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 2015  settembre 23 Mercoledì calendario

IL VENTENNIO DEL PRESIDENTE-PADRONE CHE DICE: «RESPONSABILI I DIRIGENTI»

Fino al 2007, Gianni Zonin ha visto passare sette direttori generali in undici anni. Un ritmo da presidente-padrone di una squadra di calcio di provincia con i suoi allenatori, si azzarda a dire un vecchio articolo del Corriere della Sera. Ritmo che si interrompe proprio nel 2007, quando Zonin incontra Samuele Sorato. Per questo quando non molti giorni fa davanti ai dipendenti Gianni Zonin ha scaricato ogni responsabilità del disastro della Banca Popolare di Vicenza sull’ormai ex Sorato, tra i circa 800 presenti serpeggiava, diciamo, una certa incredulità.
Il fatto è che se resti per 19 anni alla guida di una banca, portandola da 116 sportelli concentrati nel raggio di poche centinaia di chilometri fino a diventare il settimo istituto di credito del Paese non puoi pensare di essere creduto quando dici di non sapere cosa sta succedendo nella «tua» banca. Quando Zonin arriva al vertice nel 1996, la BpVi conta 116 sportelli. È un industriale del vino, uno dei principali in Italia. La sua famiglia sforna bottiglie da un centinaio d’anni, il suo arrivo alla guida della Popolare, in quegli anni di ridisegno del mondo bancario italiano, apparve naturale. In quello stesso anno parte l’espansione al di fuori del suo territorio di riferimento. In pochi anni compra le Popolari di Castelfranco, Trieste, Belluno, Valdobbiadene, Udine. Entra nello «zoccolo duro» di soci della Bnl da poco privatizzata. Compra Banca Nuova a Palermo e la Banca del Popolo di Trapani. Poi compra la CariPrato in Toscana e pacchetti di sportelli messi in vendita da altri istituti: 30 da Antonveneta, altri 60 da Ubi. Apre nuove sedi e filiali in Italia e all’estero, da Hong Kong al Brasile a New York. Intanto, pezzetto dopo pezzetto, la ex piccola popolare è diventata la settima banca italiana per sportelli (nel frattempo sono diventati oltre 650) e l’ottava per attivi. Restando sempre fedele alla sua natura di banca popolare e sempre lontana dalla Borsa. È la più grande banca italiana non quotata, per dire. Almeno fino a ora. La riforma delle popolari con l’obbligo di trasformazione in Spa ha imposto un cambio di strategia. Perché per anni e anni la popolare spendeva e si espandeva, rivalutando puntualmente il valore delle proprie azioni fino alla stratosferica cifra di 62,5 euro ciascuna. Un meccanismo condiviso con i «vicini» di Veneto Banca. Quando serviva si procedeva con gli aumenti di capitale, sottoscritti «allo sportello». Ogni 10 clienti, uno è anche socio.
Zonin intanto faceva il banchiere e il vignaiolo. Passava dalle grisaglie da banchiere alle camicie a quadrettoni con grande serenità. Una grande etica del lavoro, racconta chi lo conosce, che lo ha portato a preferire nella successione all’impresa di famiglia il figlio schivo che stava nelle vigne, Domenico, rispetto a Francesco, scelto come testimonial per la pubblicità. Anche lui, del resto, con le camicie a quadrettoni è sempre sembrato più a suo agio.