Marcello Bussi, MilanoFinanza 19/9/2015, 19 settembre 2015
SCORDATEVI IL RIALZO
«La Bce ha caratterizzato la sua capacità di reagire se i rischi si materializzano, soprattutto modificando la durata o la composizione del suo programma di acquisto di asset». Lo ha dichiarato Benoit Coeure, membro del consiglio direttivo della Bce, venerdì 18, il giorno dopo la decisione della Federal Reserve di non alzare i tassi d’interesse Usa, mantenendoli tra lo 0 e lo 0,25%, lo stesso livello dal dicembre 2008.
L’inazione della Fed ha scatenato un’ondata di vendite nelle borse mondiali perché dettata dal timore che un aumento del costo del denaro avrebbe potuto gettare nella crisi più nera molti Paesi emergenti, come Brasile e Turchia, fortemente indebitati in dollari, oltre che dalle preoccupazioni sulle reali condizioni dell’economia cinese, più volte citata dalla numero uno della banca centrale americana, Janet Yellen, nel corso della conferenza stampa seguita alla riunione del Comitato di politica monetaria della Fed (Fomc). Yellen avrebbe insomma trasmesso una sensazione di incertezza che ha subito contagiato i mercati azionari. Ma il fattore più importante da tenere presente è che, proprio per impedire un’esplosione dei Paesi emergenti e perché l’economia Usa non è abbastanza forte (la Fed ha rivisto al ribasso le stime sul pil Usa dell’anno prossimo al +2,3% dal +2,5%), Washington non vuole un dollaro troppo forte. Ma questo implica che si rafforzino le altre valute, come per esempio l’euro. La crescita di Eurolandia è però decisamente più fiacca di quella Usa (secondo la Bce nel 2016 il pil di Eurolandia crescerà dell’1,7%) e Couré non lo ha nascosto, sottolineando che «la ripresa è debole, mostra segnali di stabilità, ma deve essere protetta dagli shock finanziari esterni». E per farlo la Bce è pronta a rendere ancora più incisivo il Quantitative easing. Che cosa può fare nell’immediato? L’annuncio di un prolungamento del Qe oltre il settembre dell’anno prossimo non avrebbe un effetto duraturo perché fin dal lancio dell’operazione il presidente Mario Draghi aveva detto che sarebbe durata fino a quando non si fosse raggiunto l’obiettivo di un’inflazione poco al di sotto del 2%. Poiché all’inizio del mese la Bce ha stimato l’inflazione nel 2016 all’1,5% e nel 2017 all’1,7%, si può dedurre facilmente che il Qe dovrebbe durare almeno fino al settembre 2017. Per avere effetti immediati sull’andamento dell’euro, allora, un annuncio sul Qe dovrebbe riguardare l’aumento degli acquisti, ora di 60 miliardi di euro al mese, oppure, ancora meglio, novità sulla loro composizione, come ha sottolineato Couré. Poiché la Bce fa una certa fatica a trovare sul mercato bond da comprare, l’istituto di Francoforte non può fare altro che aumentare le categorie di bond acquistabili. Per ora la Bce compra obbligazioni emesse da società con una forte presenza dello Stato nella compagine azionaria. Le italiane ora comprese nell’elenco sono Cdp, Snam, Terna, Enel e Ferrovie. Ma, come ha detto a suo tempo Alberto Gallo, capo economista di Rbs, gli acquisti «si potrebbero estendere a compagnie dal rating di altissimo livello». Certo, si sono levate voci contrarie a questa soluzione, ma davvero non si capisce in quale altro modo la Bce possa rafforzare il Qe. In questo modo la Bce interverrebbe in maniera massiccia nell’economia reale. Draghi potrebbe agire in questa direzione già in occasione del consiglio direttivo del prossimo 8 ottobre, che si terrà a Malta.
