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 2015  settembre 20 Domenica calendario

LA STORIA FRIZZANTE [4

LA STORIA FRIZZANTE [4 pezzi] –
«Con i suoi monumenti romanici e gotici, e la sua atmosfera profonda e sorda, Asti ha l’attrattiva della vera provincia che sta scomparendo». Così Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia del 1951, raccontava la porta del Monferrato.
I monumenti sono ad esempio (rispettivamente) il complesso di San Pietro in Consavia e la preziosa cattedrale di Santa Maria Assunta. E l’atmosfera quella che ogni astigiano over 40 ricorda, quella di una città, spiega ad esempio la cantante Andrea Mirò nativa della vicina Calliano, «in cui succedeva molto poco. Non avevamo molto da fare se non trovarci sotto Toiu (il nomignolo dialettale con cui gli astigiani chiamano la statua di Vittorio Alfieri che presidia la centrale piazza dedicata al poeta, ndr) per bighellonare. Forse è per questo che sono nate grandi passioni. Come la mia per la musica, inculcatami nientemeno che dal parroco, don Venesia. Ci aveva fatto mettere su una band, io al piano e mia sorella alla chitarra, e la gente veniva apposta a Messa per sentirci. Il clima placido è un incubatore di passioni. Ma ora la città è cambiata molto, le cose da fare sono tante. Il mio appuntamento preferito sono le Sagre».
Le «Sagre», cioè il Festival delle Sagre, una specie di gara gastronomica fra le proloco della provincia che accompagna tradizionalmente la Douja d’Or, fra i concorsi enologici più importanti d’Italia: entrambi si disputano il secondo weekend di settembre, e quest’anno hanno portato in città 300 mila visitatori. È così, con un calendario sempre più ricco di eventi legati al vino e non solo, che la città cerca di scrollarsi di dosso il proprio Dna sonnacchioso.
Cardini del programma: il Palio di oggi e la Fiera del Tartufo (concorrente di quella dell’eterna rivale Alba) il 14 e 15 novembre. Ma anche percorsi come le Storie di Bellezza, un marchio che il Comune ha lanciato quest’anno grazie a finanziamenti regionali ed europei, e che contrassegna le meraviglie di Asti:, come — fra la romanica Torre Rossa che imprigionò il patrono della città, San Secondo, e i luoghi di Vittorio Alfieri — addirittura una balena. La balena Tersilla: il suo scheletro fu ritrovato nel 1993, fossilizzato, risalente al Pliocene, cioè ai tempi in cui ad Asti c’era il mare; e ribattezzato «Tersilla» dal nome della proprietaria della vigna dove fu rinvenuta.
Il Palio, tradizione medievale dal XII secolo, è da sempre sentitissimo, anche senza l’ossessione che pervade Siena. «I rioni lavorano tutto l’anno a preparare i tableaux vivant della sfilata. E ci è sempre stato chiaro che non era solo una festa, ma una celebrazione di libertà, che veniva dritta dei tempi dei comuni», racconta il cantautore Giorgio Conte, che proprio nella sua Asti iniziò a suonare con il fratello Paolo (Giorgio la batteria, Paolo il vibrafono). «Non a caso Mussolini lo volle vietare. Nella mia famiglia è rimasto storico quello del ‘38, vinto da un cavallo di mio nonno Attilio. Il peggiore a cui ho assistito è stato qualche anno fa, quando un cavallo è rimasto infilzato su uno steccato. Più passa il tempo più sono attenti alla sicurezza per gli animali, ma è sempre uno strazio quando succede».
«L’astigiano — continua Conte che appartiene, tra i borghi del Palio, a quello di Viatosto, chiamato così perché ai tempi della peste i suoi abitanti scacciavano gli ammalati, al grido di “via, tosto!” — «è un bërbutun , un brontolone; vuol stare tranquillo. Il modo di dire che più lo rappresenta è “ pisa pì cürt ”, piscia più corto, cioè non te la tirare. Un artista è uno che fa degli spatüs , ha grilli per la testa. Ma è anche una mentalità che ti sfida».
«Chissà perché, è pieno di astigiani tra i miei colleghi, o tra i miei studenti», conferma la fisica Nadia Pastrone, a capo di un gruppo di ricercatori italiani del celebre Large Hadron Collider al Cern di Ginevra. «E senza generalizzare troppo sono però tutti molto brillanti. Un po’ è l’alfieriano “volli, sempre volli...”: io stessa da ragazza studiavo tantissimo, anche perché a parte il cineforum Don Bosco e il teatro Alfieri c’era poco da fare. E poi l’atmosfera placida spesso rende in gamba. Sprona a partire».
O a restare, e ravvivare l’atmosfera: il prossimo anno, fanno sapere dal Comune, il calendario di eventi si allargherà a marzo e agosto, per attrarre visitatori tutto l’anno; al raduno degli alpini di maggio 2016 si attendono 400 mila presenze, e nel 2015 — da che Langhe, Roero e Monferrato sono stati dichiarati patrimonio Unesco — i flussi turistici sono aumentati del 9,5%. Un fermento rapido, come quello dello spumante.
Irene Soave

