Notizie tratte da: Luca Goldoni, Alessandro Goldoni # Francesco Baracca. L’eroe dimenticato della Grande Guerra # Bur 2015 # pp. 176, 13,50 euro., 25 settembre 2015
Notizie tratte da: Luca Goldoni, Alessandro Goldoni, Francesco Baracca. L’eroe dimenticato della Grande Guerra, Bur 2015, pp
Notizie tratte da: Luca Goldoni, Alessandro Goldoni, Francesco Baracca. L’eroe dimenticato della Grande Guerra, Bur 2015, pp. 176, 13,50 euro.
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• I libri sulla guerra di Erich Maria Remarque (A l’Ouest rien de nouveau) e di Emilio Lussu (Un anno sull’Altipiano), vietati per molto tempo perché considerati disfattisti e perseguibili per vilipendio.
• Cabiria, il primo colossal italiano, girato nel 1914 e sceneggiato da Gabriele D’Annunzio.
• Lina Cavalieri, una trasteverina che arrivò alle Folies Bergère.
• Nei primi tre mesi di guerra morirono al fronte ventisette calciatori. Il campionato nazionale venne sospeso.
• Francesco Baracca, aviatore, «È il Barone rosso in versione romagnola» (così lo descrivono gli autori).
• Francesco Baracca nasce il 9 maggio 1888 a Lugo di Romagna. Figlio unico di una famiglia ricca, il padre, Enrico, facoltoso possidente, la madre, Paolina, contessa e facoltosa possidente pure lei.
• Baracca decide la carriera del soldato per libera scelta. Passa dall’uniforme del collegio di Badia Fiesolana diretto dai Padri Scolopi a quella di allievo ufficiale di cavalleria nella scuola di Modena a quella di sottotenente cavaliere del Piemonte Reale, scuola di Pinerolo.
• Baracca, che informava la madre su tutto, scrivendo diari e lettere.
• «Ho ricevuto per indennità ed equipaggiamento L. 277 e come stipendio di ottobre L. 157, da cui devo togliere L. 44 per la mensa e L. 2 per la barcaccia al teatro di Pinerolo» (così scriveva Francesco Baracca).
• Il 3 luglio 1910, quando Baracca cadde da cavallo. Ne parlarono tutti i giornali perché l’incidente avvenne alla presenza di Tsi Tsao principe del Celeste Impero. Montava un cavallo irlandese, che lo disarcionò saltando una siepe alta.
• I cavalieri del reggimento dovevano versare una lira per ogni caduta. Così in cassa si accumularono 440 lire, utilizzate poi per acquistare bottoni da polso in argento con gli stemmi del reggimento.
• Quando, nel settembre del 1911, l’Italia dichiara guerra alla Turchia e occupa la Libia, partono i marinai, i bersaglieri, i Lancieri di Trieste, altri squadroni a cavallo, ma Baracca rimane a Rieti, poi viene trasferito a Roma.
• Baracca, appassionato di cavalli ma anche di opera lirica. Ha visto una Bohème e una Lucia di Lammermoor.
• A Roma Baracca aveva moltissime donne.
• «Ti mira fisso negli occhi, come quando sul suo aereo punta e spara» (così una delle tante ammiratrici).
• Descrizione fisica di Francesco Baracca: sguardo penetrante ma dolce, zigomi alti, naso forte e diritto, un sorriso a dieci carati ma senza esagerare, due baffetti alla Clark Gable secondo la moda del tempo.
• Nonostante fosse molto alto, oltre la media, Baracca cavalcava divinamente tra fantini di bassa statura. Aveva imparato da bambino, come un piccolo cow-boy, lungo le rive del Senio.
• A Roma, Baracca divideva un appartamento in via Palestro con altri ufficiali. Visto che facevano gazzarra spesso e volentieri fino a notte tarda, la proprietaria si vide costretta a sbattere fuori lui e i suoi colleghi. Ma Francesco chiese aiuto al babbo Enrico e trovò subito una nuova casa.
• Cecchino, così la mamma Paola chiamava Francesco.
