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 2015  settembre 26 Sabato calendario

ALL’ASTA IL PRIMO CONTRATTO DEI BEATLES COSÌ NACQUERO A TAVOLINO I MITICI FAB FOUR

Uno dei documenti più importanti della storia della musica pop andrà all’asta il 29 settembre da Sotheby’s a Londra. Sarebbe un peccato se ad aggiudicarselo fosse un privato: il contratto firmato il 1° ottobre del 1962 dai Beatles con il loro manager Brian Epstein meriterebbe infatti di stare in un museo. Senza il fortuito incontro tra un gruppo musicale allora sconosciuto e un giovane commesso di un negozio di dischi di Liverpool, i Beatles non sarebbero diventati quello che sono stati e la storia della musica sarebbe molto diversa.
Epstein aveva respinto ogni tentativo dei genitori di dargli un’istruzione regolare, ma lavorando nel loro negozio aveva sviluppato una grande abilità nello scoprire talenti nascosti. Nel 1961, molte ragazze gli chiedevano dischi dei Beat Brothers, una delle cento band di Liverpool che suonavano all’epoca, e che aveva inciso qualcosa in Germania. Epstein ascoltò quei ragazzi al Cavern Club e ne fu folgorato. Ma c’era molto da fare: i giacconi di pelle e i jeans che indossavano non andavano bene, bevevano e mangiavano sul palco ed erano sguaiati come tutti gli altri gruppi della città.
ACCOMPAGNATI DAI PAPÀ
Epstein si propose come manager e fu preparato un contratto che i rinnovati Beat Brothers, i Beatles, firmarono a casa di Pete Best, il loro primo batterista. Quel contratto non era valido per tante ragioni: George e Paul erano minorenni e Epstein non l’aveva nemmeno firmato. Quando Richard Starkey (Ringo Starr) entrò nella band, se ne stilò un secondo, quello che va all’asta da Sotheby’s per una cifra che dovrebbe facilmente raggiungere i 700 mila euro. Il documento reca anche le firme dei padri dei minorenni George e Paul, e prevede che si possa ottenere la sostituzione di un membro della band se due dei componenti la richiedono. John Lennon ha dovuto firmare più volte, dopo averlo fatto ripetutamente nel posto sbagliato.
I Beatles si misero completamente nelle mani del loro manager. Spettava solo a lui decidere come si sarebbero vestiti e pettinati, quali tour e quali concerti avrebbero fatto, come avrebbero eseguito l’inchino alla fine sul palco e quali dischi avrebbero inciso. Epstein chiese e ottenne per sé il 25% di tutti gli introiti, una percentuale enorme, ma non si rivelò altrettanto bravo nel gestire gli interessi del gruppo: la quota di ricavi dalla vendita di dischi era molto bassa, le società che gestivano il merchandising incameravano il 90% degli introiti e molte tournée, come quella americana, si chiusero in perdita.
Ma senza di lui e senza la sua capacità di risolvere all’istante ogni problema pratico, la strada dei Beatles sarebbe stata tutta in salita. Epstein morì nel 1967, ingerendo alcol e psicofarmaci. Era depresso e paranoico. Dopo la decisione dei Beatles di non tenere più concerti pensava di non avere più un ruolo, e credeva che il contratto non gli sarebbe stato rinnovato. Quando decise di farla finita nella sua bella casa di Chapel Street, i Beatles non c’erano. Erano in India dal loro nuovo guru, il Maharishi Mahesh Yogi.
Vittorio Sabadin, La Stampa 26/9/2015