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 2015  settembre 20 Domenica calendario

IL PAESE DI SINISTRA SENZA PIÙ PACE PER 25 MIGRANTI

C’è un paese in Toscana, ai confini con la Romagna, uno degli angoli più remoti — e rossi — d’Italia, in subbuglio per l’arrivo dei migranti. Da mesi ci si ribella, ci si batte, ci si divide. Anche se i migranti, come i tartari, finora non li ha mai visti nessuno. In mezzo al paese c’è la chiesa, la badia del Mille con cripta dell’VIII secolo. Dietro la chiesa c’è l’hotel ristorante pizzeria Bellavista , chiuso per mancanza di turisti: il proprietario, Paolo Mulinacci, l’«untore», ha vinto il bando per ospitare i migranti.
Davanti alla chiesa c’è l’hotel ristorante pizzeria La Foresta , pieno di turisti: il proprietario, Andrea Betti, è disperato perché i migranti li faranno fuggire. Quasi tutti in paese sono con lui. Per protesta hanno portato le chiavi dei negozi alla prefettura. Hanno ottenuto che i migranti da cento diventassero 25. Ma ora ci siamo, stanno per arrivare, dicono le voci da Arezzo. E la battaglia riprende. Una goccia nell’oceano di una questione epocale. Ma una goccia uguale a tante altre gocce.
Qui tutto suona, ogni nome evoca un pezzo dell’identità italiana. Da Arezzo si sale verso Sansepolcro, nelle terre di Piero della Francesca, si attraversa la piana di Campaldino, dove Dante combattè con i guelfi di Firenze vincitori sui ghibellini. Le cime che dominano il paese sono il monte Falterona da dove nasce l’Arno, Camaldoli con il suo eremo, la Verna dove san Francesco in una notte del settembre 1224 ricevette le stimmate. Salendo agli 850 metri di Badia Prataglia, frazione di Poppi, i cipressi cedono ai pini, gli ulivi ai cerri, le viti ai castagni. Il luogo è selvaggio e bellissimo. Terra di Resistenza, qui passava la linea gotica, una lapide celebra quattro ragazzi «uccisi da rappresaglia nazifascista». Sindaco Pd, eletto con l’83%. Alle Europee il Pd ha preso il 62%, la Lega il 2.
Dice Betti: «Prima facevo il barista, poi ho preso l’albergo in affitto, ora l’ho comprato. Ho investito mentre le banche della zona, Etruria e Montepaschi, chiedevano indietro i soldi. Ho dieci dipendenti, compresa mia moglie Loredana, romena, e sua madre Maddalena, la prima ad arrivare in Casentino. Le pare che io possa essere contro gli stranieri? Ma in paese 25 profughi non li possiamo prendere. Ufficialmente siamo 785, però i residenti sono meno, quest’anno abbiamo avuto 17 morti e neppure un neonato; in inverno non c’è lavoro, scendono tutti a valle, qui restano solo in 300, vecchi donne bambini. Chi li protegge? I vigili salgono da Poppi solo per fare qualche multa. Al valico con la Romagna c’è una caserma della polizia, ma la chiuderanno. I forestali erano 50, sono rimasti in cinque. Restano tre carabinieri ma dovranno pur fare i turni, no? Una notte su due i profughi saranno padroni dal paese. Chi ci assicura che siano tutti brave persone? Come possiamo fidarci di loro?».
Mulinacci dice che con i giornalisti non parla, perché «se dico mela scrivono pera». Al bar del paese lo stanno processando l’insegnante in pensione, il pizzaiolo in pensione, la cancelliera del tribunale di Arezzo in pensione. «Ditemi: chi di voi nelle mie condizioni non farebbe la stessa cosa? Non sono il vostro carnefice. L’albergo è chiuso. Ci vivo con mia moglie e due figli, mi costa 7.500 euro l’anno di tasse. Nessuno di voi si è fatto avanti per comprarlo. Lo sapete che i turisti non vengono più come una volta: c’è un po’ di passaggio nei weekend e a Ferragosto; per il resto, niente. Io devo pur campare. Quella gente è un’opportunità». Lo interrompono: «Paolo, la tua non è accoglienza, è convenienza. Tu pensi al business, e noi passiamo per razzisti. Fai bene a farti i tuoi interessi; noi dobbiamo farci i nostri». «Ma mica verranno a mettere Badia a ferro e a fuoco! Sono tutti richiedenti asilo: li hanno già controllati, anche dal punto di vista sanitario…». La discussione è interrotta dalle immagini del tg. Eccoli finalmente i profughi, anche se solo in televisione. I badiani discettano della Merkel come fosse una vicina di casa. Sono informatissimi: gli hotspot, l’accoglienza diffusa, il traffico di falsi passaporti siriani. L’altro giorno è passato di qui un medico dell’ospedale di Pisa, ha detto che è proprio vero, i casi di tubercolosi sono in aumento, e pure di malaria. Un ragazzo molto simpatico, all’apparenza con qualche disturbo psichico — «iperattivismo» hanno detto i dottori —ripete: «Io ho paura di quei cento dei loro...»; «non sono cento, non devi aver paura» lo rassicurano.