• La mattina dell’8 giugno 1911, quando Francesco, mentre stava andando al trotto nell’ippodromo di Tor di Quinto, sentì sopra la testa l’acuto di un motore imballato. Era il biplano Farman di Raimondo Marra, pilota romano fra i primi temerari delle macchine volanti, che stava disputando il «circuito del Tevere», una sorta di rally dell’aria che consisteva nel ripetere quattro volte il percorso da Centocelle a Monterotondo passando per Tor di Quinto. Il velivolo era in difficoltà, perdeva rapidamente quota, evitò per un pelo i fili della tranvia Civita-Castellana, ma poi rovinò al suolo. Baracca diede un colpo di speroni e andò sul luogo dell’incidente. Marra era privo di sensi fra i rottami dell’aeroplano. Baracca, insieme al fratello dell’aviatore, riuscì a estrarlo dall’abitacolo, ma le sue condizioni erano disperate. Marra morì sull’auto del fratello mentre veniva trasportato in ospedale. La tragedia finì sulle prime pagine dei giornali.
• Durante la Guerra mondiale i generali di tutti gli eserciti vietarono tassativamente agli aviatori di usare il paracadute, appena inventato e collaudato. Il motivo: avrebbe indebolito il loro spirito aggressivo. Il paracadute potevano indossarlo soltanto gli osservatori degli aerei biposto.
• Baracca, che in tante lettere agli amici aveva confessato l’ossessione di morire bruciato o di vivere gli ultimi istanti nel disperato lancio dall’aereo.
• Nel 1912 Baracca conseguì il brevetto di pilota a Reims, in Francia, dopo lunghe settimane di lezioni. La pratica la fece sull’Henriot.
• Baracca festeggiò il brevetto n. 1037 sul campo di volo di Betheny il 9 luglio del 1912. Era ufficialmente «pilota aviatore». Alla madre aveva raccontato che andava in Francia a perfezionare la lingua.
• «Conduciamo una vita da padri eterni, ce la spassiamo in compagnia di amici, di signore e signorine che ogni sera vengono all’aerodromo. Il giorno che lascerò Reims piangerò amare lacrime, resteranno per me i giorni belli» (Francesco Baracca in una lettera alla madre).
• Durante i giorni a Parigi, Francesco conobbe Marcelle, una cantante e ballerina. Era alta, bionda e sinuosa. Lui la portava spesso al campo di volo, le mostrava gli aeroplani, la presentava ai colleghi come la sua «ragazza», ma mai come fidanzata.
• Le Livre d’amour de l’Orient e KamaSutra de Vatsyayana, i libri che Francesco Baracca acquistò durante il soggiorno francese.
• Dopo Marcelle, sempre in Francia, Baracca conobbe Ethel. Ebbero una relazione durata due anni. Tra i due, chi si impegnava di più sentimentalmente era lei, mentre lui era occupato dalle battaglie e dai suoi aeroplani. Ethel venne in Italia quando ancora la guerra non era divampata ma lo aspettò a Genova inutilmente per due mesi. Due anni dopo rimase bloccata alla frontiera Francia-Italia, per problemi con il passaporto. La raggiungeva lui, durante brevi licenze. Per il resto si affidavano alla posta, dove era sempre lei a ravvivare il rapporto: gli scriveva ogni settimana e lo rimproverava per non essere altrettanto solerte.
• «Mai lasciare una donna, ma agire in modo che sia lei ad andarsene. Con la vita che ho scelto, sarei un farabutto ad alimentare un grande amore, probabilmente destinato a un grande funerale» (Francesco Baracca intervistato da un giornalista).
• Nel 1913, Baracca attraversò una profonda crisi. Era stufo di fare il «commesso viaggiatore», scaraventato dagli ordini superiori in un posto o in un altro con compiti vari, più a terra che per aria. In quel periodo viveva a Milano, la sua passione per il volo stava svanendo. Si riaccese nella primavera del 1914, quando fu destinato a Taliedo, dove aveva sede la 6a squadriglia Nieuport, e venne rimandato tra le nuvole, per cimentarsi in lunghi voli di ricognizione.
• Quando Francesco Baracca meritò il suo aereo personale, fece verniciare sulla carlinga il simbolo dell’antica passione: un cavallo nero rampante.
• Nel giugno del 1915, quando Luigia Ciappi, giovane maestra di Rosarno, voleva arruolarsi a tutti i costi mescolandosi ai fanti del 127° battaglione, ma fu smascherata dai commilitoni, fermata dai carabinieri alla stazione di Bologna e rispedita in Calabria.
