Andrea Tarquini, la Repubblica 24/9/2015, 24 settembre 2015
LA RESA DEL MANAGER INVINCIBILE CHE HA SPODESTATO “RE” PIECH
Ha vinto per anni come un samurai imbattibile alla guida d’un’armata vittoriosa in un film di Akira Kurosawa, aveva persino spodestato il vecchio Imperatore. Poi in poche ore è caduto nella polvere, assumendosi ogni colpa come un ronin, un samurai rinnegato. «Mi dimetto, per senso di responsabilità verso l’azienda »,ha mormorato quasi in un harakiri mediatico. Nell’amara parabola della storia di Martin Winterkorn c’è tutto il dramma di un ragazzo di bottega, cresciuto nell’azienda su cui aveva scommesso la vita, e alla fine da manager prodigio sprofonda nel disonore di monello scoperto col vaso di marmellata rubato in mano. Un dramma che peserà a lungo su tutto il Gotha dei poteri forti economico-finanziari tedeschi.
«Io voglio la perfezione tecnica, non bastano i compromessi », era solito dire ai suoi a ogni occasione, lui nato nella placida Leonberg renana il 24 maggio 1947, nella Germania ridotta in macerie. A qualsiasi salone dell’auto, da Parigi a Tokyo, girava ogni padiglione per umiliare i suoi tecnici e spronarli al meglio: «Guardate queste Hyundai-Kia coreane, sono rifinite meglio dell’ultima Golf, vergognatevi». E proprio lui, il perfezionista, cade per un software progettato nel sogno delirante di poter ingannare l’America.
Il vecchio imperatore, Ferdinand Piech, capo del casato, aristocratico donnaiolo e vitalista, e nipote del leggendario ingegner Ferdinand Porsche – l’inventore del Maggiolino, poi capo-progettista dei Panzer della Wehrmacht – se lo prese presto a cuore, quel cattolico, sgobbone ragazzo renano così diverso da lui, tranquillo padre di famiglia. Perfezionista, ossessionato dal massimo d’eccellenza della tecnica, era anche lui, il Patriarca. Non sapeva che si sarebbe coltivato una serpe in seno, l’avversario che l’avrebbe rovesciato, appena pochi mesi fa. Piech promosse Winterkorn da un gradino all’altro della carriera. Prima alla Audi, che ‘ronin Martin’ portò a marchio capace di sfidare Bmw e Mercedes, poi alla supervisione della qualità a Volkswagen, dopo anni di pannes disastrose. E nel 2007, Piech che faceva e disfaceva la carriera di ogni ad cacciò vià dal trono di Wolfsburg l’ex Bmw Bernd Pischetsrieder e consegnò lo scettro a Winterkorn. A lungo sembrò suddito fedele, lanciò Vw e tutti i suoi marchi nella corsa verso il primo posto mondiale.
Sembrava a tutti un’intesa perfetta, invece no. Oggi tutti si chiedono perché, pochi mesi fa, il vecchio imperatore disse improvvisamente “gli ho ritirato la fiducia”. Forse sapeva cosa bolliva in pentola, forse era solo mosso dal suo eterno, acuto istinto di lotta spietata per il potere: il ragazzo renano si prendeva troppe libertà di scelta. Herr Professor Dok- tor Ferdinand che mai aveva perso, Piech che nel braccio di ferro nel casato aveva piegato persino il potente, misterioso cugino Wolfgang Porsche, era certo di vincere anche contro il suo ultimo protégé. Tutti furono sorpresi, si domandarono perché Kaiser Piech avesse sfidato a duello il suo più fido samurai. Ancor più grande fu la sorpresa, quando appoggiato dai potentissimi sindacati, dal potere politico e quindi dai più nel Consiglio di sorveglianza, Winterkorn vinse e Piech gettò la spugna.
Si sentì subito all’apice della potenza: annunciò megapiani di tagli e risparmi, per lanciare decine di modelli e sorpassare in corsa Toyota e General Motors. Ci stava anche riuscendo. Il suo successo metteva in ombra persino le polemiche della puritana Germania protestante sulla sua paga, 17 milioni di euro, la migliore in Europa: nessuno più di lui, con quel sorpasso in corsa, incarnava il successo del modello Germania in quel mondo dell’auto che è oggetto del desiderio e strumento di mobilità libertà e gusto per ogni consumatore. Si è autocelebrato fino all’ultimo, o quasi. Giorni fa pochi notarono che nel suo discorso al salone di Francoforte quasi balbettava. Adesso probabilmente sappiamo perché.
Il manager prodigio ha perso il trono, il vecchio Imperatore Piech è vivo, e tutti scommettono che gongoli, gustando il piatto freddo chiamato Vendetta.