Fabio Isman, Il Messaggero 20/9/2015, 20 settembre 2015
I MISTERDI DEL CUPOLONE
Dal fascino che il tempio esercita su pellegrini e turisti, «su credenti, non credenti e diversamente credenti», parte il cardinale Gianfranco Ravasi, e poi racconta San Pietro: come era la sua giornata dai tre Vangeli sinottici, come è il ritratto che ci lascia quello di San Giovanni, come lo leggiamo negli Atti degli Apostoli e in San Paolo. Invece, l’arciprete della basilica, il cardinale Angelo Comastri, inizia guardando al tempo in cui c’erano l’Ager Vaticanus e le «più antiche tombe cristiane, oggi sotto il pavimento delle sacre Grotte, ma una volta illuminate dal sole sulle pendici prospicienti il Circo di Nerone, bagnato dal sangue dei martiri»: il volume di 400 pagine, tiratura limitata a 999 copie, per due terzi occupato dalle splendide immagini di Aurelio Amendola, che Fmr presenta domani nella Sala San Pio X a via della Conciliazione, non è l’ennesimo libro sul tempio più fondamentale del Cristianesimo, o «la più bella chiesa della più bella religione al mondo» (Stendhal 1816); ma un’opera assolutamente innovativa e del tutto completa.
Racconta la Basilica di San Pietro dai 133,30 metri sopra il suolo della cupola, ai tre sotto il pavimento della sua Necropoli; dalla palla sopra il capolavoro di Michelangelo (che nel 1743 Luigi Vanvitelli ingabbiò in sei cerchioni di ferro, per garantirne la stabilità), fino alle Grotte, dove essere sepolti accanto ai papi era un onore, e vi troviamo anche l’imperatore Ottone II e re Giacomo III Stuart con i figli. Dai 20.139 metri quadrati di superficie del tempio, ai 186,86 del suo asse, tutto è «un vero e proprio codice architettonico, pittorico, scultoreo, interamente votato a cantare Cristo e l’Apostolo, che qui concluse l’esistenza nel martirio», continua Ravasi. E poi, interpreta la famosa dicitura «Petros eni» graffita sul sepolcro non solo con il tradizionale «Pietro è qui», ma anche con un più innovativo «Pietro in pace».
Dalla sfera sulla cupola (537 gradini di scala a chiocciola per raggiungerla), in cui Gregorio XVI Cappellari dà un rinfresco per lo zar Nicola I nel 1845, ai testi figurativi che sono all’interno e comprendono anche ben 2.500 animali, reali o fantastici; fino alla piazza, di 240 per 340 metri, con il colonnato che abbraccia il mondo: alcuni studiosi celebri (Pasquale Iacobone, Christoph Luitpold Frommel, Tod Marder, Sebastian Schütze, Antonio Paolucci, Micol Forti e Marina Righetti) descrivono la Basilica dalla A alla Z.
GLI AUTORI
Dai travi bronzei prelevati dal Pantheon da Bernini, su ordine di Urbano VIII Barberini, e destinati agli 80 cannoni di Castel Sant’Angelo e al baldacchino (da cui il famoso detto «quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini»), fino alla Pietà di Michelangelo, firmata e datata 1499, che, scrive Paolucci citando Vasari, «è un miracolo»: «Un sasso da principio senza forma nessuna, ridotto a quella perfezione che la natura, a fatica, suol formare nella carne».
Il racconto di una basilica, una cavalcata di venti secoli; Marina Righetti ricorda la statua di San Pietro, di Arnolfo di Cambio, e le preesistenze medievali; e Micol Forti, ciò che c’è del Novecento: CON le statue sui sepolcri di Pio X Sarto, e DI Benedetto XIV Lambertini (di Pietro Canonica); quella per Pio XII Pacelli (Francesco Messina); le porte di Crocetti, Manzù, Minguzzi. «Nessun monumento rispecchia la storia del cristianesimo e della cultura europea» quanto questo e «verso nessun altro sono state rivolte le forze di un tale numero di grandi artisti e committenti» (Frommel). Fino a metà Quattrocento, era quello di Costantino, voluto verso il 320 d.C.; poi ha avuto un’immensa evoluzione: qui tutto è documentato, tutto narrato; in parole, e con delle splendide immagini. Un monumento che era degradato, e poi è risorto, la chiesa che nessuno al mondo ha mai imitato, in misure e bellezze, tesori d’arte e di fede. Ma visti prima, come, appunto, per esempio la Pietà, d’assoluta perfezione formale (Paolucci), e mille altre realizzazioni. Così belle che sono state anche al centro di bizzarre reazioni. Nelle «Curiosità di Roma» del 1885, Costantino Maes racconta d’un «matto inglese» così attirato dalla Giustizia scolpita da Guglielmo della Porta nel sepolcro di Paolo III Farnese, da «goderne degli abbracci notturni»; «Urbano VIII ordinò a Bernini di drappeggiarne una parte, con bronzo tinto in bianco», per celarne la nudità. Per San Pietro è passata buona parte della storia di Roma; qui, è raccontata tutta.