• Baracca arrivò nella base di Campoformido presso Udine in agosto del 1915, dopo l’ultima trasferta a Parigi. A Bourget aveva fatto tesoro delle esperienze di guerra dei piloti francesi e alleati, in prima linea già da un anno. Aveva imparato le tecniche di combattimento, prima di tutte l’attacco dall’alto con il sole abbagliante alle spalle in modo da essere invisibili o quasi.
• Baracca si era fatto le ossa sul Nieuport «Bebè», il biplano da caccia francese che equipaggiava le prime squadriglie tricolori. Aveva imparato il mestiere da acrobata per caricare o disinceppare la Lewis. La mitragliatrice era collocata sull’ala superiore. Bisognava sganciarsi le cinture, alzarsi, reggere la cloche tra le ginocchia, attrezzare l’arma e tornare alla svelta a sedersi prima che l’aeroplano fosse entrato in vite.
• Per tutto il primo anno di guerra Baracca è soprattutto un pilota reporter. Prende appunti in volo sulla tavoletta che si è fatto installare nella carlinga e descrive con minuzia quello che accade sotto.
• «Infuria la battaglia sul Carso, si vedono ovunque lampi di cannoni e colonne altissime di fumo… Nessun velivolo austriaco per l’aria… seguo perfettamente il tiro delle nostre artiglierie pesanti e lo scoppio dei loro proietti a sei, otto chilometri» (Francesco Baracca).
• Quella volta che Baracca, da solo, perse il controllo dell’aereo, che mise il muso giù e si avvitò. Questo il suo commento a pericolo scampato: «Ho tirato troppo, l’apparecchio ha perduto velocità. È colpa mia».
• Il 7 aprile 1916, giorno della vittoria numero uno di Francesco Baracca. A 2000 metri incontra due Albatros austriaci. Ingaggia il più vicino. Gli arriva da sotto, gli scarica addosso 45 colpi di mitragliatrice e lo segue nella sua caduta. Il pilota austriaco riesce ad atterrare e Baracca fa altrettanto, per accertarsi delle sue condizioni.
• Secondo una consuetudine del tempo, i piloti erano «adottati» da una madrina, una specie di damigella tutelare. Quella di Baracca, il cui nome è sconosciuto, gli aveva inviato un piccolo tricolore da appuntare sulla tenuta di volo.
• I soldati di trincea, spesso autori di gesti di autolesionismo per sfuggire alla linea del fuoco. Alcuni esempi tratti dal volume Plotone d’esecuzione di Enzo Forcella e Alberto Monticone e ricavati dal Giornale di medicina militare: timpani forati con i chiodi, cecità procurate spalmandosi negli occhi secrezioni blenorragiche, ascessi ottenuti con iniezioni sottocutanee di benzina, petrolio, piscio, mani mozzate con colpi di vanghetta o stritolate sotto grossi massi, colpi d’arma da fuoco sparati a bruciapelo alle mani o ai piedi.
• Nei primi giorni del luglio 1915 sulle colline del Carso la proporzione ordinaria dei feriti leggeri, ordinariamente oscillante intorno al 10%, sale improvvisamente al 90%. Gli ufficiali medici si accorgono che si tratta di ferite di origine sospetta. Vengono quindi compilati e trasmessi al comando del corpo d’armata «diversi elenchi dei militari indiziati d’essersi feriti volontariamente». A uno di questi elenchi appartengono i 46 protagonisti della sentenza «Autolesionismo contagioso»: 27 condannati a vent’anni di reclusione, 19 assolti per inesistenza di reato o non provata colpevolezza.
• Baracca conservava tutti gli articoli che lo riguardavano, aveva una collezione sterminata di foto sul biplano Nieuport e poi sullo Spad, in motocicletta, a cavallo, in alta uniforme.
• Baracca, che invece di dare del voi ai genitori come da consuetudine ottocentesca, dava del tu alla contessa madre. La teneva al corrente di tutto, persino di descrizioni tecniche e di pilotaggio.
• Fulco Ruffo di Calabria, napoletano, aviatore anche lui, grande amico di Francesco Baracca. Si erano incontrati nel secondo anno di guerra, nella base della 70a squadriglia di caccia a Santa Caterina, e tra di loro era nata subito un’amicizia profonda. Fisicamente erano molto diversi: massiccio e prestante Baracca, esile, vivace, occhi e capelli neri Ruffo.