DRAPPI, LOCANDINE E VIDEO DOVE LA GARA BRILLA NEI SECOLI –
Sembra di udire il tintinnio dei bicchieri colmi di vino e le grasse risate delle cene pantagrueliche, le parole segrete che i fantini sussurrano ai cavalli e poi lo scalpiccio, prima lieve e poi rullante come tanti tamburi, dei sauri «eccitati» dalle urla degli astigiani nel momento fatidico della corsa; che arriva, dopo giorni di burle, nei ventuno tra borghi, rioni della città e comuni della provincia ammessi alla storica, singolare tenzone rievocativa che è il Palio di Asti.
Eppure non ci troviamo nel triangolo di Piazza Alfieri, non stiamo calpestando la terra rossa sulla quale ansimano i puledri. Queste stanze del quattrocentesco Palazzo Mazzola hanno pareti e non gli alberi che orlano l’anello della gara disputata per la prima volta nel lontano 1275 per dileggio sotto le mura di Alba, città storicamente nemica, per devastare le vigne che la cingevano.
Ciononostante, in questo Museo del Palio di Asti appena inaugurato all’interno della sede dell’Archivio Comunale si provano le medesime palpitazioni che pulsano nel cuore degli spettatori del Palio: delle migliaia di spettatori, che quando il corteo storico — composto da 1.200 figuranti e partito, come ogni anno, dalla cattedrale di Santa Maria Assunta — raggiunge appunto il circuito di Piazza Alfieri, assistono al momento in cui il Sindaco dà licenza di correre al Capitano del Palio e spronano i cavalli allineati dietro il canapo, esausti dell’attesa, affinché galoppino veloci per compiere i tre giri e giungere primi al bandierino del traguardo.
Anziché attendere tutto l’anno, in questo palazzo che è forziere dei documenti che segnano la storia di Asti dal X secolo, grazie al progetto scientifico di restauro e di allestimento museale su di un’area di 500 metri quadrati, costato un milione di euro, curato dal Comune e realizzato grazie a fondi europei, regionali e di varie fondazioni bancarie, si può adesso vivere ogni giorno… il giorno del Palio.
Quando si sfila davanti alle locandine degli scorsi decenni ci si sente trasportati indietro nel tempo, specialmente ammirando i drappi — oggetto di una mostra temporanea che raccoglie in particolare quelli offerti dal Comune alla Collegiata del Santo Patrono dal 1984 al 2000, anno del giubileo in cui fu disputata una corsa straordinaria in giugno — coi loro colori vivaci. I più antichi, datati 1815 e 1852 , di proprietà della Collegiata e abitualmente conservati in chiesa nella cappella del Santo, meritano una sala a parte. E che emozione sfogliare nelle postazioni multimediali le immagini della gioia provata dal fantino quando riceve il Sendallo, il dipinto su stoffa riservato al vincitore, la borsa di monete d’oro e gli speroni che spettano al secondo e al terzo classificato. Per non parlare dell’inchioda, l’acciuga salata donata all’ultimo arrivato: guardate la faccia che fa il cavaliere (nei primi secoli era poco più di un bambino, per questo era chiamato fantin, ovvero infante)! In questi giorni, le sale del Museo il cui logo è stato scelto attraverso un concorso che ha coinvolto le scuole cittadine — ha vinto Gabriele Bosco del Liceo Artistico Benedetto Alfieri di Asti — sono piene di ragazzi e di genitori, che spiegano ai figli quale profondo significato rivesta per loro il Palio.
Che, dopo la tradizionale sfilata degli sbandieratori giovedì in Piazza San Secondo, le prove ufficiali, i riti nei rioni e nei borghi, oggi non sarà più virtuale. Le urla del pubblico, i nitriti dei cavalli in Piazza Alfieri saranno veri. Poi da domani quei quattro minuti che durano un anno intero «entreranno» nel Museo.
Luca Bergamin

LE POLITICHE PER LA DISABILITÀ IL MERITO DI DAR VITA ALL’OSPITALITÀ «PER TUTTI» –
C’è chi lo chiama turismo accessibile e chi preferisce turismo per tutti. E la differenza è sostanziale. Lo dimostra la ricettività astigiana dove quel for all o per tutti oltre a garantire un accesso universale ai turisti, siano essi disabili o non, anziani o ragazzi, è anche un’opportunità di lavoro per molti. Ad Asti, infatti è stato aperto l’Albergo Etico (albergoetico.asti.it), uno dei primi in Italia a essere gestito da personale con sindrome di Down. E le recensioni su Tripadvisor sottolineano la qualità dell’accoglienza. Ma ciò che più importa è che disabili di tutte le età, oltre a lavorare, possono mettersi alla prova in uno spazio in cui imparare a vivere da soli, in un apprendimento «tra pari» in cui i più esperti trasferiscono competenze ai nuovi. Una metodologia che chiamano Accademia dell’Indipendenza. Inaugurato il 18 giugno 2015, con 21 stanze, giardino interno, l’albergo è una mano tesa verso i turisti con esigenze speciali: italiani (4 milioni, stime a cui vanno aggiunti gli accompagnatori) ed europei (150 milioni capaci di generare un giro d’affari europeo di 800 miliardi di euro). Il progetto ruota attorno all’idea avuta da Nicolò Vallese, un ragazzo con Sindrome di Down, durante lo stage al ristorante collegato all’Albergo Etico, il Tacabanda. Ma qualcosa è cambiato anche nella sensibilità della cittadina che ha deciso di ospitare il primo Centro studi nazionale turismo per tutti e cultura del benessere . Asti diventerà il polo dove saranno discusse nuove politiche turistiche che metteranno al centro la persona. Come sarà tradotto in concreto questo impegno? Per il momento è possibile scegliere tra 5 pacchetti di tre giorni e due notti, certificati Turismabile , alla scoperta della città e dei suoi dintorni. Brindando tutti attorno allo stesso tavolo.
Simone Fanti

