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 2015  settembre 21 Lunedì calendario

Notizie tratte da:Holger Afflerbach, L’arte della resa. Storia della capitolazione, il Mulino 2015, pagg

Notizie tratte da:
Holger Afflerbach, L’arte della resa. Storia della capitolazione, il Mulino 2015, pagg. 296, 25 euro

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Per la prima volta nel 1899 un accordo internazionale, la Convenzione dell’Aia, proibisce ufficialmente ai vincitori di uccidere il nemico che dichiara la resa.

Lo stendardo rosso che i soldati usavano brandire durante le battaglie medievali per comunicare al nemico che non avrebbero avuto pietà.

La bandiera bianca, figlia di una antica tradizione: i legionari romani, racconta Tacito, usavano cingersi il capo con nastri di lana bianca, le infulae, per comunicare al nemico l’intenzione di arrendersi.

Le mani alzate in segno di resa, un gesto già in uso nell’antichità: i soldati greci abbassavano gli scudi e sollevavano in aria le armi, i romani sollevavano gli scudi sopra le loro teste, mostrando al nemico di essere inermi e inoffensivi.

I greci concludevano i combattimenti con una simbolica stretta di mano, un rituale che si è diffuso poi tra le potenze orientali.

La fortezza neolitica (secoli IX-VIII a. C.): circondata da un muro largo tre metri e alto almeno quattro, lungo all’incirca 750 metri, raccoglieva al proprio interno circa 2.000 abitanti. La costruzione di siti fortificati, sparsi un po’ ovunque nell’area del Mediterraneo, si accompagnò alla pratica dell’assedio, che fin da principio richiese un enorme dispendio di energie da entrambe le parti.

«Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace. Se accetta la pace, e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà. Ma se non vuole far pace con te e vorrà la guerra, allora l’assedierai. Quando il Signore tuo Dio l’avrà data nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi; ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda; mangerai il bottino dei tuoi nemici, che il Signore tuo Dio ti avrà dato» (Deuteronomio 20, 10-14).

Il principio (economico) della reciprocità, legge bellica fondamentale: se una fortificazione si arrende rapidamente, il vinto – la cui resa tempestiva risparmia all’aggressore fatica, vite e denaro – viene trattato con relativa clemenza e perlopiù risparmiato.

Nei casi di resistenza a oltranza, poteva accadere che gli assediati, per sopravvivere, si nutrissero di erba, di topi, del pellame delle calzature, persino dei cadaveri dei compagni e, nei casi estremi, dei loro stessi bambini.

Battaglia di Megiddo (intorno al 1480 a. C.), primo «scontro finale» documentato nella storia, rispetto ai conflitti perpetui e alle pratiche di saccheggio in uso fino a quel momento. Battaglia vinta dagli egizi del faraone Thumtose III su una coalizione di principi cananei. Catturati 340 prigionieri, raccolte 83 mani: la pratica di amputare l’arto ai nemici uccisi serviva a semplificare il conteggio delle vittime.

La guerra ideale dei greci: la lotta fino alla morte, com’era stato per Leonida e i suoi spartani alla Termopili.

Tornare dalla guerra con lo scudo o sullo scudo, mai senza, insegnavano le madri spartane ai propri figli. Vincere o morire, mai fuggire in maniera disonorevole, abbandonando l’armatura e le armi.

Ad Atene gli ammiragli che avevano fallito nelle loro imprese venivano processati pubblicamente. Più rischioso l’insuccesso nelle operazioni belliche presso i cartaginesi: i generali sconfitti in battaglia venivano crocifissi.

«I moventi egoistici e individualistici delle parti belligeranti – sia dei vincitori, sia dei vinti – impediscono normalmente che la guerra raggiunga i suoi eccessi, ossia il completo annientamento dell’avversario sconfitto» (Afflerbach).

Il principio della moderazione, alimentato dall’egoismo dei singoli contendenti (la «mano invisibile» della guerra): sull’isola di Sfacteria, nel 425 a. C., durante la guerra del Peloponneso, i 292 spartani sopravvissuti alla battaglia si arrendono agli ateniesi e sono fatti prigionieri. L’istinto di sopravvivenza li ha condotti alla capitolazione. Dall’altra parte, gli ateniesi si attendono dalla cattura degli spartani vantaggi superiori rispetto a quelli che avrebbero massacrandoli.

Nell’antichità la capitolazione comportava perlopiù la riduzione in schiavitù delle truppe capitolate e la perdita di tutti i possedimenti.

