Francesco Manacorda, La Stampa 24/9/2015, 24 settembre 2015
LA TEMPESTA PERFETTA DI WOLFSBURG BRUCIA MANAGER, MILIARDI E FIDUCIA
La tempesta perfetta che scuote insieme i consumatori americani, l’industria tedesca e le Borse europee è partita da Wolfsburg - due ore d’auto da Berlino, 125 mila anime di cui 72 mila a libro paga della Volkswagen - e proprio qui ritorna. Succede ieri, con le sofferte dimissioni di Martin Winterkorn, davanti a un consiglio di sorveglianza ansioso di accoglierle. Nei laboratori della città-fabbrica creata nel 1937 da Hitler proprio per dare un’automobile al suo popolo era stato studiato il meccanismo che doveva tenere in scacco i controllori di emissioni nocive. E qui si conclude anche la vicenda di un manager che solo cinque mesi fa aveva dato davvero scacco matto al suo presidente, il venerando Ferdinand Piech, nipote del mitico Ferdinand Porsche, costringendolo alle dimissioni dopo un durissimo scontro di potere. Non ha potuto godersi la sua vittoria, Winterkorn, che in quell’occasione il consiglio aveva confermato fino al 2018: in una manciata di ore passa da rottamatore a rottamato. Altri fedelissimi lo seguiranno presto.
Ma il ciclone Volkswagen non ha di certo finito di scatenare i suoi effetti ben oltre la tranquilla cittadina tedesca. In ballo c’è prima di tutto il valore di Borsa dell’azienda: ieri alla notizia delle attese dimissioni il titolo Volkswagen ha visto un rialzo dopo le due peggiori sedute della sua lunga storia. Il bilancio complessivo è comunque terribile: l’«auto del popolo» ha bruciato sul listino, manco fossero i gas di scarico che i suoi modelli truccati rilasciavano in abbondanza, 23 miliardi di euro, un terzo di quanto valeva fino a venerdì scorso. Significa che in un mondo come quello dell’auto, dove spira aria di possibili fusioni, Volkswagen adesso difficilmente potrà essere cacciatore. Sarà allora preda? Difficile anche questo, in verità: la maggioranza assoluta del gruppo è in mano agli eredi del signor Porsche, un’altra solida quota l’ha in mano il governo della Bassa Sassonia. Capitalismo familiar-statale, insomma, l’esatto contrario di una public company pronta a matrimoni d’amore o di convenienza.
Altro giro del ciclone, altra conta dei danni, questa volta sui conti economici: a Wolsburg si avvertiva già la frenata del mercato cinese - dove il produttore tedesco fa, unico caso in Europa - ben un terzo del suo fatturato. Il frontale con le autorità Usa avrà adesso altre due conseguenze: la prima è il costo delle multe che dovrà pagare - se fossero applicate tutte e integralmente si arriverebbe alla somma astronomica di 18 miliardi di dollari - quello dell’ormai inevitabile richiamo e messa a punto delle auto incriminate e quello dei risarcimenti alle infinite azioni legali che già si annunciano: ieri nelle caselle mail di molti americani sono arrivate decine di messaggi di studi legali pronti a partire all’attacco. Non è assolutamente detto che per far fronte al costo di queste voci basteranno i 6,5 miliardi di euro di accantonamenti che Volkswagen ha annunciato martedì e che potrebbero dimezzare - o peggio - un utile operativo 2015 finora previsto a quota 13 miliardi.
La seconda conseguenza dello scandalo americano è un prevedibile crollo delle vendite negli Usa, dove nel 2014 il gruppo ha venduto circa 600 mila vetture. Se a inizio anno a Wolfsburg sognavano il sorpasso dell’arcirivale Toyota e il posto più alto sul podio dei produttori con oltre 10 milioni di auto vendute, adesso sul podio i tedeschi scivoleranno: per restare secondi, se gli va bene; sennò terzi, superati anche da Gm. Del resto i rapporti tra la Volkswagen e gli Stati Uniti sono stati spesso freddini. E a riscaldarli non è servito lo scontro di questi anni con la Uaw, il potente sindacato dei lavoratori dell’auto Usa, sulla rappresentanza in fabbrica.
Nel mondo globale dove un computerino taroccato su un’auto tedesca - vabbé, su undici milioni di auto - innesca i ribassi delle Borse europee, come è avvenuto tra lunedì e martedì, e spinge i più dietrologi a sospettare addirittura l’avvio di una guerra commerciale a bassa intensità tra Usa ed Europa, nessuno può comunque dormire tranquillo. I venti della tempesta di Wolsburg si sentono anche ben lontano dalla Bassa Sassonia. In Italia il presidente degli industriali Giorgio Squinzi si dice preoccupato per l’industria della componentistica auto, che nella Volkswagen ha un cliente da un miliardo e mezzo di euro ogni anno. L’immagine classica della multinazionale che naviga in un mare dove i poteri nazionali possono poco o nulla, questa volta si inverte. Colpito dagli Stati Uniti il vascello tedesco rischia di propagare l’incendio anche a chi naviga con lui.