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 2015  settembre 20 Domenica calendario

I TELESCOPI DEI GESUITI VEDEVANO BENE: COMMETTERE ERRORI È INDISPENSABILE

«Il coraggio ha donato nuove luci all’antico cielo». Così suona uno dei motti in latino che adornano l’edificio dello storico Osservatorio astronomico di Vilnius, capitale della Lituania, incastonato nell’Università entro la Città Vecchia. La fondazione dell’ateneo (1568) si deve all’iniziativa di un vescovo, ma i vari edifici che lo compongono rivelano l’impronta della Compagnia di Gesù. E l’Osservatorio venne ricavato (1753-1766) ristrutturando costruzioni precedenti in base al disegno di Tomas ÿebrauskas (1714-1758).
Filosofo e teologo, membro anch’egli della Compagnia, era un abile matematico non privo di interessi nei più vari campi delle scienze. Sua passione predominante era l’astronomia, che, con la sua torre protesa verso il cielo, aveva voluto svettasse sopra tutte le altre discipline. Come osserva Rivka Feldhay (Università di Tel Aviv), una delle maggiori studiose della scienza dei gesuiti, non solo è infondato lo stereotipo che vede in costoro gli avversari più tenaci della «nuova filosofia della natura», ma fu «la loro missione religiosa a spingerli a esplorare, insegnare, criticare, e dibattere le idee» di quelli che per noi sono i primi scienziati.

Si ritrova tutto ciò quasi in filigrana nelle stesse decorazioni dell’Osservatorio: i segni dello Zodiaco ornano il fregio del corpo centrale, mentre tra le finestre sono dipinti i principali strumenti per l’osservazione del cosmo. Qui le costellazioni sono il simbolo della misurazione dei cieli, a un tempo strumenti di calcolo delle posizioni di Sole e pianeti, metodo di orientamento e di misura su questa Terra, nonché dispositivi per la determinazione del tempo. Vi colgo un’aria di famiglia con uno dei pezzi più belli della mia Milano: l’Osservatorio Astronomico di Brera, il primo vero e proprio centro di ricerca scientifica della Lombardia, fondato due decenni dopo di quello di Vilnius per iniziativa di un altro gesuita, quel Ruggiero Giuseppe Boscovich (1711-1787) che è stato uno dei più brillanti astronomi dell’Epoca dei Lumi. In entrambi i casi, l’impegno per la scienza significava progresso civile e la «fatica dell’insegnamento» della physico-mathesis era già un compenso per chi se ne assumeva l’onere.
Certo, l’astronomia era anche «spettacolo» ma «mai sterile», come Boscovich ebbe a replicare ai suoi detrattori: suo scopo era, tra l’altro, «di dar idea nel paese degli istromenti, dell’uso loro, e delle osservazioni astronomiche»; per questo, di fianco agli spazi dedicati alla ricerca «accademica» aveva previsto la costruzione di grandi sale per ospitare tutte quelle «moltitudini» altrimenti destinate a rimanere schiave di «cognizioni ancora superficiali».
Questo spirito genuinamente «illuministico» pervade tutta la rete delle istituzioni gesuitiche, dalla nostra Italia all’Europa Orientale, per non dire della sua esportazione in Asia e nelle Americhe. Non sorprende che ora le arti figurative ora l’architettura ora la poesia siano state utilizzate dai membri più accorti della Compagnia non solo per insegnare, ma soprattutto per celebrare la ricerca scientifica. Del resto, essa era «impresa eroica d’impegno quotidiano per la maggior gloria di Dio». E — come nota lo storico del pensiero scientifico Luca Guzzardi — nel fondere fatica terrena e gloria divina, i gesuiti finivano col riconciliare la loro stessa missione con l’intreccio caro agli umanisti di etica e conoscenza. L’Osservatorio Astronomico di Vilnius, doveva sopravvivere alla chiusura (1832) da parte delle autorità zariste, subordinando la propria attività a quella degli osservatori russi, per chiudere definitivamente nel 1882 dopo il rovinoso incendio di qualche anno prima.
Degli oltre cinquanta telescopi che l’osservatorio ospitò nel corso dei secoli ne resta una dozzina, conservata nella Camera Bianca della Biblioteca Universitaria, importante testimonianza di come sarebbe evoluta l’intuizione dei gesuiti circa l’importanza dell’osservazione strumentale. Oggi un nuovo osservatorio è all’opera a una settantina di chilometri dalla capitale lituana. ÿebrauskas aveva trovato buon auspicio nella comparsa, il 28 febbraio 1753, «di un’enorme aquila nera che si era posata sulle mura dell’osservatorio in costruzione». Forse l’immagine più adatta è, però, quella della mitica fenice che risorge dalle proprie ceneri.
Senza andare così lontano, basta uscire per poche centinaia di metri dalla Città Vecchia, per imbattersi in un piccolo modello della grande rete della ricerca messa in piedi dai gesuiti: è la «Repubblica di Užupis», sorta ufficialmente nel 1998 e posta sotto la protezione di un angelo che la sorveglia nella piazza principale di quel quartiere.

Ovviamente, non c’è qui traccia delle austere regole di Ignazio di Loyola; c’è invece una mescolanza di anarchia e cultura hippie adattata al postcomunismo. E su uno dei muri di questa «repubblica» si legge in più lingue (compresi il russo, il gaelico e l’arabo) il testo di una «Costituzione» in 41 articoli ove, tra l’altro, si garantisce il diritto all’acqua calda e a un tetto di tegole. Qualche articolo, come il n. 13, può suonare bizzarro: «Un gatto non ha il dovere di amare il proprio padrone» (ma forse agli abitanti di Užupis, felini o umani che siano, i padroni non garbano proprio). E l’articolo n. 4 afferma per ogni essere umano il diritto di commettere errori. Ma non è proprio così che deve funzionare la stessa repubblica della scienza?
Come mostra la vicenda dell’astronomia, ove le nuove generazioni hanno imparato dagli sbagli delle precedenti, fin da quando si è cambiato il centro del cosmo dalla Terra al Sole, per scoprire infine un Universo illimitato. Tomas ÿebrauskas esortava a liberarsi, almeno «nella dimora di Urania» (la musa dell’astronomia) di tutte le preoccupazioni mondane, per poter balzare «liberi verso le stelle». Direi con lo stesso spirito degli articoli conclusivi di quella strana Costituzione: «Non conquistare, non reagire con la violenza, ma non arrenderti».