Sandro Cappelletto, La Stampa 20/9/2015, 20 settembre 2015
L’OPERA CINESE SBARCA IN ITALIA CON UNA NOTIZIA: C’È LAVORO PER NOI
[Intervista a Giuseppe Cuccia] –
Un ragazzo di campagna arriva a Pechino, in cerca di lavoro. Ha le idee chiare: vuole un risciò tutto suo, per guadagnarsi la vita così. La città che lo accoglie è «sporca e bella, caotica e vitale» e lui comincia a conoscerla, a subirla, ad amarla. La trama di Il ragazzo del risciò, romanzo novecentesco di Lao She, è diventata un’opera di teatro musicale.
Dopo il debutto all’Opera di Pechino nell’estate 2014, arriva ora – per le due recite di mercoledì 23 e giovedì 24 – in prima europea al Regio di Torino, che con il principale teatro cinese ha firmato un protocollo d’intesa per avviare una collaborazione da adesso e nei prossimi anni.
Autore della musica del Ragazzo del risciò è Guo Wenjing: 49 anni e a differenza di tanti colleghi compositori e musicisti suoi connazionali, emigrati soprattutto negli Usa, ancora residente in Cina e legatissimo alle tradizioni musicali della sua patria. Duecentoventi musicisti, cantanti, coristi cinesi sono atterrati in queste ore. Tra loro, Giuseppe Cuccia, consulente artistico dell’Opera di Pechino da quasi cinque anni, che racconta: «In Cina ci sono quaranta nuove sale in grado di produrre spettacoli d’opera. Oggi lo fanno solo in quattro, dunque nel grande Paese asiatico c’è ancora un’enorme possibilità di sviluppo per questo genere musicale che sta incontrando un crescente successo».
«Il ragazzo del risciò» è una commissione dell’Opera di Pechino. Perché avete proposto questo soggetto a Wenjing?
«Tutti i bambini cinesi a scuola leggono il romanzo da cui Xu Ying ha tratto il libretto. È una vicenda notissima, scritta nel 1936, e che restituisce un’immagine realistica della Cina contemporanea, si può dire la sua filosofia: la vita è dura, bisogna lottare per andare avanti. Se non ti abbatti, se non ti arrendi, ce la farai, nonostante tutte le avversità. Quest’opera è un punto di vista prezioso per capire la Cina di oggi, le ragioni della sua forza».
Quanto produce e per quale pubblico l’Opera di Pechino?
«Abbiamo quattro sale per 6.500 posti a sedere, duemila. dipendenti e produciamo ogni anno mille spettacoli, di tutti i generi, con una percentuale di riempimento delle sale del 90 per cento».
Quante opere?
«Sedici, di cui 4, 5 nuove commissioni e 11, 12 titoli del repertorio occidentale. Facciamo sei recite per ogni titoli. A dirigerle, firmare la regia, realizzare scene e costumi, cantare, istruire i cantanti, disegnare le luci contribuiscono moltissimi artisti e tecnici italiani. Anche in questo settore, le opportunità di lavoro sono tante e reali. In Cina si lavora con grande serietà e la professionalità è riconosciuta».
Chi è il proprietario del teatro?
«Il Comune, e il presidente del teatro è nominato dalle autorità politiche. Il contributo dei finanziatori privati e della vendita dei biglietti è determinante e copre interamente le spese di produzione».
Un sistema più liberista del nostro, nel quale l’intervento pubblico è decisamente superiore ai contributi privati. Il vostro teatro non ha un corpo di ballo, ma «Il ragazzo del risciò» prevede la danza. Da dove vengono i ballerini?
«Dall’esercito. In Cina, ogni corpo militare ha un’orchestra, delle bande e un corpo di ballo, maschile e femminile».
Ascolteremo musica occidentale oppure tradizionale cinese?
«L’opera è cantata in cinese e avremo i sopratitoli in italiano. Guo Wenjing è riuscito ad operare una fusione tra elementi occidentali, ad esempio la vocalità, e forti richiami alla tradizione: in orchestra ci saranno strumenti di entrambi questi mondi musicali».
Dopo le due date a Torino, in collaborazione con il Festival MiTo, lo spettacolo sarà a Genova e Firenze e, in forma di concerto, a Milano e Parma.
Sandro Cappelletto, La Stampa 20/9/2015