Così facendo, Draghi si avvicinerebbe tra l’altro al «Qe del popolo» proposto dal nuovo leader del Partito Laburista britannico, Jeremy Corbyn, odiatissimo dalla City. Ma siamo sicuri che sia proprio odiato da tutti? Le cose cambiano rapidamente, soprattutto in Inghilterra, dove per tradizione l’approccio pragmatico prevale su quello ideologico. Secondo Corbyn, la Banca d’Inghilterra dovrebbe stampare moneta per finanziare direttamente infrastrutture per trasporti, energia, edilizia popolare ed economia digitale. Questa idea che ha già trovato qualche sostenitore nella City, come il capo economista di Hsbc, Stephen King, secondo il quale potrebbe essere l’ultima risorsa per affrontare uno scenario alla Titanic, oppure come Jeremy Lawson di Standard Life, che si è detto disposto anche, se necessario, a benedire una Banca d’Inghilterra che inietti liquidità «direttamente nei conti correnti delle famiglie». Niente di nuovo sotto il sole, in realtà, visto che in tempi non sospetti, prima di diventare governatore della Federal Reserve, il predecessore di Janet Yellen, Ben Bernanke, aveva evocato il lancio di banconote dall’elicottero. Va bene, si dirà, sono solo dichiarazioni di economisti che vogliono esser citati sui giornali. Di certo la stampa britannica ha parlato di Andy Haldane, capo economista della Banca d’Inghilterra. In un suo discorso alla Camera di Commercio di Portadown, in Irlanda del Nord, Haldane ha detto che l’istituto centrale potrebbe abbassare i tassi sotto lo zero per combattere la prossima recessione. D’altronde, se i tassi sono già a zero che altro si potrebbe fare? Subito è stata sollevata un’obiezione molto fondata: se un normale risparmiatore, invece di ricevere interessi, sia pure infinitesimali, deve pagare per tenere i suoi soldi in banca, è molto probabile che vada allo sportello per ritirarli e metterli sotto il materasso. Disarmante la risposta di Haldane: si potrebbe abolire il contante, anche perché «ormai è abbastanza chiaro che la tecnologia di pagamento del Bitcoin ha un vero potenziale».
Forse Haldane ha bisogno di un periodo di riposo? E allora dovrebbe prenderselo anche qualche esponente del Fomc; non tutti l’hanno notato, perché l’ha detto verso la fine della conferenza stampa, ma Yellen ha risposto di sì a chi gli chiedeva se nella riunione del comitato di politica monetaria qualcuno avesse proposto di portare i tassi d’interesse Usa in territorio negativo. «Ma non è una proposta che oggi abbiamo considerato molto seriamente, non è stata una delle nostre opzioni principali», ha precisato. Sta di fatto che se ne è incredibilmente parlato nel corso di una riunione che verteva sull’opportunità o meno di alzare il costo del denaro. E poi tassi d’interesse negativi sono già una realtà in Svezia (-0,35%) e in Svizzera (-0,75%). In uno scenario del genere sembra davvero strano che la Federal Reserve decida di aumentare i tassi entro la fine dell’anno È vero, Yellen ha affermato che il costo del denaro potrebbe essere aumentato anche nella riunione di ottobre, nonostante non sia programmata una conferenza stampa, che è comunque possibile convocare all’occorrenza. Ma secondo Matteo Paganini, capo analista valutario di DailyFX, si è trattato di «una dichiarazione impeccabile, pronunciata al fine di evitare che si cristallizzassero aspettative di rialzi a dicembre o all’inizio dell’anno prossimo, scadenze che avrebbero lasciato oltre due mesi di tranquillità sul lato tassi e contribuito a creare uno scenario che avrebbe potuto gonfiare ulteriormente le borse».
Venerdì la mancata mossa della Yellen ha provocato un calo delle borse, ma ormai si gioca sul filo del rasoio: non si alzano i tassi per evitare il crollo delle economie dei Paesi emergenti, la cui onda d’urto rischia di colpire gli Usa (e ancor più Eurolandia), ma allo stesso tempo è meglio continuare a far aleggiare questa ipotesi per evitare che la bolla azionaria si gonfi a dismisura proprio sulla base della prospettiva di tassi a zero almeno fino al 2016 inoltrato. Se poi si dovesse arrivare vicini a una recessione, allora la Fed potrebbe sempre rispolverare il Qe (sarebbe il quarto). Già ne ha parlato Narayana Kocherlakota, governatore della Fed di Minneapolis. In tutto questo bisogna poi ricordare che per la prima volta nella storia sulla decisione della Fed hanno pesato in misura preponderante le preoccupazioni sulle conseguenze che negli altri Paesi avrebbe avuto il rialzo dei tassi. E già si parla di un «terzo mandato della Fed» oltre a quelli sull’occupazione e sull’inflazione: il mantenimento della stabilità finanziaria globale. Siamo quindi lontani anni luce dal modo di ragionare dell’allora segretario al Tesoro, John Connaly, che, quando nel 1971 il presidente Richard Nixon abolì la convertibilità del dollaro in oro, disse ai rappresentanti degli altri Paesi: «Ora il dollaro è la nostra moneta e il vostro problema». La globalizzazione non è un processo a senso unico e perciò ha reso gli Usa più vulnerabili ai rischi che arrivano dall’estero. Per la prima volta Yellen lo ha riconosciuto apertamente. E allora più che alle sue dichiarazioni bisognerà guardare ai dati macroeconomici in arrivo dalla Cina (ma non solo da lì) per capire se in prospettiva sia possibile un rialzo dei tassi d’interesse statunitensi in tempi che non siano biblici.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 19/9/2015