Stefano Filippi, il Giornale 28/9/2015, 28 settembre 2015
QUEL FUMO DI SIGARI CHE FA BENE ALLA CONCORRENZA
Vietato chiamarli toscani: il marchio del sigaro semi-monopolista in Italia è registrato. Ma all’occhio profano assomigliano parecchio allo «stortignaccolo»: scuri, nervosi, bitorzoluti e a forma di cono troncato. Hanno nomi che evocano tradizioni antiche («Mastro Tornabuoni»), fumatori illustri («De Amicis»), tipicità territoriali («Nostrano»), orgoglio nazionale («Ambasciator Italico»). Rappresentano la concorrenza all’ammezzato che pendeva dalle labbra di Garibaldi e Mascagni, di Soldati e Brera, di Totò e del Clint Eastwood pistolero nei western all’italiana, e che oggi è un talismano trasversale per politici e intellettuali: Bossi e Bertinotti, Bersani e Buttiglione, Roberto Vecchioni e Giuliano Ferrara, e pure di uno sportivo come Marcello Lippi.
APERTA LA CACCIA AL TOSCANO
La caccia al Toscano, che nel 2015 compie 200 anni, è un fenomeno pressoché agli inizi, tant’è vero che le nuove manifatture mettono in vendita soprattutto sigari ammezzati, che richiedono una stagionatura più breve, hanno prezzi competitivi e un mercato maggiore. Ogni avventura imprenditoriale ha la sua storia. Cesare Pietrella, presidente del Moderno opificio del sigaro italiano (Mosi) di Orsago (Treviso) che produce l’Ambasciator Italico, non nasconde di voler intaccare il monopolio del Toscano che con la tradizione, la qualità e la vasta gamma detiene oltre il 90 per cento del mercato nazionale.
«La concorrenza fa bene a tutti - dice Pietrella -. Le Manifatture sigaro toscano (Mst) fanno un buon prodotto, ma c’è spazio per altri sigari di qualità perché il fumatore lento ama le novità e le alternative. E noi con l’Italico guadagniamo il 10 per cento mese su mese, valorizzando la produzione artigianale di casa nostra e la grandissima esperienza di Domenico Napoletano, uno dei maggiori master blender italiani che collabora a perfezionare la produzione».
Gabriele Zippilli, patron della Compagnia sigarai toscani di Sansepolcro (Arezzo) che da qualche mese commercializza il Mastro Tornabuoni, ha dedicato una vita al tabacco come agronomo, produttore e rappresentante della categoria: «La Cst è il coronamento di un sogno. Nel 2009 ho ristrutturato le mie aziende per cominciare a produrre i sigari che avevo in mente da anni; abbiamo avviato sperimentazioni nelle colture a basso impatto e recuperato la lavorazione tradizionale, interamente a mano senza ausilio di macchinari. Con le macchine, vecchie glorie dismesse dal Monopoli, lanceremo altri brand utilizzando metodi impiegati fino al 2000».
Tra gli appassionati del fumo lento il Tornabuoni, sigaro italiano a chilometro zero, è il fenomeno dell’estate ma c’è grande interesse per tutte le novità. «Il fumatore di sigaro – dice Luca Cominelli, fondatore del blog CigarsLover.com – è riflessivo, consapevole, curioso. Fuma meno ma fuma meglio, coglie anche piccole variazioni nella qualità del prodotto e negli anni scorsi il Toscano non è stato esente da critiche. Le alternative sono sempre accolte con favore, si può assaggiare, scegliere. E qualcuno decide di abbandonare le vecchie abitudini».
SCORCIATO E AMMEZZATO
Per scardinare il monopolio di Mst ogni manifattura ha la sua ricetta. Il Mastro Tornabuoni è prodotto a mano con tabacco della Val Tiberina e lavorazione «long filler», cioè a foglia intera non soltanto per la fascia ma anche per il ripieno. L’Ambasciator Italico utilizza Kentucky italiano per il ripieno e nordamericano (più pregiato) per la fascia e propone anche varianti aromatizzate.