Un solo cliente del bar resta muto. A ogni battibecco chiude gli occhi celesti, si passa le mani tra i capelli bianchi. È il parroco, don Francesco Cecconi. «Sono qui da 48 anni. Questo è luogo di pace…». «Don Francesco dovrebbe prendere posizione sugli stranieri — dice Patrizia Marri la cancelliera in pensione —. Ci sono i frati di Ponte a Poppi, di Camaldoli, della Verna: potrebbero aprire i conventi per loro».
Tutti concordano su un punto: «Il paese non è razzista. Si fa volontariato, c’è la Misericordia. Abbiamo sempre accolto tutti. A cominciare dal mafioso». Quale mafioso? Risponde Sara, la commessa del negozio di alimentari: «Trent’anni fa mandarono qui al confino un mafioso, Giuseppe. Gli portavamo da mangiare e da bere. Trovò lavoro come muratore, si spostava in motorino perché gli avevano tolto la patente. Ora il su’ figliolo fa l’università. Poi ci mandarono gli albanesi, e tra loro c’era gente cattiva. Il Rosso, quello che dava noia alla mi’ cugina, è morto in una sparatoria. Un altro si è ucciso in macchina scappando dalla polizia. Altri ancora si sono integrati, ora sono badiani come noi. Poi ci mandarono i kosovari: gente tranquilla. Poi ci mandarono i rom dall’Isolotto di Firenze, ma per fortuna dopo 40 giorni li spostarono altrove: rubavano a man bassa e noi si faceva finta di nulla, le donne entravano qui in negozio e sotto i gonnoni facevano sparire di tutto, una volta anche un prosciutto, e quella volta ho detto: no, il prosciutto no. Infine ci hanno mandato pure i profughi macedoni. Avevano un capoclan, sfilavano in silenzio a baciargli le mani. Lavoravano come taglialegna. Quest’estate sono venuti i marocchini a vendere abusivamente le cose che vendiamo anche noi, i guanti da cucina, le tovaglie. Abbiamo sempre accolto tutti. Ma i migranti no. Non ce la facciamo. Loro no».
«Diciamo la verità: Mulinacci, il mio collega, non ha voglia di lavorare — si sfoga Betti —. Il suo era l’albergo più bello del paese, l’unico con l’ascensore; venivano i nobili, è venuto pure il Duce. Anche oggi, se ti dai da fare, se vai a funghi e a tartufi, se sei gentile, i turisti arrivano. Anch’io mi ero informato sui bandi: ti danno 37 euro al giorno per ogni migrante, sei mesi garantiti: fanno quasi 350 mila euro. Tanto loro sono musulmani, vino non ne bevono, prosciutto non ne mangiano, una pizza e via… tutto profitto. Facile così! Arrivano loro. E il paese muore».
Mulinacci: «Anche a scuola c’era chi era più bravo di me. Non ce l’ho fatta. Non sono l’unica vittima della crisi. È vero, il Duce è stato qui, con donna Rachele: camera 24. Ho sentito che in Piemonte si sono autotassati per rilevare un albergo pur di non avere i neri: volete farlo anche voi? Ecco le chiavi. Perché non può finire come in altri paesi qui attorno? A Montemignaio ci sono 25 profughi, a Chitignano pure, e non è successo nulla».
La Toscana non ha scelto l’«hotspot», il centro di raccolta, ma l’accoglienza diffusa. Ci sono state discussioni tra albergatori che ospitano e altri che non ospitano a Chianciano, a Viareggio. Nei paesi i migranti spesso si integrano, alle Piastre, sotto Pistoia, hanno partecipato pure al tradizionale campionato della bugia, un ivoriano Ibrahim Kone è arrivato terzo. Il sindaco di Poppi e Badia è un colosso con gli occhi chiari e i capelli legati a coda, Carlo Toni: «Non si ha idea della pressione. Su Facebook minacce di morte e insulti. Dalla prefettura due fax al giorno: “Altri mille sbarcati al Sud… Cento verranno in Toscana... Che si fa?”. Ho trovato una famiglia che ne ospita cinque nella casa dove vivevano i genitori. “Il babbo e la mamma avrebbero voluto così” mi hanno detto. Poi ci sono i 25 del bando dell’albergo». «Non possono venire tutti da noi a Badia — si inserisce Alberto Ciampelli, consigliere comunale d’opposizione —. Ad Arezzo ne ospitano 260 su 90 mila abitanti; facciamo la stessa proporzione. Anche se il Tg3 ce l’ha con noi, qui non troverà nessuno che dice: non vogliamo i migranti. Non alziamo le mani, non tiriamo sassi; cantiamo l’inno del paese. Lo vuole sentire? “O Badia Prataglia dai mille color/ sopra i monti e tra gli abeti coglieremo i fior/ la mia fanciulla la più bella sarà/ nella sua pupilla splende la vivacità…”. Ma 25 di loro no. Sono troppi».
L’«untore» Mulinacci è arrivato alla conclusione opposta: «La verità — dice in un sussurro — è che qui i profughi non li vogliono. E non lo vogliono neppure ammettere. Io non condanno i miei compaesani. Li capisco. Ma nella vita esistono stati di necessità». Esiste la crisi. Esiste il mondo globale, con le sue opportunità e le sue tragedie. E non se ne è al riparo. Da nessuna parte.

( 1 - continua)