• Ruffo con la donna della sua vita ebbe sette figli, fra cui Paola, futura regina del Belgio.
• Antonio Chiri, ribattezzato «il montanaro». Aveva iniziato il servizio militare in artiglieria, poi, attratto dagli aerei, si era arruolato nella 77a squadriglia, diventando un asso nella battaglia d’Istrana, la più importante del conflitto, immortalata da Beltrame sulla Domenica del Corriere, con cinque aeroplani abbattuti.
• Luigi Olivari, un altro amico di Baracca, perse la vita in un banalissimo errore di pilotaggio quando il suo aereo non aveva ancora staccato le ruote da terra.
• In poche settimane, nel 1917, Baracca mise insieme una squadriglia di piloti scelti, una formazione destinata a passare alla storia come «la squadriglia degli assi». Ne facevano parte, tra gli altri, il principe Ruffo di Calabria; Pier Ruggero Piccio (14 vittorie), che sarà abbattuto ma riuscirà a fuggire dalla prigione austriaca con una rocambolesca marcia di cento chilometri; Giovanni Ancillotto (11 vittorie), che diverrà celebre grazie a una copertina della Domenica in cui si mostra il pilota che incendia un pallone frenato e nella foga passa in mezzo al fuoco, rimanendo indenne; Mario De Bernardi, il primo aviatore ad abbattere un Albatros e futuro collaudatore degli idrovolanti da corsa negli anni Trenta; Luigi Olivari, che entra in aviazione a ventidue anni da soldato semplice e si mette subito in luce per le sue doti acrobatiche. E ancora: il sergente Cesare Magistrini, pilota con dodici decimi di vista; Guido Nardini, primo pilota italiano ad attraversare la Manica; Bartolomeo Costantini, che dopo la guerra diventerà campione del volante sulla Bugatti. Infine: Ferruccio Ranza, Mario d’Urso, Adriano Bacula, Franco Lucchini, Gaetano Aliperta, Gastone Novelli, Eduardo Olivero e Guido Keller, pilota fuori dagli schemi e spesso fuori di testa.
• La «squadriglia degli assi» avrebbe dovuto essere la 90esima, ma i cacciatori sono superstiziosi e così diventa la 91esima. Il gruppo è equipaggiato con nuovi più potenti aeroplani, gli Spad. Rispetto ai vecchi Nieuport sono dotati di una mitragliera, la Vickers, montata sulla fusoliera e non più sull’ala, in grado di sparare attraverso il disco dell’elica. Il meccanismo di sincronizzazione è stato inventato da un ingegnere francese, Roland Garros (che poi darà il nome al famoso torneo di tennis), ma rubato e perfezionato dai tedeschi.
• 20 mila lire, il premio ricevuto per ogni aereo abbattuto. Fra gli sponsor più solerti, Il Secolo Illustrato, rivale della Domenica del Corriere, che lanciò due concorsi. Uno per piloti di dirigibili e l’altro riservato ai «cacciatori del cielo», entrambi finanziati dalla Pirelli. Con la crisi economica i premi si ridussero: 10 mila, 5 mila e 3 mila ai tre aviatori che in linea decrescente avessero conseguito il maggiore numero di vittorie. I vincitori delle ricompense offerte dalla Pirelli nel 1917 furono Piccio, Baracca, Ruffo di Calabria. Nel 1918 Cerutti, Scaroni e Reali.
• Sull’Ortigara, a 2.000 metri di altezza, nel 1917, si consuma una delle battaglie più cruente della guerra: sulle pendici giacciono 36 mila cadaveri italiani e austriaci. Baracca con la sua squadriglia è stato chiamato a sostenere la sanguinosa offensiva voluta da Cadorna contro il caposaldo austriaco.
• «La sorsata di cognac, energetico di tutti gli assalti a piedi e a cavallo, accelera i battiti del cuore ma ovatta il cervello, spazza via l’ombra della morte… Al contrario, su un caccia sei solo, isolato dal frastuono del motore, teso come la corda di un violino, ma lucido, concentrato. La delirante foga della carica in cui è il cavallo che ti scaglia avanti, è sostituita dal freddo ricamo delle manovre disposte dalla mente che coordina timoni, spoiler, leva di sparo» (Baracca all’amico motorista Pietro).
