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 2015  settembre 21 Lunedì calendario

FCA E GM INSIEME: COSÌ MARCHIONNE INSEGUE UN SOGNO DA 30 MILIARDI

«Ascolta, la società fusa può fare 30 miliardi di cash all’anno. Trenta. Un numero che parla da solo». Sono le parole pronunciate da Sergio Marchionne ad Automotive News lo scorso 30 agosto e da quel momento, su quel numero, gli analisti finanziari si stanno esercitando per capire esattamente quanto è realistica una fusione tra Fiat Chrysler e General Motors. Tuttavia la stessa rivista, la più autorevole in campo automobilistico, nel paragrafo precedente precisava: «Senza specificare come è arrivato a queste cifre, Marchionne parla di uno sbalorditivo Ebitda (Margine operativo lordo) che risulterebbe dalle due realtà combinate insieme». Insomma un numero molto elevato, gettato in pasto ai mercati, ma senza specificare la sua origine. Marchionne ci ha ormai abituato a questo modo di fare, al limite dell’aggiotaggio (la Sec non ha mai avuto niente da dire, la Consob gli aveva duramente contestato il ritiro del piano Fabbrica Italia), ma ora la posta messa sul tavolo è veramente molto elevata. Una fusione tra Fca e Gm che parte da una società tre volte più piccola, la prima, e fa nascere il più grande gruppo automobilistico al mondo. Si può fare? Si vedrà a inizio 2016, quando sarà concluso lo spin off della Ferrari, se veramente Marchionne vorrà affondare il colpo. Ma per il momento è utile concentrarsi sui numeri e cercare di capire come si arriva a quei 30 miliardi di Ebitda evocati dal numero uno della Fiat.
LA STORIA IN REALTÀ
comincia a fine aprile con una confessione, quella di un “Capital junkie”, un drogato di capitale, come si definisce lo stesso Marchionne. 25 slide date in pasto ad analisti e investitori in coda alla presentazione dei dati trimestrali. Con gli astanti increduli nel vedere il più brillante manager del settore automobilistico mondiale parlare apertamente della necessità di aggregazione tra le grandi case mondiali. Gli argomenti di Marchionne erano prettamente industriali, mentre tutti si interrogavano sul cotè finanziario, che non poteva mancare. Già in quell’occasione il manager dal maglioncino blu non rinunciava a pasturare il mercato, snocciolando l’unico dato che avrebbe riguardato l’unione tra Fca e un altro tra gli altri dieci grandi produttori mondiali: sinergie tra 2,5 e 4,5 miliardi all’anno. Di lì a poco il nome Gm ha cominciato a circolare e già l’11 giugno, uno dei più quotati analisti del settore, Max Warburton di Bernstein, usciva con una ricerca dal titolo eloquente: “Può la Fiat lanciare un’offerta ostile per Gm?”. Nel report si prendono come riferimento le “Confessioni” di Marchionne sui benefici derivanti dal consolidamento: 70% nell’area della tecnologia e dello sviluppo dei prodotti, 15% nella commercializzazione e 15% in termini di risparmi sui costi. «Stando alla presentazione di Marchionne – scrive Warburton – un accordo con Gm potrebbe far risparmiare 3 miliardi di dollari all’anno solo mettendo insieme le piattaforme e la produzione dei motori. Questo numero può crescere ampiamente con promesse di risparmi sulla condivisione di siti produttivi e distribuzione in Nord America, con l’integrazione in Europa tra Fiat e Opel e l’eliminazione delle sovrapposizioni in America Latina». E Warburton conclude così: «Con ricavi complessivi per 280 miliardi di dollari, non può risultare credibile una promessa di 10 miliardi di dollari di sinergie (4% dei ricavi) o più? Se i realisti (me incluso) argomentano che sono molto difficili da realizzare, questo tipo di numeri non sono insani. E possono rappresentare un terreno di discussione per un accordo».
