Maurizio Crosetti, il venerdì 25/9/2015, 25 settembre 2015
I FORZATI DEL MOSCATO
CANELLI (TORINO). Sotto i pioppi, nel villaggio-discarica dei bulgari, solo zanzare e silenzio. E panni stesi. E un calendario appeso con le mollette, con le ore di lavoro scritte a pennarello e un cartoncino con gli orari dei pullman. Odore di piscio e campagna Qui vivono i vendemmiatori stagionali, gli invisibili che invece quest’anno si sono visti benissimo per via dei sindacati, delle tivù, dei giornali e dei morti: a Carmagnola, in una serra, e in Puglia. Più li abbiamo visti, però, e meno sono stati contenti: forse preferivano lavorare sfruttati a tre euro l’ora, senza tutele né contributi, meglio dormire tra le immondizie, che fare la fame o salire di nuovo sul torpedone, scappando dalla miseria verso una pena più grande.
Questa è una storia di schiavismo puro, anche se non è l’America delle piantagioni di cotone e neppure la risaia delle mondine di mezzo secolo fa. Questo è il ricco Piemonte con i suoi nobili vini, ma per il vino serve l’uva e l’uva si deve raccogliere. Lo fanno i macedoni regolarizzati e i bulgari, i rumeni sfruttati. Come per i pomodori di Pachino: ci sono i caporali, i furgoni, le chiamate all’alba, i controlli assenti, il porco lavoro fino a sera e quattro soldi da spendere subito al discount per mangiare, prima mangiare e poi si pensa al resto. Il viaggio comincia alle sei e mezza di mattina, dentro una piazza quadrata che si chiama dell’Unione Europea, in un perimetro di platani e cemento. Qui i caporali, quasi tutti bulgari anch’essi, reclutano a giornata i vendemmiatori, poi li caricano sul pulmini e si parte per le vigne. L’anno scorso succedeva anche davanti al cimitero. Due gruppi in attesa, qualcuno aspetta su una panchina. Uomini di trenta, quarant’anni. Una donna soltanto. Un vecchio. Il quartier generale fino all’anno scorso era in legione Dota, un piazzale appena fuori il paese accanto alla rimessa degli autobus, vicino a un’area di smaltimento di materiale inerte. Qui i bulgari dormivano in auto e si mettevano in coda per il bagno chimico e una doccia fredda, finché il sindaco Marco Gabusi non ha deciso di spedire i vigili: 60 euro di multa la prima volta, espulsione dal territorio comunale la seconda. «Se si stronca chi sfrutta, finiscono anche gli sfruttati» dice Gabusi. «Non si dorme in centinaia in mezzo a una piazza, e neppure i centri di accoglienza sono una soluzione. Se si volesse, le forze dell’ordine potrebbero stroncare il fenomeno in due settimane, con i controlli a tappeto all’alba, punendo i caporali. Ma non accade. E poi bisogna dare il lavoro prima agli italiani, a 6-7 euro l’ora la manodopere nostrana si trova».
E allora gli schiavi si sono dati alla macchia, scendendo i sentieri che vanno verso il Belbo, non più il torrente di Pavese ma una specie di pozza marcia di acqua ferma e grigia. Tra l’Eurospin e l’autolavaggio, la strada si butta nei boschi e in un momento appare la tendopoli, che poi sarebbe il villaggio-discarica. Qualche oggetto la umanizza, una moka, il secchio con i panni da lavare, la spazzola, qualche altro la rende più cruda, le lattine vuote dei pelati, la sporcizia sui teli dove la gente dorme coperta di plastica, una gigantesca gabbia che non è per i polli ma per le persone. E poi scarpe, forbici, i resti dei falò per cucinare e scaldarsi, un mestolo appeso a un ramo. Una Seat Ibiza con targa bulgara è parcheggiata sotto le foglie. Non c’è nessuno, gli schiavi sono nelle vigne o già scappati, tornati a casa oppure in Trentino per la raccolta delle mele, dopo che erano già stati in Campania e in Sicilia per i pomodori, in Emilia Romagna e in Veneto per la frutta, nel Saluzzese per le pesche.
«Bisogna assolutamente arrivare al collocamento pubblico, con tutti i lavoratori registrati e regolarizzati e le chiamate alla luce del sole». Gerardo Curdo è il funzionario della Cigl Flai, il sindacato agricolo, che ci accompagna nei boschi e ci racconta questa terribile storia. «Nessuno si rivolge a noi per essere difeso, non esistono denunce e i controlli sono pochissimi. Questi poveretti, comunque, preferiscono avere poco piuttosto che niente. Li aiutano anche la parrocchia e la Caritas, con 25 posti letto sempre occupati. Ma il tema gigantesco è quello della sicurezza sul lavoro».
