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 2015  settembre 23 Mercoledì calendario

BOSSI CONDANNATO DE LUCA SANTIFICATO

Due pesi e due opinioni. Dài, l’avete già capito l’espediente retorico che vogliamo utilizzare dopo la condanna di Umberto Bossi ieri a 18 mesi per vilipendio del capo dello Stato e del capo del governo: vogliamo mettere in parallelo questo «reato di opinione» accolto nel silenzio, cioè, con l’altro «reato di opinione» che invece ha sollevato uno scandalizzato baccano: quello per cui stanno processando Erri De Luca per istigazione a delinquere. Questo è il nostro espediente retorico: non vi resta che dimostrare che sia un espediente e che sia retorico.
Prima però l’aggiornamento. Umberto Bossi è stato condannato dal tribunale di Bergamo per una sua uscita del 29 dicembre 2011, quando, durante un comizio, attaccò Giorgio Napolitano e Mario Monti facendo il gesto delle corna: «Mandiamo un saluto al presidente della Repubblica...» «Napolitano, nomen omen, terùn». Poi il pubblico aveva scandito dei «vaffanculo» indirizzati a Monti, e Bossi aveva ridacchiato: «Magari gli piace anche». Nota: il punto è che è circolato e circola ancora un video della scena, ed eccoti allora le denunce. Fanno un anno e sei mesi in primo grado, ed già tanto che i giudici abbiano respinto la richiesta del pm di «aggravante con fini di discriminazione etnica». Sarebbe il «terùn».
Ora: siamo di fronte, formalmente, a due reati di opinione. Quello di Bossi, già condannato, è «offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica» nonché «vilipendio alle istituzioni». Quello di De Luca è «istigazione a delinquere» e riguarda chiunque pubblicamente istighi a commettere reati, anche se poi nessuno li commettesse.
Ora mettiamo in parallelo i due reati. Il vilipendio affibbiato a Bossi deriva addirittura dal Codice Zanardelli del 1889 (mica il Codice Rocco evocato per De Luca) ed esiste ancora perché non è stato possibile abrogarlo: la Corte Costituzionale infatti lo giudicò pienamente costituzionale e il Parlamento riuscì soltanto (2006) a sostituire il carcere con pene pecuniarie per alcuni dei vilipendi: ma per quelli al capo dello Stato e alle istituzioni, come visto, il carcere rimane. Resta il fatto che questo reato antidiluviano non comporta alcun pericolo sociale (di massima) e, giurisprudenza alla mano, è quanto di più indefinibile ci sia in giro: non è semplice, infatti, stabilire quale e quanto grave debba essere un’offesa verbale affinché il fatto sia ritenuto compiuto. Aggiungiamoci, poi, il contesto squisitamente politico in cui Bossi avrebbe compiuto il suo reato: il Berlusconi premier era appena stato sostituito da Monti ricorderete il clima ed ecco che un leader storico, Bossi, arringa il suo popolo ad una festa di partito: non in una scuola materna. E fa, più che altro, due palesi battute. La gente rise contenti loro ma Bossi non soffiò su nessun fuoco. Finita lì.
Ora vediamo il supposto reato di Erri De Luca. Da militante No Tav, gli fanno delle interviste siamo nell’autunno 2013, periodo incandescente per le violenze in Valsusa e lui, De Luca, a un certo punto risponde a una domanda specifica sulle molotov. Dice: «Sabotaggi e vandalismi sono necessari per comprendere che la Tav è nociva... la Tav va sabotata... le cesoie sono utili perché servono a tagliare le reti». È una chiara legittimazione di sabotaggi e vandalismi e cesoie eccetera: dopodiché le violenze e i sabotaggi, attorno ai cantieri della Tav, riesplodono. Serve altro domanda per ipotizzare un pericolo di causa-effetto tra parole e gesti? Per meritarsi l’accusa di aver soffiato sul fuoco? La differenza è questa, appunto: nel caso di De Luca, il fuoco vi fu; andarono in fiamme quattro imprese che lavoravano per il cantiere, tra l’altro. Nel caso di Bossi, il popolo vetero-leghista si fece una risata, fine. Però Umberto Bossi, leader politico, è stato condannato a 18 mesi e tutti zitti. Per Erri De Luca hanno semplicemente chiesto il minimo della pena (otto mesi) e però ecco, sollevazioni intellettuali, citazioni di Voltaire, tutto il circo che sapete. Coi pagliacci di sempre.