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 2015  settembre 19 Sabato calendario

LA SCUSA DELLE ALLERGIE È GENIALE: IN QUESTO MODO LA GUIDI REINTRODUCE LE ETICHETTE-TRASPARENZA SUI CIBI E FOTTE L’UE

L’etichetta obbligatoria per la trasparenza dei prodotti alimentari? Detto, fatto. La Coldiretti l’aveva chiesta solo pochi giorni fa, e il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, attraverso il sito del ministero annuncia ora che il governo ha già «dato via libera allo schema di disegno di legge per reintrodurre l’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento dei prodotti alimentari». Non solo. Anche Federica Guidi, ministra dello Sviluppo economico, è intervenuta sullo stesso argomento, annunciando un provvedimento (di cui ItaliaOggi ha dato ieri per prima la notizia) con il quale tutti i gestori dei servizi di ristorazione (bar,ristoranti, mense, catering) dovranno informare i clienti sull’eventuale presenza di allergeni nei cibi indicati nel menu. Una novità assoluta, che nella parte finale del provvedimento reintroduce l’obbligo di indicare anche la sede dello stabilimento, obbligo che una direttiva europea aveva imposto di cancellare solo pochi mesi fa, danneggiando non poco il made in Italy alimentare.
Sul piano politico, come ho scritto ieri, è sempre più evidente che tra la Coldiretti e il governo di Matteo Renzi vi è ormai una sintonia totale, quasi un fiorire di amorosi sensi, roba da fare ingelosire il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, che non ha mai nascosto di essere un tifoso del premier e di condividerne la politica economica. Sul piano concreto, ed è ciò che conta, questa sintonia sta producendo dei cambiamenti importanti sul piano legislativo, con ricadute positive non solo per decine di migliaia di imprese agricole e di trasformazione dei prodotti, ma anche per la salute di milioni di consumatori, che d’ora in poi saranno meno indifesi di fronte alle «schifezze alimentari» patrocinate dal cretinismo burocratico europeo.
Riavvolgiamo il film, partendo proprio dall’Europa. L’obbligo di indicare sulle etichette lo stabilimento di produzione degli alimenti è stato introdotto 23 anni fa a tutela del Made in Italy, con la legge 109 del 1992. Tale obbligo è stato però abolito da una direttiva europea quattro anni fa (la numero 1169/2011), che ha così facilitato il cosiddetto «italian sounding», l’imitazione di prodotti del Made in Italy, dal falso parmigiano ai prosciutti ungheresi spacciati per emiliani doc, e così via. Anche se può sembrare incredibile, per ben quattro anni i governi italiani (Berlusconi, Monti, Letta) non si sono mai preoccupati delle conseguenze nefaste di quella direttiva. Neppure dopo che un semplice cittadino-consumatore, Raffaele Brogna, allertato da un amico avvocato che aveva letto la direttiva Ue per ragioni professionali, ha lanciato l’allarme sul web. Con un blog intitolato «io leggo l’etichetta», Brogna (che si definisce «un semplice padre di famiglia che fa la spesa e vuole essere informato sui prodotti che consuma») ha invitato i suoi lettori a firmare una petizione al governo e al Parlamento perché l’Italia mantenesse l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione sulle etichette.
Quella petizione è ancora sul web e ha raccolto più di 29 mila adesioni. Benché inviata nel 2014 ai 630 deputati e a tutti i ministeri, non ha ricevuto per mesi alcuna risposta. Soltanto alla vigilia dell’entrata in vigore della direttiva Ue, fissata per il 13 dicembre 2014, alcuni deputati hanno cominciato a mobilitarsi (Anzaldi e Mongiello del Pd, Parentela del M5s), seguiti dal ministro Martina. Ed è probabilmente a quella petizione che il ministro dell’Agricoltura si riferisce, quando nel comunicato postato sul sito del ministero sostiene che «26 mila italiani, consultati online, hanno risposto che vogliono leggere chiaramente sulle etichette la provenienza dei prodotti».
Un altro fatto che probabilmente non ha lasciato indifferente il governo è che la petizione «io leggo l’etichetta» è stata fatta propria da un nutrito gruppo di imprese del settore distributivo, in testa il Conad, che l’ha rilanciata con intere pagine di pubblicità sui giornali. Non solo: all’Expo, uno dei dibattiti più seguiti è stato quello sul ritorno delle etichette, a cui insieme al blogger hanno partecipato Vito Gulli (Generale Conserve), Francesco Pugliese (ad Conad), Mario Gasbarrino (ad Unes), Eleonora Graffione (ad Coralis), Giorgio Santambrogio (ad Gruppo VéGé), e Beniamino Casillo (Gruppo Casillo).
Poiché è impossibile modificare una direttiva europea con una legge nazionale, dal convegno all’Expo è venuto un suggerimento, o per meglio dire un’astuzia burocratica, per aggirare lo scoglio: fare una nuova legge come quella del 1992, ma non più per tutelare il Made in Italy (cosa vietata dal cretinismo europeo), ma a tutela della salute dei consumatori. Una legge, quest’ultima, in linea con l’articolo 39 del Regolamento europeo, quindi inattaccabile a Bruxelles.
Ed è qui che, con l’astuzia suggerita, si è inserito ora il provvedimento della ministra Guidi per tutelare i consumatori dalle allergie. Una soluzione «salutare» che, alla fine, va a merito del governo Renzi e fa contenti tutti: Coldiretti, Conad, il blogger Brogna e i consumatori. In fondo, per fregare l’Europa con le sue stesse regole, bastava ricordare un celebre detto di Sandro Pertini: a brigante, brigante e mezzo.
Tino Oldani, ItaliaOggi 19/9/2015