• Il diavolo rosso, l’Albatros scarlatto del capitano austriaco Godwin Brumowski, ossessione del maggiore Baracca e compagni. Brumowski, da semplice osservatore sui biposto della Flick 41K, è passato alla svelta sui caccia. Niente brevetto, ha imparato a volare da solo, un autodidatta dell’aria. Tra l’altro è mezzo cieco da un occhio. Ha cominciato a combattere sul fronte orientale. Le sue due prime vittorie sono state uno schiaffo all’orgoglio russo perché sono avvenute sulla città di Chotin durante una parata in onore dello zar Nicola II. Poi è andato a «perfezionarsi» con i piloti tedeschi sul fronte occidentale. Infine è tornato nel cielo di casa e a bordo del suo Albatros rosso con l’effige di un teschio bianco si è messo a buttar giù aeroplani con il tricolore.
• Il più grande biplano mai costruito, prodotto dell’aeronautica italiana, progettato dal giovane ingegnere Gianni Caproni. Il trimotore che prese il suo nome aveva un’apertura di ali tre volte quella dei caccia Spad e, grazie alle sue caratteristiche, si guadagnò un successo internazionale. Infatti equipaggiò le squadriglie da bombardamento francesi, inglesi e americane.
• «Celere uccisore e distruttore, fu fra i più maschi generati alla matrice ferrigna dove si stampa il meglio della gente di Romagna» (Francesco Baracca secondo il poeta Gabriele D’Annunzio).
• Il tenente Giuliano Parvis, aviatore inesistente in quanto il suo cognome e nome non era mai stato registrato da nessuna anagrafe. Infatti si trattava del nome di copertura del tenente Giorgio Pessi. Non era un bandito, ma semplicemente era nato in Istria. E ogni istriano caduto prigioniero veniva considerato dagli austriaci disertore e immediatamente fucilato.
• D’Annunzio, che una volta alla mensa ufficiali in una casa di Cividale chiese a Baracca il segreto della sua invulnerabilità.
• «Tutto è mestiere, mi spiace deluderla, Maestro, soltanto mestiere» (la risposta di Baracca a D’Annunzio).
• Il 14 febbraio del 1917 il Corriere della Sera e il Giornale d’Italia titolarono tutta la prima pagina su un aspro duello nel cielo di Udine con protagonista Baracca.
• Quando il re Vittorio Emanuele III, sempre in giro sulla grossa Fiat 3 Ter da un fronte all’altro, armato di cannocchiale e della monumentale Kodak a soffietto, assistette a un combattimento di Baracca, si congratulò con lui e andò a vedere i loro velivoli.
• «Il Brandenburg austriaco abbattuto dai nostri valorosi aviatori sarà esposto dal 16 febbraio nella palestra di ginnastica (via
dell’Ospitale). Biglietti d’ingresso: Centesimi 50. Lire una dalle 11 alle 12 e dalle 13 alle 16. L’incasso sarà devoluto alla Croce Rossa» (così una locandina affissa sui muri di Udine).
• Il sindaco di Lugo decise di celebrare Francesco Baracca il 3 giugno (1917), ma il pilota fu costretto a rimandare. La motivazione: «Mi dispiace molto mancare questo incontro e pure rimandarlo a chissà quando. Ma non è il momento di chiedere una licenza: siamo in pochi a volare sui nuovi Spad e spesso arriviamo a sera sfiancati da sei ore di volo».
• Dopo la vittoria numero tredici, il meccanico di Baracca stava controllando lo Spad, quando un corto circuito provocò una fiammata e l’incendio divorò il velivolo.
• «L’amante che più spero mi abbandoni è la paura. Ma lei è fedelissima, non scappa mai con un altro» (Baracca a un giornalista che gli chiedeva se gli era mai capitato di essere stato piantato da una donna).
• La disfatta di Caporetto è preceduta da una circostanza favorevole agli italiani: un ufficiale cecoslovacco, disertore, aveva rivelato i piani dettagliatissimi dell’offensiva che il comando tedesco avrebbe scatenato nella notte fra il 23 e il 24 ottobre (1917).
