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 2015  settembre 20 Domenica calendario

ELIO CATANIA: “NO ALLA TASSA SUL WEB PERCHÉ FRENERÀ LA CRESCITA DELL’ITALIA”

«Già in Italia c’è un clima contrario all’innovazione. Un provvedimento come la digital tax rischierebbe solo di dar fiato a chi vuole frenare. Sarebbe grave per tutta l’economia. Se il pistone digitale spingesse a pieno regime, avremmo una crescita del Pil di un punto e mezzo in più l’anno». Elio Catania, presidente di Confindustria digitale, critica l’annuncio del premier Matteo Renzi sull’introduzione di una tassa sui giganti tecnologici stranieri, che oggi spesso beneficiano di regimi fiscali che consentono loro di ribaltare legalmente all’estero i profitti maturati in Italia. L’imposta dovrebbe scattare dal 2017, ma sarà inserita nella legge di Stabilità già da quest’anno. La proposta arriva dopo che, due anni fa, lo stesso Renzi aveva rottamato la web-tax, una norma con un obiettivo analogo.
Come spiega l’uscita del primo ministro?
«Mi auguro che il presidente del Consiglio abbia voluto formulare un richiamo nei confronti di Bruxelles ad accelerare, per trovare una soluzione a livello europeo. Questo non è un tema che tolleri normative tampone a livello locale».
Il problema tuttavia esiste.
«Internet ha un impatto globale. Come ho spiegato l’anno scorso in un’audizione alla Commissione Finanze della Camera, per venirne a capo è necessario un coordinamento internazionale delle politiche tributarie, e la fine della concorrenza sleale tra le diverse giurisdizioni. L’Ocse sta lavorando proprio in questo senso, e dovrebbe dare una prima risposta il 15 ottobre».
Qual è la vostra posizione?
«Siamo contrari all’istituzione di una bit tax, ovvero di un’imposta basata sull’utilizzo dei dati da parte di un sito web, e riteniamo sbagliata l’idea di una ritenuta sui pagamenti per le transazioni del commercio elettronico, perché potrebbe limitare l’espansione dell’economia. Condividiamo invece le ipotesi di rivedere le normative che regolano le transazioni intragruppo, per evitare che siano troppo distanti da quelle tra imprese indipendenti. Si può ragionare inoltre sull’idea di stabile organizzazione, sostituendola con il concetto di presenza significativa. Ma il punto fondamentale è un altro».
Cioè?
«L’Italia ha un buco pubblico e privato di investimento nel digitale pari a 20-25 miliardi l’anno. Mi riferisco a rete, progetti, infrastrutture. Solo il 5 per cento delle aziende compie transazioni online. È questa la vera tassa che impedisce alla nostra economia di crescere più velocemente. Qui non si tratta né di Google, né di Telecom, ma del nostro futuro».
Il problema non è la tassazione?
«Se guardo la fotografia del Paese, quel che serve è un impegno di leadership per cambiare marcia sull’innovazione. Alcune realtà corrono, anche nella pubblica amministrazione. Penso ad esempio alla fatturazione elettronica. Ma quest’attitudine non è sistema. C’è resistenza, si tenta di continuare ad applicare vecchie regole a scenari mutati. La strada invece è creare le condizioni per far nascere anche qui aziende che siano protagoniste della nuova economia».
@massimo_russo
Massimo Russo, La Stampa 20/9/2015