Pietro Saccò, Avvenire 22/9/2015, 22 settembre 2015
NON SI DIVENTA N. 1 SENZA GLI USA. E ORA IL MANAGER WINTERKORN DOVRA’ RIVEDERE I SUOI PIANI
È improbabile, dicono gli analisti, che il governo americano interpreti in maniera inflessibile il Clean Air Act e pretenda da Volkswagen 18 miliardi di dollari, cifra strabiliante citata da dirigente dell’agenzia ambientale Epa come massima punzione possibile, equivalente a 37.500 dollari per ognuna del 482mila automobili truffaldine immatricolate. La multa arriverà e sarà consistente, ma per avere un ordine di grandezza più realistico conviene riprendere l’accordo tra l’Epa e le case coreane Hyundai e Kia, che lo scorso novembre hanno ammesso di avere comunicato dati sbagliati su alcuni modelli, per quasi 1,2 milioni di immatricolazioni totali, ottenendo dei risultati migliori nei test sulle emissioni inquinanti. Se la sono cavata con una multa da 100 milioni di dollari e l’obbligo a restituire altri 200 milioni di dollari in crediti da riduzioni di emissioni di gas serra che avevano incassato. Il caso di Volkswagen è più insidioso, perché i tedeschi faticheranno a sostenere che il software che riduceva le emissioni quando avvertiva che era in corso un controllo fosse il frutto di un semplice errore, ma sembra realistico un pagamento non troppo superiore al miliardo di dollari. Al quale, però, bisognerà aggiungere i costi diretti per la mancata vendita dei modelli incriminati – sospesa da ieri – e per la gestione dei quasi 500mila richiami annunciati. Si prospetta quindi un conto salatissimo per il bilancio della casa tedesca che quest’anno punta a scavalcare Toyota per diventare il più grande costruttore di automobili al mondo. I margini del settore dell’auto restano bassi, nemmeno il re del mercato può permettersi grandi spese impreviste.Volkswagen prevede di chiudere il 2015 con circa 12 miliardi di utili su un fatturato di 202 miliardi di dollari, una multa da un miliardo si porterebbe via quasi il 10% dei profitti. Il danno peggiore, però, è quello di immagine. Questo scandalo incrina l’idea consolidata dell’affidabilità dei costruttori tedeschi in generale, come ha ammesso lo stesso ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel, e colpisce violentementeVolkswagen in un momento cruciale della sua presenza sul mercato americano. Il piano industriale della casa tedesca punta a fare crescere le vendite negli Stati Uniti dalle 600mila previste per quest’anno a oltre un milione nel 2018. La crescita in America è fondamentale, soprattutto adesso che le prospettive del mercato cinese — quello che in questi anni aveva fatto la fortuna delle auto di lusso tedesche — sono più incerte che mai. Ma negli Stati Uniti i marchi Volkswagen fanno fatica. Le vendite di Audi non tengono il passo di quelle di Mercedes e Bmw, mentre le Volkswagen non affascinano la famiglia media americana, tanto che le vendite del marchio della capogruppo quest’anno sono riuscite addirittura a calare (-2,6%) mentre il resto del mercato cresceva del 5,1%. La scommessa dell’amministratore delegato Martin Winterkorn è quella di convincere gli americani a innamorarsi del motore a gasolio, che è il punto di forza dei tedeschi ma ha sempre avuto poco successo da quelle parti, e per riuscirci il manager faceva leva sui bassi consumi e le basse emissioni. Era una sfida ambiziosa, ora appare quasi impossibile. Il grande lavoro di Winterkorn, se riuscirà a mantenere il posto dopo questa vicenda, dovrà essere quello di ricostruire l’immagine del marchio, e non sarà facile trovare i capitali per riuscirci senza fare sacrifici sostanziosi o sul lato dell’innovazione o sui dividendi da pagare agli azionisti.