• Nonostante la rivelazione del piano offensivo, i comandanti italiani, a cominciare da Luigi Cadorna, non si trovavano al loro posto: ricevevano e trasmettevano ordini con disastroso ritardo.
• Il generale Pietro Badoglio, che sperava di attirare in una trappola gli austriaci e ci rimase intrappolato lui. Al punto che non riuscì a comunicare con il comandante dell’artiglieria, colonnello Cannoniere.
• Protagonista dello sfondamento è il tenente tedesco Erwin Rommel che, al comando di una sparuta compagnia di uomini ben addestrati, si insinuò nel varco dello schieramento italiano e avanzò in profondità, sgominando reparti quasi paralizzati dalla sua apparizione.
• Rommel, che vent’anni dopo sarà celebrato come la Volpe del deserto, il più audace generale della Seconda guerra mondiale che effettuerà le scorrerie corazzate dell’Afrika Korps sulle sabbie della Libia.
• Il primo a pagare per il tracollo dell’esercito italiano è Luigi Cadorna, l’ideatore del massacro nelle undici «Battaglie dell’Isonzo», che viene licenziato. Come lui anche il suo aiutante Luigi Capello. Pietro Badoglio, invece, comandante del settore sbaragliato a Caporetto, la passa liscia.
• Armando Diaz, generale sconosciuto, schivo e taciturno, che sostituì Cadorna.
• Intorno al 1918 saranno concepiti migliaia di bambini che verranno battezzati Firmato, in onore di Diaz. Questo perché tanti italiani, semianalfabeti, leggevano il bollettino della vittoria che si chiudeva così: Firmato Diaz.
• Così il 4 novembre 1917 Baracca scriveva alla madre: «Al mattino del 28 gli austriaci erano alle porte di Udine: feci partire tutta la mia squadriglia in volo in mezzo a una burrasca d’acqua con le nuvole a 100 metri ed un vento furioso. Tutti i campi di aviazione di Udine ardevano, i magazzini ardevano, tutto era in fiamme, nubi altissime di fumo. Avevo uno squadrone del Genova Cavalleria che difendeva il mio campo, rimasi ultimo a partire incerto se abbandonare il mio apparecchio, o montare a cavallo per caricare gli austriaci… Alla fine incendiammo tutti i nostri hangar con molti apparecchi che non potevano esser trasportati, incendiai la nostra casetta con barili di benzina e quando tutto era in preda alle fiamme decollai pure io sotto una pioggia scrosciante e con l’animo affranto dal dolore di abbandonare il campo dei nostri trionfi».
• Nel Natale 1917, due mesi dopo la rotta di Caporetto, Baracca viene spedito dai comandi superiori a Torino con i colleghi Piccio e Ruffo di Calabria. Lo scopo: «collaudi e visite alle officine».
• Clelia Clerici, carina, bruna, ma che si truccava poco. Era allegra e lesta di pensiero. Viveva a Milano e aveva spedito a Baracca due lettere. In una si congratulava per la trentesima vittoria: «Ed ora dove è traslocato l’eroe del giorno? Dica quando metterà piede a Milano e spero che anche quest’anno si ricorderà di bussare a casa mia…». Nell’altra, spedita appena dopo Natale, scriveva: «…Credo di essere io a portarle fortuna, sì perché continuo a pregare Iddio per lei!».
• Quando Clelia seppe della presenza di Baracca a Torino e piombò nella casa che lo ospitava. Ma lui ebbe qualche tentennamento, perché sospettava che lei fosse sposata.
• Baracca collezionò in totale 34 vittorie, meno delle 98 del tedesco Richthofen, ma solo perché il fronte franco-tedesco era molto più esteso di quello austro-italiano.
• Baracca, che alle volte risparmiava e soccorreva i nemici feriti.
• La tenuta di volo, composta da giaccone di cuoio foderato, cuffia di pelle e occhialoni.
• La sorte di alcuni artisti futuristi: Umberto Boccioni, ritenuto uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, morì giovanissimo, disarcionato e calpestato dalla sua cavalla durante un’esercitazione; Antonio Sant’Elia, autore del Manifesto dell’architettura futurista, rimase fulminato da un proiettile in fronte mentre andava all’attacco di Quota 85 di Monfalcone e venne sepolto nel sacrario da lui stesso progettato; il pittore Carlo Erba cadde sull’Ortigara.