Erano circa duecento, da ferragosto in avanti, gli schiavi bulgari tra i filari. «Ma non torneranno più, ormai c’è l’allarme e l’anno prossimo preferiranno lavorare altrove». Nella tendopoli lungo il Belbo, i segni della presenza umana, anzi disumana, resistono e così sarà fino all’inizio di ottobre, quando si chiuderà la vendemmia dei rossi. Qui a Canelli, però, erano venuti soprattutto per il Moscato, quel nettare paglierino non troppo alcolico che nell’Astigiano fanno assaggiare anche ai bambini. E la Prefettura? E la Polizia? «Qualcosa si è mosso. Sempre troppo poco». I produttori si rivolgono alle cooperative. Quelle in nero o «grigie» (pagano con i voucher, segnando magari un terzo delle ore effettivamente lavorate) applicano prezzi troppo bassi per non essere fuorilegge. «Nessuno può dire che non lo sapeva, se invece dei 6 euro e mezzo l’ora ne paga al vendemmiatore la metà».
Tra Asti e Cuneo, dentro un paesaggio di una bellezza insostenibile, si combatte la guerra tra poverissimi. E non si dorme solo nelle baraccopoli: c’è chi affitta un materasso in cascina, steso a terra e farselo bastare, per 200 euro al mese, magari con un paio di docce in tutto per cinquanta persone. L’ultimo, finisce di lavarsi a mezzanotte. È così che sta tornando la malora di Fenoglio, mentre tedeschi e svizzeri stanno per arrivare e gustarsi l’autunno dei tartufi e dei barbareschi. Sulla pelle di chi?
Poi, certo, bisogna distinguere la gramigna dall’insalata. Piergustavo Barbero detto Bimbo ci viene a prendere al bar Pessina, gestito da cinesi. È il titolare della cooperativa Pusabren, i suoi dipendenti sono quasi tutti macedoni e tutti in regola. «In piemontese, pusa vuol dire spingi e bren è la crusca. C’è anche un rio, qui, che si chiama Possabren. Il nome non l’ho scelto io, era quello della cascina di mio nonno. Su, montate». Fa segno verso il furgoncino bianco, carico di cartoni di acqua e di pintoni di vino. Saliamo sulla collina delle vigne dei marchesi Antinori, dove ora si vendemmia l’uva barbera. «Nel buono della stagione siamo in 140, si lavora otto, nove ore al giorno per 6 euro netti l’ora. La vigna è in salita, la fatica è quella di sempre ma guarda che roba». Bimbo mostra il mare verde agitato dal vento, mentre i cingoli dei trattori alzano un polverone che sembra borotalco. «Da quando è scoppiato il casino dei bulgari, per noi regolari c’è più lavoro, perché tanti produttori si sono messi paura, ma anche perché i caporali hanno tirato parecchi bidoni e non si sono più presentati».
Il caposquadra si chiama Jonce Arsov, ha quarant’anni e lavora qui da quando ne aveva venti. Occhio sveglio, lingua svelta, spiega cos’è davvero la guerra tra poverissimi. «La crisi mette in ginocchio le cantine, cominciando dal prezzo del gasolio. Chi può, per salvarci magari si arrangia con il nero e alla fine della catena c’è lo sfruttamento, anche se io dico che non mangiare è peggio. In Piemonte siamo almeno 60 mila macedoni, io mi trovo bene perché mi sono aperto, invece chi fa gruppo chiuso non si integrerà mai. Se non ci fosse il sussidio di disoccupazione, non si camperebbe perché tra ottobre e novembre la campagna è ferma. Io ho i contributi e la mutua, il mio amico Dane Petrov è persino andato in pensione con le marchette tutte versate: lui è mitico, lo chiamiamo il Professore perché da noi insegnava il macedone a scuola. Una volta c’erano le grandi famiglie contadine dove le nonne cucinavano per tutti, anche per noi braccianti a giornata. Adesso è cambiato il mondo, è dura ma bisogna resistere». Torniamo nel fondovalle, tra i capannoni dell’industria vinicola dove lavorano come operai molti figli di contadini. Quasi nessuno è rimasto a chinarsi tra i filari. I furgoni dei bulgari sono parcheggiati nel piazzale davanti al Lidl. È l’ora di cena. Con la quindicina di euro appena ricevuti dai caporali, invece dei 45-48 che spetterebbero se tutto fosse in regola, si può correre verso gli scaffali. Gli schiavi mangiano in piedi nella sera, masticando in fretta anche la plastica delle merendine.
Maurizio Crosetti