La discussione, ormai è noto, non è mai cominciata poiché Mary Barra, ceo di Gm, ha finora rifiutato gli approcci di Marchionne, il quale però sostiene che l’affare e i numeri sono talmente grossi e favorevoli che è impensabile non esaminarli. L’unione delle due aziende farebbe nascere un vero colosso, con oltre 15 milioni di veicoli prodotti all’anno e quote di mercato leader in molto segmenti e aree del mondo. In America Latina, la somma di Fca e Gm porterebbe a una quota del 24,3%, nell’area Nafta (Nord America, Canada, Messico) si arriva al 29,6%, in Europa occidentale la quota congiunta sarebbe del 13,3%, in Cina dell’11,8% e a livello globale Fca-Gm avrebbe il 16,4%. Con i marchi premium Maserati e Alfa Romeo che potrebbero avere successo a livello internazionale più di Cadillac e la Jeep essere spinta con decisione in Cina. «Vedo più sinergie realizzabili sul fronte del taglio dei costi che sul lato commerciale – osserva Martino de Ambroggi, analista di Equita sim –, il 2% della base costi come valore lordo potrebbe essere un riferimento. Cioè 5 miliardi ottenibili a regime che farebbero salire l’Ebitda da 24-25 miliardi a bocce ferme fino a 29-30». Nel modello finanziario predisposto da Warburton già nel 2016 l’Ebitda della società congiunta arriverebbe a 28 miliardi e con 2 miliardi di sinergie l’utile lordo (Ebit) raggiunge quota 17,5. Mentre nel 2017 le sinergie crescerebbero a 5 miliardi e nel 2018 a 10 con un Ebit che tra tre anni vola oltre i 30. Musica per le orecchie di Marchionne che ha già ottenuto l’effetto voluto: far parlare il mercato di un’operazione che è ancora lungi dall’essere conclusa. E far salire il titolo che nel caso si arrivi a una fusione renderà l’operazione più attraente per i soci Fca.
Ciò che Marchionne non dice, ma che è evidente a tutti gli operatori finanziari, riguarda l’opportunità finanziaria di Fca nel concludere un accordo in questo momento sfruttando i rialzi del titolo conseguiti con la ristrutturazione di Chrysler prima e l’annuncio dello spin off Ferrari poi. «Fca è autosufficiente nel breve periodo ma senza Ferrari la struttura di gruppo diventa più fragile. Fino al 2016 brucia cassa anche perché sta investendo molto sul rilancio Alfa Romeo che porterà i suoi frutti dopo il 2016. Una fusione con GM risolverebbe gran parte dei suoi problemi», dice de Ambroggi. Per la maggior parte degli analisti l’azienda di Torino ha una redditività ancora bassa, un indebitamento alto di 7,5-8 miliardi a fine anno, ma è valutata dal mercato a un multiplo di 23 volte sugli utili 2015 contro le 9 volte di Gm. In un’eventuale fusione non può certo offrire cassa ma tutta la sua carta ipervalutata e un supermanager che fa promesse esorbitanti sulla redditività futura in base a un pacchetto di “sinergie” difficilmente valutabili sulla carta. Il pallino sta dunque in mano agli azionisti Gm: devono decidere se salire sul treno di Marchionne sposando il suo ragionamento industrial - finanziario, tenendo presente che nel breve periodo sarebbero penalizzati da una fusione con Fca ma nel medio i benefici sarebbero evidenti anche per loro. Una sirena non facile da ignorare: dall’inizio dell’anno il titolo Fca è salito del 51%, quello Gm solo del 4%. Marchionne li alletterà con un premio sul concambio di azioni Gm in Fca in modo che restino predominanti nell’azionariato, anche se quella che nascerà sarà una public company con la Exor della famiglia Agnelli diluita ben sotto il 10%. I fondi attivisti di Gm potrebbero costringere Mary Barra a sedersi al tavolo, così come hanno ottenuto un maggiore buy back l’anno scorso. Ma tutti sanno che molta della droga iniettata sul titolo Fca deriva dall’operazione Ferrari, che Marchionne ha stimato in 10 miliardi (dollari o euro?) ma senza dire quanto debito verrà trasferito a Maranello. Dunque per valutare meglio le cose meglio aspettare la quotazione in Borsa del Cavallino rampante che dovrebbe avvenire nella seconda metà di ottobre. Poi nei primi mesi del 2016, con lo spin off effettivo, il titolo Fca dovrebbe tornare sulla terra ma prima che ciò avvenga Marchionne potrebbe aver già lanciato l’offerta ostile tutta di carta su Gm. Cercando di passare alla storia.
Giovanni Pons, Affari&Finanza – la Repubblica 21/9/2015