«Parcere subiectis et debellare superbos»: risparmiare coloro che si assoggettano e debellare i superbi (Virgilio).

Sagunto, assediata da Annibale nel 219 a. C.: secondo Tito Livio, il generale cartaginese era intenzionato a uccidere tutti gli adulti della città, ma l’assedio si concluse con un suicidio di massa da parte dei saguntini. Gli uomini combatterono fino alla morte, le donne ammazzarono i loro bambini e poi si uccisero.

Atrocità durante le guerre nel Medioevo. In Georgia i romani d’Oriente accecavano i prigionieri e amputavano le mani ai beduini catturati (Basilio II nel 1014 dopo aver sconfitto l’esercito bulgaro ordinò di accecare i soldati catturati, si dice fossero 15.000, e li rispedì dal loro zar Samuele a gruppi di cento, ciascun gruppo guidato da un prigioniero a cui era stato cavato un solo occhio). Federico Barbarossa faceva accecare i ribelli italiani. Consueta anche la pratica della castrazione dei prigionieri.

Negli anni a cavallo del Mille si diffonde la pratica del riscatto per i prigionieri, un altro principio di reciprocità economica: il riscatto consente al vincitore di arricchirsi e al vinto che si arrende di salvare la pelle.

Riccardo Cuor di Leone, catturato in una locanda viennese, e non sul campo di battaglia, dal duca Leopoldo d’Austria. Il duca e l’imperatore Enrico VI chiesero e ottennero nel 1194 un riscatto di 150.000 marchi: la somma corrispondeva a 35 tonnellate d’argento, superiori agli introiti annuali dell’Inghilterra.

I fanti svizzeri, famigerati per le qualità militari e per la loro inesorabile spietatezza: a partire dal Trecento, dominarono per circa due secoli i campi di battaglia europei (soprattutto come mercenari). Combattevano armati di lunghe picche e alabarde, in formazioni compatte impenetrabili per la cavalleria. Non facevano prigionieri.

Nel 1544 oltre la metà della fanteria francese era composta da mercenari. Nel 1710 la componente straniera era scesa al 14 per cento.

Intorno al XVII secolo crescono gli eserciti nazionali, lo stato comincia a fornire ai soldati un’uniforme, addestramento e approvvigionamenti. Nella prima metà del Cinquecento, Francesco I comanda 80.000 uomini, in gran parte mercenari; Luigi XIV, intorno al 1700, 400.000; un secolo dopo, nel 1794, l’esercito francese contava un milione di uomini.

«La battaglia che vi descrivo fu atroce e assai spaventosa. Gli scontri e i combattimenti navali sono più lunghi e più vasti di quelli sulla terra, perché lì non si riesce né a fuggire, né a battere in ritirata» (Jean Froissart, cronista della guerra dei Cent’anni, sulla battaglia di Sluis, 1340).

«Per quanto grande possa venir considerato in guerra il valore del coraggio e della fermezza, si arriva comunque a un punto oltre il quale perseverare viene ritenuto una follia disperata che non potrebbe venir approvata da nessun critico» (von Clausewitz, Della guerra)

Lo spirito offensivo, la volontà di attaccare e vincere ovunque prendono piede nella marina britannica tra il XVI e il XVIII secolo. La Royal Navy processa i suoi ammiragli non solo quando vengono sconfitti, ma anche quando non vincono in battaglia. L’ammiraglio Byng: giustiziato dopo una battaglia navale a Minorca conclusasi senza vincitori né vinti.

Nel XVIII secolo la Royal Navy, per prima, adotta il principio per cui è preferibile soccombere che sventolare la bandiera bianca. Un’imbarcazione che usciva sconfitta da uno scontro doveva affondare con la bandiera alzata. E talvolta il comandante decideva di rimanere a bordo.

Battaglia di Tsushima, 27 maggio 1905: il grosso della flotta russa è abbattuto dalla flotta giapponese. Il giorno dopo le navi della retroguardia russa, danneggiate o obsolete, si arrendono. La decisione è del contrammiraglio Nebogatov, che viene fatto prigioniero con gli altri marinai e ufficiali. Rilasciato nel 1907, subisce un processo in patria. «Date le condizioni in cui ci trovavamo – la sua difesa – non avevo nessun diritto di sacrificare 2.000 giovani vite inutilmente». Per l’accusa, invece, la capitolazione è stata un crimine. Nebogatov e tre dei suoi comandanti vengono condannati alla fucilazione, pena convertita per grazia imperiale in dieci anni di reclusione. Quella di Tsushima fu l’ultima grande capitolazione navale del XX secolo. Dal 1914 divenne più normale affondare con la bandiera alzata che accettare la sconfitta e salvare l’equipaggio.

