Paola Pellai, Style, il Giornale 9/2015, 22 settembre 2015
UNA VITA MARA
[Mara Maionchi]
A Milano è un pomeriggio molto caldo. Il sorriso di Mara Maionchi mi apre la sua porta di casa, in una laterale di via Washington. Un grande sedotto, tanti quadri alle pareti (“C’è anche il ritratto a matita della mia zia Rita, fatto da suo marito”), un’infinità di libri (“Adoro quelli di storia e le biografie”), tre Tapiri sugli scaffali e il Salerno accoccolato sulla poltrona. Lui, Alberto Salerno, da 39 anni è il marito di Mara (dal 9 dicembre 1976, la data precisa se la ricordano entrambi) e da sempre è uno dei produttori discografici e parolieri italiani (suoi i testi di Io vagabondo, Bella da morire, Terra promessa e Lei verrà) più noti e bravi. Insieme sono irresistibili. Stessa ironia e stessa voglia di condividere le facce della vita. Il Salerno ha infilato lui ma anche lei, e quindi loro, in un blog (www.faremusic.it) fatto molto bene. Mentre io e Mara chiacchieriamo sul divano, lui c’è e non c’è. A tratti dorme, anzi russa proprio. Mara lo richiama: “Amore, io e Paola non riusciamo neppure a parlare. Vai nel tuo studio”. “Sto troppo bene qui. Noi siamo separati in casa ma anche insieme” ironizza lui. Mara ride e ha un’espressione dolce. Mi porta in cucina e mentre io sfoglio l’intramontabile “Cucchiaio d’argento”, lei mi prepara il caffè. Poi andiamo sul terrazzo. Ritira i pantaloni del Salerno pronti per essere stirati e mi fa vedere le sue piante. “Ti sto trattando come un’amica” mi confida.
È appena ripartito X Factor. Tu sei stata riconfermata alla guida di Xtra Factor. Tolti i panni del giudice, hai trovato il ruolo più congeniale alla tua libertà d’espressione.
«Sì, mi diverto un casino. Quest’anno poi ho partecipato alle tappe dei provini. Ho visto ragazzi molto interessanti. Ma è solo l’inizio. Un po’ come nelle giovanili del calcio: pulcini geniali che poi magari si perdono nel crescere perché mollano la voglia di faticare. In campo musicale è uguale. Fare il giudice è faticoso, sei direttamente coinvolto nel percorso di un ragazzo. Ora posso essere in disaccordo con il giudice come e quanto voglio. Il mio vantaggio adesso è di essere superpartes: se mi piace uno lo dico e se non mi piace lo dico uguale».
Rispetto alla passata edizione c’è stato un passaggio difficile nella tua vita: cancro al seno, operata lo scorso gennaio.
«Sì, sono stata operata per due tumori quando avevo la presunzione e l’illusione di averla fatta franca. Il consueto screening va dai 50 ai 70 anni. Beh, mi dicevo, io ne ho 74.... E invece nella vita non bisogna mai essere certi di nulla. Occorre stare sempre in guardia e prevenire. Prevenire, lo dico a voce alta. C’è un forte aumento di questa patologia tra le donne giovani ma ci sono anche grandi possibilità di guarire bene. Ho vissuto l’esperienza come un avvertimento: la salute è il tuo Bingo quotidiano».
C’è chi in quei momenti incontra la fede, chi invece si arrabbia con il buon Dio...
«Da sempre sono molto credente pur non essendo un’assidua praticante. Dio l’ho lasciato fuori dalla mia malattia. Mai pensato che avesse voluto punirmi. Perché dovrebbe farlo con me e non con un altro? Ci sono persone perseguitate dalla malattia e bambini piegati dalla sofferenza. Dio non è cattivo, Dio non vuole il nostro dolore. La malattia è una realtà della vita. E non abbiamo neppure il diritto di chiederci perché a me e non a un altro».
Che bambina sei stata?
«Sono sempre stata una bimba molto rumorosa e poi lo sono rimasta da adulta. Mi piacevano tutti i giochi un po’ da maschio: i giochi con la palla, le gare di corsa, tutto quello che era all’aria aperta. Indimenticabili le mie estati dai nonni a Montecarlo, sopra Lucca. Vivevamo in una libertà quasi selvaggia. Passava un’auto ogni 6 mesi. La nostra vivacità si sfogava su prati enormi e nelle vigne. Nelle nostre scorribande ci piaceva rubare un po’ d’uva. Per noi era sfidare il senso del proibito... Mamma e papà lavoravano a Bologna, avevano una grossa rappresentanza di filati e così quella grande casa di campagna retta da nonna Celestina era il nostro punto di riferimento estivo. Mio e di mia sorella, più grande di 11 anni. Quando avevo 8 anni, lei era già all’università...».
