Piero Bianco, La Stampa 23/9/2015, 23 settembre 2015
IL PROFESSORE-MANAGER CHE SOGNAVA DI SORPASSARE LA REGINA TOYOTA –
Adesso che il trono vacilla sull’onda dello tsunami americano, c’è il rischio che il Professore passi alla storia più per lo scandalo e il grande sogno interrotto che per le straordinarie e vincenti campagne condotte finora al timone del colosso Volkswagen. Martin Winterkorn si sentiva invulnerabile dopo aver sconfitto e costretto all’esilio anche il più terribile dei rivali, l’ex amico e «padrino» Ferdinand Piëch. A 68 anni compiuti, Winterkorn (Ceo del Gruppo dal 2007 al posto di Bernd Pischetsrieder, a sua volta cacciato da Piëch) si sentiva fino a due giorni fa padrone del proprio presente e del futuro universale: in attesa di proroga della leadership fino al 2018, come decretato dal comitato esecutivo del Consiglio di Sorveglianza (la ratifica del board sarebbe stata una formalità). Potente e determinato come mai prima, il re di Wolfsburg, senza più l’ombra ingombrante del supervisore e maxi-azionista nipote di Ferdinand Porsche. Un nemico che però conserva mille risorse e - dicono - si gusta in silenzio la vendetta.
Il futuro Winterkorn lo aveva anticipato di fronte a duemila ospiti una settimana fa, alla vigilia del Salone di Francoforte: «Vetture elettriche, ibride, e connettività totale. Noi andiamo in questa direzione, cambieremo il mondo, dettiamo uno stile di vita». Applausi e la sfilata sul palco di prototipi avveniristici a emissioni zero (come Audi e-tron 4 e Porsche Mission E). Il giorno dopo il Professore aveva incassato il sostegno, che oggi pare imbarazzante, della cancelliera Merkel: «Daremo contributi all’auto pulita». Ora tutto torna in discussione. La leadership, a rischio, e il piano strategico. Come essere credibili se si promettono ricette e prodotti virtuosi dopo aver truffato i clienti proprio sul terreno ecologico?
Martin Winterkorn però non si è ancora arreso e chi gli sta vicino racconta di un manager pronto a rilanciare, se solo gliene daranno l’opportunità. Lui è il mastino che al Salone di Ginevra, due anni fa, si presentò con il metro dentro l’abitacolo di una Hyundai e poi apostrofò il codazzo di ingegneri al seguito: «Perché noi non siamo capaci a fare auto così spaziose?». Quello che nel febbraio 2013 dichiarò a Spiegel: «Guadagno troppo, tagliatemi lo stipendio». Il meccanismo dei compensi legati ai risultati avrebbe fatto lievitare la cifra da 18,3 a 20 milioni l’anno: «Ma sono eccessivi, la gente non capirebbe ...».
Lui, il Professore cattolico praticante, due figli, laurea a Stoccarda in fisica corredata da dottorati e molteplici lauree honoris causa (sulla sua carta intestata c’è scritto Dott. Prof. Prof - due volte - Multi, perché non ci stanno tutti i titoli accademici...) ora chiede la fiducia presentando i conti. Sotto la sua gestione il colosso di Wolfsburg ha raddoppiato il fatturato, passando da 100 a 202,5 miliardi di euro (+4,2% nel 2014, con utile operativo di 11,7 miliardi). I brand sono cresciuti a 12, con l’acquisizione di Porsche e Ducati, oltre all’Italdesign. Le consegne hanno superato l’anno scorso quota 10 milioni (10,14), tetto che Winterkorn aveva programmato scaramanticamente per il 2018.
Ma non è tutto oro. Winterkorn aveva soprattutto un grande sogno che alla luce della crisi americana rischia di svanire: il manager di Leonberg voleva a ogni costo battere la Toyota, salire sul tetto del mondo: la sua apoteosi, da re a imperatore. Sembrava avercela fatta già a fine 2014, poi i giapponesi rimontarono con un colpo di coda, confermandosi primi nelle vendite per sole 90mila auto. Una beffa che ha indotto Winterkorn a spingere ancora sull’acceleratore: «In Usa dobbiamo fare molto meglio».
Ripresa la corsa, Volkswagen è stato lo scorso giugno per la prima volta nella sua storia il gruppo leader nel semestre iniziale: 5,04 milioni di unità vendute contro 5,02 dei giapponesi. Poi Wolfsburg ha rallentato, e la mazzata ecologica può compromettere nuovamente l’esito finale. Sotto il profilo dei numeri, e ben più dell’immagine.