L’affondamento della Bismarck, all’epoca (maggio 1941) la nave da guerra più potente e moderna del mondo. Impossibilitata a muoversi a causa di un guasto al timone, raggiunta da unità della flotta britannica, in un’ora e mezzo venne colpita e distrutta. Gli ufficiali al comando avevano deciso di combattere «fino all’ultima granata». Dei 2.221 marinai della nave solo 115 sopravvissero.

Le vittime fra gli equipaggi di una nave sconfitta: dal 20 per cento della battaglia di Trafalgar all’80-100 per cento delle due guerre mondiali.

Il numero dei prigionieri, misura della vittoria dalle guerre napoleoniche in poi. Nel febbraio del 1871 (guerra franco-prussiana) l’esercito tedesco catturò più di 380.000 uomini. Il generale Helmut von Moltke: «Il mondo non ha visto nulla di simile dai tempi della cattività babilonese».

Guerra del Paraguay contro Brasile, Argentina e Uruguay (1864-1870). Il presidente Francisco Solano López si ostinò a combattere, rifiutando, anche ferito sul campo, la capitolazione. La guerra portò alla quasi completa estinzione della popolazione maschile del Paraguay.

Nella guerra civile americana morirono oltre 600 mila uomini, più di quanti ne persero gli Stati Uniti nelle due guerre mondiali.

La tenacia nel combattimento, la minore disposizione alla resa dei soldati tedeschi, francesi e britannici nella Prima guerra mondiale. Percentuale di prigionieri di guerra sul totale delle perdite (morti, feriti, prigionieri, dispersi) nei singoli eserciti: 51,8 per cento la Russia, 31,8 l’Austria-Ungheria, 25,8 l’Italia, 9 il Regno Unito, 6,7 la Germania.

«Se dovessimo perdere questa guerra, che Dio ci faccia la grazia» (Hermann Göring, 1° settembre 1939).

«Ho indossato ancora una volta quella uniforme, la più sacra e cara per me, e non la toglierò che dopo la vittoria o perché non vedrò da vivo la fine… Una sola parola non ho mai voluto imparare: “capitolazione”. Vorrei perciò informare il mondo che un novembre 1918 non si ripeterà mai più nella storia della Germania» (Adolf Hitler al Reichstag, 1° settembre 1939).

Seconda guerra mondiale: all’incirca 96 milioni i soldati impiegati in totale. Ne furono fatti prigionieri, durante i combattimenti o immediatamente dopo la conclusione delle ostilità, 35 milioni.

«Quando […] incontrate il nemico, uccidetelo. Nessuna pietà. […] Se i vostri ufficiali di compagnia alla testa dei loro uomini vedono il nemico fare fuoco e, arrivati a 200 iarde da lui, vedono che accenna ad arrendersi, niente da fare! Quel bastardo morirà. Voi lo ucciderete. Colpitelo fra la terza e la quarta costola. Ditelo ai vostri uomini (George Patton nel 1943, prima dello sbarco alleato in Sicilia).

Tasso di mortalità dei prigionieri di guerra britannici in Germania: 3,5 per cento. Dei prigionieri tedeschi nelle mani degli inglesi: 0,5 per cento. Dei prigionieri catturati dai tedeschi sul fronte orientale nei primi due anni del conflitto (milioni, soprattutto russi, molti destinati ai lavori forzati nell’industria bellica tedesca): 57,5 per cento. In Russia morì il 35,8 per cento dei prigionieri tedeschi.

Oltre 100.000 i soldati tedeschi catturati dai sovietici al termine della battaglia di Stalingrado. Ne tornarono a casa, molti anni dopo, 6.000.

Dal 1941 al 1944 la Germania perse 2.000 uomini al giorno, 5.000 nell’autunno del 1944. Quasi la metà del numero totale dei caduti tedeschi morì nell’ultimo anno di guerra. I morti, al momento della capitolazione, furono 5,3 milioni. Dei 18,2 milioni di soldati tedeschi che avevano preso parte al conflitto, per quasi il 30 per cento la guerra si concluse con la morte: due volte e mezza le perdite che la Germania aveva subito nella Prima guerra mondiale.