Nell’ammezzato De Amicis di Amazon Cigars&Tobacco, azienda dal nome inglese ma con sede a Benevento (zona tipica di coltivazione), si impiega tabacco nazionale che però viene lavorato a Tarapoto, in Perù, in un clima equatoriale dove fermenta senza additivi. Amazon è poi l’unica etichetta nazionale che produce un sigaro (l’Arabesque) con tabacco Kentucky italiano dalla forma di un «petit corona» caraibico.
Diverso il caso dell’Antico Nostrano del Brenta, che rinverdisce una tradizione vecchia di cinque secoli: presso Bassano si trovano le coltivazioni più antiche d’Italia. Racconta Giuseppe Zuccolo, del Consorzio tabacchicoltori Monte Grappa, che nella valle del Brenta il tabacco fu introdotto nel 1550 da monaci benedettini di ritorno dall’America Latina. La varietà non è il Kentucky utilizzato per il Toscano ma l’autoctono Nostrano, un Havanna ambientato in Veneto. Sigari con un gusto meno grintoso e più aromatico, più affini ai cubani che allo stortignaccolo anche nella costruzione (hanno fascia, sottofascia e ripieno) e nella cura, la quale avviene all’aria e non a fuoco.
BASTA AIUTI UE AL TABACCO
Varietà, lavorazione, manodopera, passione. Ma l’assalto al Toscano si gioca anche su terreni meno tradizionali come l’incarto. Lo «scorciato» Mastro Tornabuoni ha una confezione spartana, essenziale, mentre le scatole dell’Italico si presentano con una grafica retrò anni ’50 da «poveri ma belli»: «In questi anni di crisi torniamo al dopoguerra – spiega Pietrella -, a un periodo di ripartenza, di grande positività. D’altra parte, chi lavora qui a Orsago ha un’età media tra 28 e 30 anni. E il sigaro sta conquistando anche i giovani».
Lo spazio di mercato esiste. Il tabacco da sigaro rappresenta meno del 10 per cento della produzione italiana, che per quantità è la prima in Europa e la decima nel mondo. Ma mentre il consumo di sigarette è in calo drastico, il fumo lento cresce. Moda, piacere, ma anche business. Secondo il Rapporto annuale sul fumo 2015 dell’Istituto superiore di Sanità, dal 2003 (anno in cui fu introdotto il divieto di fumare nei luoghi pubblici) al 2014 la vendita di sigarette è scesa del 26,7 per cento; al contrario quella dei sigari è cresciuta del 35,5.
Dice Luigi Auriemma, amministratore delegato dell’Organizzazione nazionale del tabacco (Coldiretti): «Il tabacco è uno dei pochi prodotti agricoli che non gode più di sovvenzioni europee come conseguenza delle politiche antifumo. La coltivazione delle varietà da sigaro contribuisce a mantenere un settore che nel complesso vale 135 milioni di euro, 300 milioni con l’indotto, e impiega 50mila addetti alla produzione e alla prima trasformazione in circa 3.000 aziende, la maggior parte concentrate in Campania».
SCARAMUCCE TRA COMPETITOR
Nel 2011, conferma Zuccolo, i tabacchicoltori del Monte Grappa hanno rilanciato la produzione di sigari (che un tempo si chiamavano i «pifferi del Brenta») proprio per reagire alla fine degli aiuti Ue. Ed ebbero una grossa mano da Mst, che li sostenne con la propria rete distributiva anche perché Toscano e Nostrano si rivolgono a fumatori dai gusti diversi e quindi non si pestano i piedi.
Qualche scaramuccia invece si è sviluppata con altri competitor. «Eravamo vicini a un accordo con il marchio Avanti per le loro macchine, improvvisamente si è inserita Mst ed è saltato tutto», svela Pietrella di Mosi. Al Cst è stato ricordato che Toscano è un marchio registrato posseduto da Mst. Il mercato è in fermento. Come le foglie di tabacco dopo la cernita.