Tu a scuola hai faticato...
«Io a scuola sono stata il nulla. Un somaro al limite della catastrofe. Mai dato la colpa ai professori perché non c’era motivo. Non sono mai riuscita a far felice nessuno di loro. Ma rispetto ad oggi la scuola non era così fondamentale. Mi sono iscritta a ragioneria e ho fatto un corso accelerato da stenodattilografa. Mio padre era stato chiaro: se non studi, lavori. Mia sorella aveva frequentato l’università con merito, a me l’idea non mi ha neppure sfiorato».
Ti sei buttata subito nel lavoro. E che lavori...
«Allora fortunatamente i lavori si trovavano, si facevano e si cambiavano. Il mio primo impiego è stato in un’azienda di anticrittogamici. Quattro ragazze in ufficio a stilare le relazioni di entomologi e dottori in agraria che testavano i nostri prodotti. Feci esperienza anche nel settore degli articoli antincendio. Ai clienti simulavo come comportarsi in situazioni d’emergenza. Non chiedermi se quegli incarichi mi piacevano o no. Li facevo. Il senso del dovere che non ho mai avuto a scuola non mi è mai mancato sul lavoro. I miei genitori mi avevano insegnato che le regole e gli ordini andavano rispettati. Non mi è mai pesato. Obbedire non fa male, ma aiuta ad essere poi più indipendenti».
Sei arrivata in televisione nel 2008, giudice a X Factor: avevi 67 anni. Una bella rivincita sulla tv delle Veline...
«Avrei fatto volentieri la Velina per evitare di finire in televisione a 67 anni. È stata una combinazione. Giorgio Gori con la sua Magnolia cercava tre giudici per riproporre anche da noi il format mutuato dall’Inghilterra. Il programma partiva dalla certezza di Simona Ventura, molto amata dal pubblico. Io venni segnalata a Gori da un collega che lavorava alla Sony Music e mi conosceva da 30 anni non solo come discografica, ma anche per il mio temperamento. Il mio provino non li deluse. Dovevamo commentare le esibizioni di alcuni ragazzi. Arrivò una dicendo di voler interpretare una canzone bellissima ma mai capita dai discografici, lì mi espressi in maniera colorita. Insomma sbottai, ma come avrei fatto anche nel mio ufficio. Non potevo che essere me stessa, non sarei stata capace di fare altro. Mi presero insieme a Morgan, un grande».
Tu e Alberto siete sposati da 39 anni. In ogni intervista ti chiedono il segreto per stare così tanto insieme. Ma non dovrebbe essere la regola?
«Dovrebbe. Però tutti pensano al matrimonio come il grande amore appassionato che deve essere per sempre quello degli inizi. Balle. Il trascorrere del tempo è inevitabile che lasci dei segni e porti delle modifiche e allora tocca al buon senso gestire il tutto. È stato così anche per noi. Io e Alberto ci eravamo conosciuti quando lui aveva 16 anni e io 10 in più. Lui aveva la sua fidanzata, io le mie storie. Poi il destino ha voluto che i rispettivi amori finissero nello stesso periodo, quasi 10 anni dopo. Lui mi chiese di uscire ad aprile, a dicembre ci siamo sposati. Mi facevo scrupoli sulla differenza di età, mi ha sbloccato mia mamma: “Ma che te ne frega? È lui che se la prende più vecchia”. Aveva ragione».
Ma in tutto questo tempo non hai mai sentito i 10 anni di differenza?
«Mai. Anzi sì, perché lui mi sembra un po’ più vecchio di me. La nostra è una vita di coppia come tante altre. Ci sono state crisi vere, ma le abbiamo superate insieme con il buon senso. Certo, pure il Salerno mi si è fidanzato un po’ di volte. Robetta veloce, ci sta. Non è quello che fa finire il matrimonio. Il problema è quando uno dei due s’innamora e se ne va. Un consiglio alle donne: l’uomo non se ne andrebbe mai via da solo, quindi che non vi venga in mente di cacciarlo. Certo, non tutti i matrimoni sono uguali. La vita non è tutta uguale, i cancri non sono tutti uguali...».