I TARTUFI LA GRANDE CACCIA DOPO LA PIOGGIA: I SEGUGI DEL «DIAMANTE GRIGIO»
E poi c’è sempre uno che si apparta. Muovendo delicatamente il terreno con il bastone dal manico ricurvo. Gesti da rabdomante. Perché la verità, almeno dove andrebbe scovata, la conosce solo lui, il trifolau : cercatore di tartufi in piemontese.
Seguire o ascoltare Piero Botto, geometra al Comune di Asti, è come ripassare un libricino mai scritto sul buon ricercatore del diamante grigio . «Di appunti, con disegni, date e particolari su dove sono stati scoperti degli ottimi Tuber Magnatum Pico (nome scientifico), ne esistono: gli autori però non li rivelerebbero a nessuno», racconta il geometra, il quale non dimenticherà mai quel primo novembre di un po’ d’anni fa: «Ne scovai un chilo e sette etti». Quel nome «strano» (Tuber, etc...) sta per tartufo bianco, il più prezioso, la cui stagione di caccia inizia proprio domani per proseguire fino al 31 gennaio. «Ma è a novembre che ne troveremo di veramente gustosi», confida.
Non a caso, qui ad Asti, il 14 e 15 novembre si svolgerà la Fiera del tartufo, ciliegina sulla torta delle giornate passate al bar San Carlo, sotto i «Portici del tartufo», nel cuore della città. Sempre il geometra-trifolau: «Una volta, al bar di piazza Statuto, c’era il signor Angelo, lo storico proprietario del locale. Era lui che osservava ogni cosa. Oggi il rito è lo stesso, nulla è cambiato». Si arriva all’alba, dopo essere andati per tartufi di notte (roba da professionisti, senza torcia e con indosso il tipico mantello anti rovi), nei boschi o nelle valli, lungo pioppi, salici e querce.
I posti giusti? Ognuno dei centoventi comuni della provincia di Asti è tradizionalmente vocato al tartufo. Ottima la valle Versa. «A Ferragosto abbiamo avuto un fortissimo temporale: credo sia stato il toccasana per la prossima stagione», spiega Botto. Al bar, il ritrovo per trifolau e compratori avviene di mercoledì (stesso giorno delle quotazioni ufficiali della Camera di commercio di Asti) e sabato mattina.
Leggende e trucchi per abbellire il tartufo non sono mai mancati. Quel giorno però qualcuno esagerò, ricomponendone uno in mille pezzi con tondini d’acciaio. Rispediti al mittente, al bar, da alcuni ristoratori milanesi. «Sembrava una scena di Amici miei , con quel commerciante incavolato, mentre mostrava un fazzoletto stracolmo di pezzi di ferro», racconta divertito Botto, i cui tre cani, i tabui , Olinda, Break e Lady, sono i suoi fedelissimi compagni di ricerca.
«Linda è infallibile, non si distrae, fiuta il posto e scava». Poi interviene Piero, appoggia il bastone per terra (li costruisce lui, con legno di nocciolo e castagno), e con uno zappetto in ferro, lungo quindici centimetri e largo tre, scava intorno al tartufo. «Dopo riparo la zolla, spazzolo il tartufo, e lo ripongo in un fazzoletto umido. Una volta tornato a casa, lo conservo in un contenitore fino a dieci, quindici giorni».
Il rito è poca cosa rispetto al profumo. «Inebriante e magico come la musica di Mozart: tendente al miele, se dolce, o all’aspro, se all’aglio», evoca Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi tartufo, che svela: «A novembre sarà pronto il dossier per la candidatura del tartufo all’Unesco, tra i beni immateriali da tutelare». A cucinarlo ci pensa il palermitano di Asti, chef del ristorante Cambiocavallo, Giampiero Vento. Il tartufo glielo porta Giovanni, trifolau di fiducia, dalla valle Moncalvo. Grazie ai funghi profumati, vista, tatto e olfatto dello chef si sono rafforzati: «Deve avere un corpo integro, non troppo duro né molle, e odoroso». Tre motivi per avventarsi su un piatto di tagliolini trenta tuorli, con spruzzatina di diamante grigio.
Peppe Aquaro