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 2015  settembre 20 Domenica calendario

CALDARA, SOVRANO DEL TARDO BAROCCO

I primi cinquant’anni del Settecento non sono, come la pigra musicologia ci ha insegnato, quelli di Bach e Händel: sono anche gli anni di Alessandro Scarlatti, il più grande compositore del cosiddetto Barocco musicale; di Antonio Caldara, di Domenico Scarlatti e di Leonardo Leo. I tre colossi posseggono una statura superiore a quella del medesimo Händel e, sotto molti profili, pari addirittura a quella di Bach. Domenico, in questo talora preceduto dal padre, è uno di coloro che conducono la musica fuor del Barocco, inaugurando le locuzioni armoniche e melodiche dello Stile Classico: laddove sotto il profilo ritmico è compositore affatto inclassificabile. Leo, il più alto esponente della Scuola Napoletana settecentesca, cultore della polifonia severa, è tuttavia, nella musica strumentale e teatrale, da considerarsi, insieme cogli altri due genî Giovan Battista Pergolesi e Leonardo Vinci, dello Stile Classico il principale inventore. Caldara possiede pur egli, passim , aspetti stilistici che lo Stile Classico anticipano; ma è colui che, sull’esempio di Alessandro, insieme con Bach porta a più grande altezza lo stile del Tardo Barocco, severo e tutto intriso di contrappunto.
Nato a Venezia nel 1670, lo si vuole allievo di un notevolissimo compositore come Giovanni Legrenzi, col quale, invece, non studiò mai, come pur s’è voluto, Antonio Vivaldi: e si sarebbe per dire: si vede. Ma a me pare evidente il suo discepolato ideale esser con Alessandro Scarlatti, tanto dappresso gli sta non solo nello stile ma nella medesima genesi inventiva. Fecondissimo e destinato a spegnersi a Vienna nel 1736 nella qualità di cesareo vice-maestro di Cappella (in fatto, l’imperatore Carlo VI lo anteponeva al maestro titolare, il pur grande Johann Joseph Fux), ebbe varie stazioni e vicende. Fu a Venezia, a Mantova, a Barcellona — il futuro Carlo VI era colà il re Carlo III — , a Roma presso i Ruspoli: e vi conobbe i due Scarlatti (ma il discepolato ideale col primo era già materiato), Pasquini, il giovane Händel. Dal 1716 è a Vienna: Carlo è Imperatore dal 1711. Il rapporto con questo Asburgo profondo conoscitore di musica è fondamentale per la personalità di Caldara: i gusti di Cesare inclinavano verso lo stile severo e il contrappunto: mai potremmo immaginare presso di lui un esponente del Rococò come Johann Adolph Hasse, che rappresenta il lato facile e, relativamente, privo di peso specifico, di quello stile incarnato da Leo, Vinci e Pergolesi. Cesare, con formula che traggo dalla XIV delle Epistulae di Orazio ( mihi me reddentis ), rese Caldara a se stesso. Egli coltivò supremamente la polifonia. Lo mostrano le meravigliose Messe, lo Stabat Mater , e addirittura quel Crucifixus a sedici voci che della polifonia è uno dei più alti esempî in ogni epoca. Uno dei temi di esso è comune a quello che Federico II dettò a Bach e sul quale Bach costruì il Musikalisches Opfer , il Sacrificium musicale (l’opera malamente tradotta siccome Offerta musicale ); Caldara era peraltro, con Fux, il compositore contemporaneo da Bach più stimato.
Il grado sociale di Antonio a Vienna può vedersi dal solo ritratto che di lui possediamo. Fa parte della quadreria del più grande erudito musicale settecentesco, il bolognese padre Giovan Battista Martini. Antonio troneggia in abito di Corte e trionfa con un volto pieno di benevolenza e giovialità. I lombi sono cinti da un manto purpureo. Non stringe in mano la carta rigata, emblema professionale, né poggia la mano sull’acervo dei volumi sul dorso dei quali inciso il titolo delle opere. Pare l’effigie di un regnante, non di un musicista.
Poeta Cesareo dal 1729 fu il sommo Metastasio: onde Caldara potette intonare per primo i suoi Drammi per musica e Oratorî viennesi: fin ch’ebbe vita. Ma prima di Pietro romano il Poeta era il pur grande Pietro Pariati, da Reggio Emilia. Se pensiamo all’Oratorio e al tema della Passione, Caldara ebbe a scriverne tre di Pariati, il Cristo condannato , nel 1717, Il Re del dolore , nel 1722, Morte e sepoltura di Cristo nel 1724; e uno di Metastasio, la sublime Passione nel 1730 che poi sarebbe stata meravigliosamente intonata, fra gli altri, da Jommelli, Paisiello, Salieri e Spontini. Il complesso di queste quattro opere di Caldara costituisce nel mondo cattolico, dopo il caso di Alessandro Scarlatti ( Colpa, Pentimento e Grazia , sul meraviglioso testo di Pietro Ottoboni), la più alta risposta alle Passioni di Bach. Il Re del dolore verrà eseguito martedì 22 a Milano per la stagione barocca dell’Orchestra Verdi sotto la direzione di Antonio Florio nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso.
L’inizio è possentemente drammatico. Le Turbe chiedono che «l’Uom» perisca; gli Angeli, in tempo ternario lento, accompagnati, per connotarne la levità, dal cosiddetto «bassetto» (il basso fatto dalla viola), piangono di fronte a tanti «furore e crudeltà». Dramma e pathos si giustappongono: e Caldara, nel pungente uso della dissonanza, già manifestato nella Sinfonia in stile corelliano, si mostra appunto discepolo di Alessandro Scarlatti. Forte uso della dissonanza pieno di un pathos virile e severo appare nei due Madrigali che chiudono, rispettivamente, la prima e la seconda parte: Mortal, qui vedi l’uomo e Intendi, o peccator . Anche qui l’orma di Alessandro Scarlatti è inconfondibile; all’epoca del Re del dolore il Panormita, autore di Madrigali polifonici d’infinita dottrina nello stile di Carlo Gesualdo, era ancor vivo; e nel catalogo di Domenico troviamo persino una Missa quatuor vocum non nello stile palestriniano, sì della polifonia fiamminga d’inizio Cinquecento.
La qualità del Recitativo «secco» è assai alta rispetto agli esempî coevi; nella prima parte ve n’è anche uno accompagnato, Mio Redentor, mio Dio , d’una tale intensità espressiva che lo stesso Bach non la supera.
Le Arie sono tutte nella forma canonica col da capo ma di una epigrafica concisione contrastante collo stile cosiddetto galante che, a partire dall’ Artaserse di Hasse (1730), trionferà nel gusto con le sue inani ripetizioni e sezioni di mero abbellimento privo di contenuto musicale. I Motivi principali di ciascuna, sovente atti a esser Soggetti fugati, sono a lor volta vere e proprie epigrafi per la densità melodica e il loro esser pregni di sviluppo. Prevalentemente in tono minore, giusta l’ ethos del Sepolcro, il loro elenco sarebbe una continua espressione ammirativa per la sapienza costruttiva, la fantasia, l’espressione.
Nell’epigrafe dettata dal cardinal Ottoboni per il sepolcro napoletano in Santa Maria di Montesanto Alessandro Scarlatti viene definito musices instaurator maximus , «il sommo instauratore della musica»; Caldara andrà chiamato musices instaurator magnus e Leonardo Leo musices alter instaurator magnus .