perché nessuno li compra.
«C’è e ci sarà sicuramente un impatto economico, ma anche simbolico» spiega il sociologo Daniele Marini, che vive a Treviso ed è cresciuto a Vicenza. Marini parla delle due banche diventate grandi e rimaste locali come di una «seconda chiesa», «che in questo caso ha tradito aspettative e promesso un Eden che non si è rivelato tale».
Altro che Eden. «Secondo lei, quanto posso recuperare dei miei soldi?» chiede un imprenditore-azionista dopo aver raccontato la sua storia.
I soldi evaporati?
Lui è diventato azionista nel 2012, voleva una linea di credito e a Veneto Banca gli hanno detto gli avrebbero dato 500 mila euro a patto di usarne 150 mila per diventare azionista.
Giriamo la domanda a Francesco Zen, che insegna economia degli intermediari finanziari all’Università di Padova: «Sulla base del patrimonio netto valevano tra 33 e 36 euro per azione Vicenza e 20/21 euro Veneto Banca». Fa già la metà rispetto ai massimi, rispettivamente, di 62,5 e 40,75 euro. «Questi però sono i calcoli sulla base del bilancio 2014. Poi ci sono state le semestrali con perdite importanti e l’annuncio degli aumenti di capitale. Poi ci sono ulteriori accantonamenti per i rischi legali che dovranno affrontare, l’effetto diluitivo degli aumenti, tutti elementi che abbassano ancora il valore». Di quanto professore? «Stiamo aggiornando i nostri studi, le incognite sono tante». Zen collabora con lo studio legale Zanvettor Bruschi di Treviso, dove hanno messo in piedi una task force per assistere i clienti dei due istituti. Ma il problema vero è un altro. «Quei soldi sono bloccati - dice l’avvocato Maria Bruschi - e molti ne hanno bisogno. Cerchiamo di dare aiuto almeno ai casi più gravi e urgenti».
Le manovre dei grandi soci
I grandi soci cercano di organizzarsi. Loris Tosi, avvocato, si è fatto portavoce di una cordata che rappresenterebbe l’8% del capitale di Veneto Banca. Vogliono rimandare la quotazione in attesa di dare maggiore stabilità all’istituto. A Vicenza sperano nell’intervento di Fondazione Cariverona. Alberto Baban, presidente delle piccole imprese di Confindustria, si dice disposto a investire in entrambi gli istituti.
Il presidente dell’Unione industriali di Vicenza, Giuseppe Zigliotto, è già azionista della Popolare, siede nel cda ed è indagato. Anche il presidente di Confindustria Veneto è nel cda, non indagato. Così come sono in consiglio i rappresentanti delle associazioni degli artigiani, degli agricoltori, del tessuto produttivi di uno degli angoli più ricchi d’Italia. «Sarebbe un disastro se a pagare il conto fossero solo i piccoli» dice il sindaco di Vicenza, Achille Variati, che esprime tutta la sua preoccupazione. Teme «il colpo che arriverà quando la banca (BpVi, ndr.) sarà quotata» e il prezzo delle azioni molto più basso, pur esprimendo fiducia nel nuovo ad, Francesco Iorio.
A questo punto occorre parlare delle responsabilità di una situazione che è andata avanti per anni col beneplacito di tutti. Azionisti, controllori e controllati. Se ne stanno occupando le procure di Vicenza e di Roma (per Veneto Banca). Il procuratore di Vicenza Antonino Cappelleri appare cauto ma determinato. Un suo predecessore ha lasciato la toga ed è stato assunto in banca. Lui per non correre rischi fa il pendolare con Padova.