• Alla fine di febbraio del 1918 quando, di notte, gli austriaci bombardarono Venezia. Durante la guerra la città subì 41 bombardamenti, che provocarono 52 morti, un centinaio di feriti oltre a danni incalcolabili come la distruzione del soffitto della Chiesa degli Scalzi, dipinto da Tiepolo.
• «Distruggere, distruggere tutto specialmente ciò che, distrutto, può provocare maggior sgomento» (la direttiva del feldmaresciallo von Hindenburg).
• Quando Baracca, la notte di Capodanno, raccontò ai suoi piloti la storia del primo bombardamento su Venezia: era il 2 luglio del 1849, i veneziani, stremati dal lungo assedio subìto dalle truppe di Radetzky che non riuscivano a penetrare in laguna, videro spuntare in cielo decine di mongolfiere. Costituivano l’arma segreta inventata dal giovane colonnello Benno Uchatius, per stroncare la resistenza della città. Una quarantina di mongolfiere, legate l’una all’altra come in una gigantesca ragnatela, presero il volo da Mestre: trasportavano delle rudimentali bombe collegate a lunghe micce che gli equipaggi di due uomini avrebbero dovuto innescare al momento del lancio. L’inventore aveva calcolato tutto fuorché la direzione dei venti, che a un certo punto girarono sospingendo i palloni bombardieri verso il luogo da cui erano partiti: l’azione passò alla storia come la «buffonata di Radetzky».
• Baracca decollò in una notte di febbraio del 1918 per intercettare i bombardieri austriaci. Partì da Padova, c’era la luna piena, ma l’ingaggiò fallì. Poche settimane dopo, i tedeschi bombardarono il suo campo, incendiando due hangar.
• Le medaglie di Francesco Baracca: una medaglia d’oro al Valor Militare, giunta dopo la trentesima vittoria, tre medaglie d’argento, tre di bronzo, la Croce dell’Ordine Militare di Savoia, la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia, la Croce di ufficiale della Corona belga, la Croce di Guerra francese con palme e la Stella dei Karageorgevich serba.
• La cerimonia per la consegna della medaglia d’oro al Valor Militare a Baracca si svolse il 25 marzo 1918 a Milano, sul palcoscenico della Scala. Decorati con la stessa medaglia anche Ruggero Piccio e Fulco Ruffo di Calabria.
• Guido Keller, milanese, di famiglia aristocratica, considerato il poeta della squadriglia perché che si portava in volo i versi di Petrarca e di Baudelaire. Era una specie di hippie con la chioma perennemente irsuta insieme alla barba, al contrario dei baffi, che invece erano curati e con le punte rialzate, alla moschettiera. Non alloggiava nelle case rurali, come tutti i piloti della 91a, ma in una grande tenda che si era fatto montare tra due alberi. Quando prendeva posto nella carlinga del caccia, invece d’indossare la cuffia di cuoio si metteva in testa un fez con la sagoma di un teschio.
• Keller, che da giovane si era fatto buttar fuori dal collegio per indisciplina. Si era distinto per i gesti eclatanti: nel 1920, mentre era in volo sul Campidoglio, buttò giù un pitale, in spregio al re. Era arrivato a Quinto con la fama di erotomane, correva dietro nudo nei torrenti alle lavandaie, passava a volo radente sui tetti e sulle ragazze in bicicletta.
• Le ultime due vittorie di Baracca, la 33a e la 34a. La prima alle ore 12.30 del 15 giugno 1918, sul Piave, a ovest di Saletto; la seconda alle 12.45, su San Biagio Piave. Tornato a terra Baracca si toccò la spalla destra: vicino al bavero, sul cuoio del giaccone di volo, c’era una lunga striatura che odorava di bruciato, lasciata da un proiettile partito dalla Spandau 7,92 mm del ricognitore, il primo aereo abbattuto. Se in quell’istante Baracca non si fosse leggermente abbassato per armare la sua Vickers, la pallottola gli avrebbe squarciato il petto.