Tu e il Salerno vi siete divisi i compiti in casa?
«Abbiamo un aiuto a giorni alterni. Per il resto io riordino, faccio le pulizie, lavo e stendo. A lui ho lasciato il comando della cucina e ammetto che mangio molto meglio di prima. Il Salerno adora le verdure e fa sughi eccezionali. Dopo il tumore ho ridotto drasticamente la carne e ho adottato un libro di ricette, “Io mi voglio bene”, di Marco Bianchi, ricercatore nell’equipe di Umberto Veronesi. Ho imparato a fare un buonissimo ragù di taitan, che è una radice. Certo, non sono una talebana, una volta ogni tanto le eccezioni vanno bene».
Mara, ma tu sei da bianco o da rosso?
«Non bevo vino né birra. Purtroppo le stronzate che dico, le dico da lucida. Non ho la scusa che ho alzato il gomito. Così da sempre. Astemia. Due sorsi ogni tanto a cena per spirito conviviale».
Hai due figlie, Camilla e Giulia. Che mamma sei stata?
«Sono stata una mamma normalmente apprensiva. Sono stata capace di dire dei no e di non dare loro sempre ragione, quando ero sicura che non ce l’avessero. Tipo quando pigliavano un brutto voto a scuola perché non avevano studiato e usavano l’alibi del professore cattivo. Ho due figlie in gamba. La Camilla più silenziosa e più furbetta, la Giulia molto più esposta. Di nascosto ho letto sempre i loro diari, non l’hanno mai saputo. Era l’unico modo per capire cose che non mi dicevano. Non era curiosità morbosa, ma la voglia di farle crescere bene».
Sei nonna bis. Nicolò, 4 anni, e Mirtilla, pochi mesi...
«Già, ora c’è anche Mirtilla, nome abbastanza usuale in Francia, una primizia da noi... Quando Camilla è rimasta incinta, io le chiedevo se era un maschio o una femmina. E lei mi rispondeva: “Non si sa ancora, è grande come un mirtillo”. E ogni volta: “Mirtillo o Mirtilla come stanno?”. Alla fine è rimasto quel nome che le piaceva tanto. Mirtilla è ancora troppo piccola per divertirsi coi nonni, ma Nicolò ce lo godiamo tanto. Quando viene a casa nostra, il segreto è cacciare i genitori. In loro presenza ne fa di tutti i colori, con noi è bravissimo».
Tu hai sgobbato sempre. Con una tenacia e una forza che fanno la differenza in ogni campo...
«La vita è dura. Ho faticato tanto come molti altri. Solo che a differenza di altri io ho avuto più fortuna. Sì, il culo non basta ma aiuta molto. Ma bisogna anche andare a cercarsela la buona sorte, non stare immobili ad aspettarla».
Non si può dire che tu la fortuna non sia andata a cercartela... Anche con il gioco d’azzardo.
«Sì, è vero. Però poi si arriva a un punto che capisci che devi smettere perché stai esagerando. L’ho fatto con le sigarette, l’ho fatto anche col casinò. Mi sono fatta cacciare da quelli di Campione e di Lugano, le tentazioni più vicine a Milano. Puoi farlo scrivendo loro una lettera dove chiedi che ti neghino l’ammissione e sei a posto. La volontà va aiutata. Ora gioco a burraco con le amiche, partecipo ai tornei e mi diverto».
Il tuo vero colpo risale al 1967 quando, rispondendo a un’inserzione sul Corriere della Sera, entrasti nell’ufficio stampa dell’Ariston Records.
«Ho fatto il colloquio con Alfredo Rossi. Sono diventata segretaria dell’ufficio stampa, poi cotitolare e poi ne ho preso il comando, promuovendo artisti come la Vanoni, Reitano e Lauzi. Poi Mogol mi ha chiamato alla sua etichetta, la Numero Uno, e lì ho incontrato Lucio Battisti e c’era pure il Salerno che lavorava. Tutta una combinazione. Non ho mai lavorato per una multinazionale, non mi piace farlo per chi non so che faccia abbia. Vado come tutti al supermercato, ma non abbandono il mio macellaio, fruttivendolo, panettiere... Ho forte un concetto di appartenenza storica all’Italia, sono così “patriottica” che non riesco ad imparare le lingue, neppure l’inglese».
In un mondo che si pavoneggia, tu hai avuto l’umiltà di affermare che non hai “scoperto nessuno, ma hai solo incontrato talenti”.
