Bruno Villois, Libero 20/9/2015, 20 settembre 2015
LE BORSE CADONO OVUNQUE MA IL VERO TERMOMETRO SARANNO LE TRIMESTRALI USA
I mercati finanziari per l’ennesima volta invertono la rotta. La perdita media degli indici di tutte le Borse mondiali, da luglio ad oggi, supera i 10 punti, con Cina e dintorni che raggiungono il 30%. A monte di questa inattesa situazione c’è il calo del potenziale Cina, fino a ieri prima locomotiva del globo, che è stata in grado di evitare il tracollo dell’economia mondiale nel momento in cui le economie occidentali, tra il 2008 e il 2010, hanno perso la bussola, e la più grande e sfavillante degli ultimi 100 anni, quella Usa, ha dovuto affrontare un crollo pari o forse superiore a quello del ’29. La previsione del Pil degli eredi di Mao è passata da circa l’8% a meno del 6%.
Ocse, Fmi e adesso Federal Reserve, vera unica banca mondiale, hanno ribadito che qualcosa si sta inceppando e che questo qualcosa potrebbe inceppare l’economia globale. Non aver aumentato il tasso di sconto Usa, su pressione di tutti gli enti economici mondiali, ha accentuato le preoccupazioni e così gli investitori, già in preda a panico di impoverimento, hanno ripreso a liberarsi di ogni tipo di azione e le Borse hanno rivissuto l’ennesima debacle. La paura ha d’altronde ben donde di esistere, visto che, tra Hedg fund e Derivati, c’è in circolazione una massa ad alto grado di rischio che corrisponde a oltre 2 volte l’intero Pil del globo. Il sistema finanziario dei paesi ricchi, a differenza del passato, è sempre meno basato sulle componenti industriali e sui loro risultati. Le prime sette grandi dell’automotive insieme capitalizzano in Borsa ben meno dei due giganti Usa Google ed Apple, nonostante che esse non distribuiscano alcun dividendo e diano lavoro ad un centesimo di occupati. A fronte di questi dati e a quelli della finanza di carta, non di rado straccia, l’importanza di avere un’economia , quella cinese, in grado di spostare decine di milioni di persone, dalla grama vita delle pastorizia e agricoltura ancestrale a quella dell’economia industriale, che perde colpi e porta con sè le economie confinanti, anch’esse in grado di alimentare consumi interni e produzioni, non può che animare pericolose sbandate da parte degli investitori.
Il ribadire da parte di Fed, Fmi e Ocse e in parte Bce che il sistema economico mondiale è fragile, che le previsioni abbassano di alcuni decimali la crescita del Pil, che le banche sono solo in parte uscite dai rischi di insolvenza, solo da noi i crediti inesigibili sono prossimi ai 200 miliardi, pari ad un sesto di quanto erogato, non può che portare ad allarmismi in grado di peggiorare la situazione reale. Bene però ricordare che la Cina pur crescendo meno del previsto avrà comunque un Pil che si incentiverà di almeno 5 punti, quasi il doppio di quello Usa, oltre tre volte quello dell’Europa. È quindi possibile un rilevante rallentamento, ma non tale da sconvolgere l’intero sistema economico globale. Un ulteriore calo del 5/6% dei listini è possibile nel breve periodo, accettabile se comparato con la crescita degli ultimi 18 mesi, ma poi una nuova stabilizzazione è assolutamente possibile, se le banche centrali avranno l’avvedutezza di stimolare il credito vero le imprese che producono e danno occupazione stabile. I risultati delle prossime trimestrali Usa saranno un rilevante banco di prova delle tenuta dell’economia globale.