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 2015  settembre 20 Domenica calendario

CRESCITA, IMPRESE E FISCO TRASPARENTE FORSE UN PASSO AVANTI DAI DECRETI DELEGATI

La tassazione delle imprese è un elemento determinante per la crescita. Il problema non si riduce alla determinazione dell’aliquota sugli utili: altrettanto importanti sono la certezza delle regole, i rapporti con l’Agenzia delle Entrate, la trasparenza dei suoi atti, tempi ed efficienza del contenzioso. Nel marzo 2014, il Parlamento ha delegato il Governo a emettere decreti finalizzati a creare un sistema tributario “equo, trasparente, orientato alla crescita”. Obiettivo oltremodo condivisibile e ambizioso: ma il risultato dipenderà dai decreti appena emanati, e quelli che si spera di prossima emanazione; ma soprattutto dalla loro attuazione.
Globalizzazione, innovazione e ricerca di economie di scala, impongono alle nostre imprese, per competere, di espandersi all’estero, investire e ristrutturare, il che implica cambiamenti nella struttura aziendale, nella localizzazione delle attività, con le conseguenti operazioni di investimento e finanza straordinaria. Internazionalizzazione e finanza sono state però troppo spesso un veicolo per eludere le imposte. Lo Stato ha giustamente reagito con determinazione per contrastare queste prassi, ma in modo indiscriminatamente aggressivo; riducendo ulteriormente la certezza del diritto.
I decreti previsti dalla delega potrebbero, se applicati in modo conforme allo spirito delle norme, cambiare sostanzialmente il nostro sistema tributario, portando trasparenza e certezza nel Fisco, necessarie a favorire la crescita. È materia tecnica, incomprensibile ai più; ma rilevante per tutti.
Quattro i punti più importanti dei decreti. Viene definito giuridicamente l’abuso di diritto, ovvero le “operazioni prive di sostanza economica ma che, pur nel rispetto delle norme, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali”. Strumento essenziale nel contrasto, ma che si basa necessariamente su valutazioni soggettive della convenienza economica delle operazioni finanziarie. E proprio la soggettività aumenta il costo dell’incertezza e del contenzioso. Per evitarlo, il decreto prevede l’accordo preventivo, in contraddittorio con le autorità fiscali, le modalità di verifica del rispetto dell’accordo, vincolante per 5 anni, l’onere per il Fisco di provare lo scopo elusivo, tempi certi e pubblicazione delle relative decisioni.
Principi e norme analoghe si applicano al trattamento fiscale della localizzazione all’estero di attività italiane, e delle operazioni straordinarie che conseguono decisioni di investimento in Italia (ma solo sopra i 30 milioni). Anche qui è prevista la possibilità di un accordo vincolante preventivo (ma nel primo caso senza i tempi certi dell’interpello), in contraddittorio con l’Agenzia, e vincolante (5 anni per l’internalizzazione, per tutta la durata dell’operazione nel caso dell’investimento), essenziale per favorire ristrutturazioni, aggregazioni e afflusso di capitali dall’estero.
Infine si adotta la definizione internazionale di “stabile organizzazione” (functionally separate entity), essenziale per determinare il reddito prodotto e tassato in Italia da entità estere che esercitano un’attività economica nel Paese; purtroppo tradotta in un italiano incomprensibile nel decreto. Eppure è cruciale per le aziende straniere, anche perché definisce il carico Irap, che non è coperto dai trattati sulla la doppia imposizione (una ragione in più per eliminare l’Irap).
Su due argomenti si doveva osare di più. Si introduce il Regime di Adempimento Collaborativo, un formato ideale di collaborazione tra fisco e imprese, ma adesso vi sono ammesse solo le imprese con fatturato oltre i 10 miliardi: un beau geste quasi irridente. Un domani, forse, si scende a 100 milioni. E si introduce l’interpello su fattispecie concrete (ora è solo sull’interpretazione generica di norme), e la pubblicazione delle relative delibere. Un elemento importante della riforma, perché ci avvicina alla certezza del trattamento fiscale, impone trasparenza all’azione dell’Agenzia, e abbatte costi e tempi di accertamento e contenzioso, risolvendo a monte le dispute. Ma si lascia ancora margini di discrezionalità all’Agenzia su quali pubblicare. Perché non pubblicarle tutte? Nell’era di Google non ha senso non farlo, e sorge il dubbio che l’Agenzia freni sulla trasparenza.
Alla fine i risultati verranno proprio dalla capacità dell’Agenzia di dotarsi di una struttura organizzativa, risorse, e professionalità adeguate. Il Governo dovrebbe anche capire che la spesa per l’efficienza del sistema tributario non è un costo ma un investimento redditizio.
Alessandro Penati, la Repubblica 20/9/2015