«La fortuna aiuta, però va cercata. Ma non al Casino... Ribadisco. Non è umiltà ma consapevolezza. Per incontrarsi e avere risultati bisogna essere in due. Da sola non avrei fatto niente. Il risultato va spartito al 50 per cento. Il mio merito è quello di riconoscere un artista in gamba, il suo merito è di essere forte».
Già, ma tu hai un’abilità: Gianna Nannini, per esempio, ha impiegato 7 anni a diventare un animale da palcoscenico...
«È una soddisfazione enorme, ma se la Nannini non avesse avuto dentro quello che ha, io avrei contato poco. Non si è mai da soli a fare le cose giuste. Io non credo ai dittatori. Pensa a me e al Salerno. Il matrimonio regge non perché io sono stata brava, ma perché è stato bravo anche lui. Anche a me sarebbe piaciuto essere Chris Blackwell, il produttore inglese di Bob Marley, gli U2, Cat Stevens e Grace Jones, tanto per fare qualche nome. Ma lui era più forte. Punto. Uno si può anche accontentare ed essere felice di quello che ha e di come è andata. E io lo sono».
Non c’è un abuso di talent show?
«Certo che c’è. È un fatto economico, non c’è nient’altro che costi così poco. I ragazzi vanno gratuitamente o per 50 euro al giorno. Quello che non accetto è che si dica che i talent show hanno ammazzato la musica. Nulla di più falso. In Inghilterra e in America ci sono i talent show e la musica pure. I talent dovrebbero essere una possibilità in più, il nostro errore è che l’Italia si aggrappa lì e lì rimane. Non studia alternative, non investe su altro. Lanciare un giovane è un’impresa quasi impossibile. È però anche vero che Fedez non è uscito da un talent. Ed è altrettanto vero che dai talent qualche stella vera emerge sul serio. Qualche nome? Marco Mengoni, Giusy Ferreri, Noemi, Francesca Michielin...».
Ti hanno mai proposto un reality, tipo l’Isola dei famosi?
«Ma va là.... L’idea di andare là e nun magnà non mi sfiora. Ho 74 anni, andare a morire in Colombia mi sembra brutto. Potrei fare il Grande Fratello dei pensionati. Mangi, dormi, discuti... sì, possiamo parlarne».
Hai fatto televisione, un libro, la radio, uno spot, il cinema... Cosa ti manca?
«Le vie del Signore sono infinite. Magari faccio la starlette. Sono molto curiosa. Ad esempio in radio (Benvenuti nella giungla con Gianluigi Paragone e Ylenia su Radio 105, ndr) mi diverto molto perché affronto temi sui quali non avrei mai pensato di esprimermi. È vero che ne parlo come al Bar Sport ma mi piace e credo nel confronto, senza mai pensare che uno ha torto e l’altro ragione. Talvolta quando mi voglio salvare sono una bella bugiardona. E non me ne pento».
In pochi sanno che tu lavori molto bene a maglia...
«È vero, ma non lo faccio più. Non ho più trovato vittime per le mie creazioni. Le mie figlie sono state le prime, facevo golf che non entravano mai nel collo. Taglia qui e taglia là. Una disperazione. Modella ideale era mia madre, indossava anche i miei cardigan. A lei non importava la precisione, bastava che fossero rossi. Ma ora lei non c’è più e le mie figlie sono andate fuori dalle balle... I nipotini? Sono stata gentilmente invitata a lasciar perdere. Sai invece quale è stato il periodo più elegante della mia vita? Ad inizio carriera quando Ornella Vanoni mi regalava i suoi abiti indossati in qualche serata.... Aveva sarti bravissimi e avevamo su per giù la stessa corporatura. Finirono a me anche una bellissima pelliccia che le aveva portato dalla Francia Bedy Moratti e un completo in tessuto dorato, sottana e camicia».
Le tue malinconie, Mara...
«Devo essere proprio in balìa dell’inferno per averne. E non sono mai malinconie legate al passato. Tipo com’ero giovane o com’ero bella. Che poi bella non sono mai stata quindi faccio poca fatica...».
Cosa canti sotto la doccia?
«Ma sei matta? Io non oso cantare. Sono una pippa, mi faccio schifo da sola. Sono il Totò Riina dei cantanti. Non esiste di peggio. Eppure adorerei canticchiare quel capolavoro che è “Imagine” di John Lennon... E invece mi limito ad... immaginarlo. Sempre».