Alessandro Longo, la Repubblica 20/9/2015, 20 settembre 2015
LA MAPPA DEI LAVORI PERDUTI
Che siate operai, medici o avvocati, preparatevi: con i robot dovrete fare per forza i conti, a partire dai prossimi dieci- quindici anni. Se siete fortunati, vi troverete a lavorare con loro fianco a fianco. Se va male invece vi ruberanno il lavoro. Ed è uno scenario che riguarda professioni anche molto diverse tra loro, secondo gli esperti, alcune delle quali inaspettate. L’ultima previsione a riguardo arriva da un osservatorio di ricerca americano tutt’altro che incline all’allarmismo: Forrester Research. E infatti si autodichiara persino prudente nelle stime, rispetto a studi precedenti, ancora più minacciosi. Forrester prevede infatti che i robot ruberanno ventidue milioni di posti di lavoro nei soli Stati Uniti, da qui al 2025. Considerando però i lavori creati di conseguenza — manutenzione, progettazione e gestione dei robot — il bilancio netto sarà negativo “solo” per 9,1 milioni di posti.
Va detto che con il termine “robot”, questo studio — come pure i precedenti — intende sia i robot fisici (plastica, metallo e chip) sia i software di intelligenza artificiale, che pure — comunque — riescono a emulare funzioni umane.
Le novità più spettacolari delle ultime settimane ricadono nella prima categoria, quella dei robot come siamo abituati a pensarli dai racconti di fantascienza: la catena di hotel americana Aloft infatti ha appena inaugurato Botlr, il robot-inserviente che porta lenzuola e kit vari nelle camere dei clienti.
Forrester Research nota anche che molti lavori si perderanno con la complicità degli stessi clienti, proprio a causa del self service: «Le persone preferiscono sempre più spesso fare le cose da soli. Il fenomeno a cui si è già assistito con le macchine bancomat e le pompe di benzina si estenderà molto presto ad altri settori», dice J.P. Gownder, autore del rapporto. Un esempio estremo è Oshbot, che fa le veci di un commesso nei negozi di bricolage della catena Lowe’s in California. Accompagna i clienti allo scaffale dove si trova il prodotto desiderato, segnala le promozioni, si occupa degli inventari. Se la richiesta è troppo complessa, chiama in aiuto i commessi in carne e ossa.
Stessa filosofia per i chioschi-camerieri usati in un ristorante di Austin, Texas (Scholotzsky’s Deli). Ordiniamo il cibo da queste macchine dotate di schermo touch, che pure ci riconoscono (tramite la carta di credito utilizzata) e sono quindi in grado di proporci i nostri piatti preferiti.
La moda del self service mette a rischio, secondo l’indagine, anche molti lavori da venditore (negozianti e responsabili commerciali delle aziende): su sofisticati portali online ormai possiamo comprare di tutto (prodotti e servizi), in autonomia e anche supportati dai consigli di un’intelligenza artificiale.
Il rapporto nota però che, invece, molti altri lavori saranno solamente affiancati da robot (almeno nell’orizzonte dei dieci-quindici anni): è il caso di operai e muratori da una parte e medici, avvocati, giornalisti e ingegneri dall’altra.
Per i primi è appena nato un robot come Sam 100: è il primo robot muratore che sa costruire tre volte più velocemente di un umano, a cui quindi resteranno da affidare solo i compiti di maggior precisione. Il robot al momento è già all’opera in un cantiere di una scuola di Washington.
Oppure, già da qualche anno, c’è Baxter (creato da Rethink Robotics): fa parte di una nuova generazione di robot che nelle catene di montaggio dialogano con gli operai e imparano grazie a loro nuovi compiti e abilità.
Sono invece super computer come Watson, di Ibm, a dare già oggi supporto ai medici (per le diagnosi) o agli ingegneri (per lo sviluppo prodotti). Certi software riescono invece ad automatizzare alcuni lavori di routine di avvocati (ricerca informazioni in database) e giornalisti (articoli sui nuovi dati finanziari di aziende).
C’è chi teme che le intelligenze artificiali tra qualche decennio potranno sostituire del tutto anche questi tipi di lavoro ed è così che arriviamo alle previsioni più catastrofiche. Come quella dei docenti di Oxford Carl Frey e Michel Osborn, secondo cui negli Stati Uniti ben il quarantasette per cento dei lavori sono ad “alto rischio” di essere rimpiazzati da robot (e il diciannove per cento sono a “medio rischio”).
All’estremo opposto, un recente studio di Deloitte, secondo cui negli ultimi centoventi anni la tecnologia ha sempre creato più lavoro di quanto ne abbia distrutto e continuerà a fare così. Grazie a un circolo virtuoso (favorito dalla tecnologia) di maggiore efficienza produttiva, crescita economica e dei consumi.
Scettico, infine, Andrew McAfee, del Mit (Massachusetts Institute of Technology) e autore (con il collega Erik Brynjolfsson) dell’ormai celebre bestseller The Second Machine Age.
Come leggete qui a fianco McAfee è meno catastrofista dello studio di Oxford perché considera a rischio solo i lavori di medio livello, né fisici né molto specializzati: per esempio quelli di routine negli uffici e nei negozi. Ma la sua è comunque una previsione allarmante, soprattutto per i ceti medi che sarebbero i più penalizzati.
Una cosa è certa: la tecnologia avanza veloce, mentre il dibattito politico su possibili correttivi (come un salario minimo garantito sovvenzionato dallo Stato, proprio come propone McAfee) spesso resta al palo.
Alessandro Longo, la Repubblica 20/9/2015