• Nel tardo pomeriggio del 19 giugno 1918, quando Francesco Baracca partì per il suo ultimo viaggio e non fece più ritorno. Aveva trent’anni. Il suo aereo precipitò sotto l’ala del gregario, sul Montello, lasciando dietro di sé una scia di fumo sempre più densa. Ci volle quasi una settimana perché i rottami dello Spad venissero raggiunti. Il corpo fu ritrovato dagli aviatori Osnaghi e Ranza e dal giornalista Raffaello Garinei. Giaceva nell’erba, appena lambito dalle fiamme, una piccola ferita sulla tempia destra, l’orologio, ancora al polso, che segnava le 18.45. La pistola Glisenti di ordinanza non era nella fondina.
• I funerali di Francesco Baracca si svolsero il 27 giugno. La bara era avvolta nella bandiera su un affusto di cannone, il cavallo con la sella vuota condotto a mano da un attendente, la banda accennava in sottofondo la marcia funebre di Chopin. Una decina di Spad attraversò il cielo, facendo scendere una pioggia di garofani.
• Alla fine di settembre del 1917, quando Francesco Baracca incontrò la diciassettenne Norina Cristofari. Si conobbero al gran ballo del Circolo ufficiali. Lei era vestita secondo i canoni dello stile charleston: cappello a cloche, lunga collana di perle su un abito corto a frange, scarpine May Jane, tacco basso, punta arrotondata, cinturino alla caviglia. Lui la invitò a ballare un valzer di Strauss.
• Norina aveva studiato canto, aveva interpretato la Manon di Puccini e la Lucia di Donizetti, le romanze preferite di Baracca.
• Francesco e Norina avevano una fortissima attrazione fisica. Ebbero una storia d’amore segreta, incontri brevi ma felici. Li separò la guerra: la disfatta di Caporetto costrinse la ragazza a Padova, poi a Quinto di Treviso. Si videro altre volte, in cui Baracca diceva di volerla lasciare, per non farla soffrire. Le scrisse l’ultima lettera il 4 giugno 1918.
• Norina Cristofari non parlò mai con nessuno della sua storia d’amore con Baracca. Non si sposò e non ebbe altri legami sentimentali. Pochi mesi prima di morire, ormai vecchia e ospite di un istituto per anziani, affidò a un’amica un cofanetto. Dentro conservava tredici lettere di Francesco, alcune fotografie ingiallite e tanti ritagli di giornale. Il servizio sulla sua storia è stato pubblicato dal settimanale Oggi nel 1995.
• Nel 1921 Mussolini e D’Annunzio inaugurarono la prima edizione della «Coppa Baracca», competizione internazionale che consisteva in un rally aviatorio di 1000 chilometri con partenza da Lugo, su una rotta che sorvolava Bologna e poi piegava a nord verso Belfiore e Verona, passava sul Montello e continuava verso i luoghi sacri della Grande Guerra: Gorizia, Trieste, Fiume, Pola, Orsera.
• Il trasvolatore Italo Balbo, un nipote di Paola, madre di Baracca. Nel 1931 diede il nome dell’aviatore al suo idrovolante S55A, che guidava uno stormo di dodici apparecchi nella prima crociera transatlantica (da Orbetello a Rio de Janeiro).
• Il 17 giugno del 1923, quando si svolse il primo Gran Premio del Savio: un circuito di 44 chilometri, da percorrere sei volte. La gara alla fine fu vinta da Enzo Ferrari, 25 anni, di Modena, pilota ancora quasi sconosciuto a bordo di un’Alfa Romeo RL. Durante la cerimonia di premiazione gli si avvicinò Enrico Baracca, il padre dell’aviatore morto cinque anni prima. Qualche tempo dopo, Ferrari ritornò a Lugo, nella casa dei Baracca. Qui incontrò anche la madre di Francesco, la contessa Paola. Lei gli lesse le più belle lettere di suo figlio, si soffermò a lungo sulle sue fotografie, dagli esordi in cavalleria alle prime imprese aviatorie fino alle ultime istantanee di guerra. Mentre le guardava, Ferrari fu attirato da un pezzo di lamiera che apparteneva ai cimeli dell’aviatore, conservati nella casa di famiglia: il rottame della carlinga dello Spad con dipinto il cavallino rampante. Il debutto dello stemma sulle Alfa Romeo della scuderia di Enzo avvenne nove anni dopo, nel 1932, alla 24 Ore di Spa.
• Il 26 giugno 1918 il poeta Gabriele D’Annunzio inviò al sindaco di Lugo una lettera contenente la solenne orazione funebre in memoria dell’aviatore Francesco Baracca.