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 2015  settembre 19 Sabato calendario

QUANDO SUONA LA SVEGLIA

Cinque secondi: è il «limite delle possibilità umane» al quale l’inarrivabile Ragionier Fantozzi del primo omonimo film (1975) era riuscito a ridurre il tempo per svegliarsi. Gli ci erano voluti — spiegava solenne la voce fuori campo — 16 anni di «esperimenti e perfezionamenti continui». Un recente sondaggio sembra dar ragione al personaggio che più di tutti ha sintetizzato luoghi comuni e idiosincrasie dei nostri connazionali: gli italiani sarebbero, con i tedeschi, gli europei che più spesso si alzano al primo squillo di sveglia (nel 65% dei casi). Al contrario — sarà che il freddo concilia la permanenza tra le coperte — dei norvegesi: in quel caso solo il 51% degli intervistati scende dal letto al primo colpo.
Mentre francesi (57%) e inglesi (56%) preferiscono iniziare la giornata con un sottofondo musicale, danesi (63%) e tedeschi (60%) scelgono un più tradizionale trillo. Gli italiani invece si dividono quasi equamente tra fautori dello squillo e chi vuole essere cullato da una melodia (il 51%). Questi ultimi però annoverano tra le loro file anche alcuni masochisti: il 13% sceglie la canzone che più detesta per essere sicuro di abbandonare davvero il letto. Il sondaggio è commissionato da un’azienda che produce radiosveglie e quindi, oltre a lasciare qualche dubbio sui criteri di scientificità, non ci informa sul rapporto degli italiani né dei francesi, inglesi e danesi con il medesimo apparecchio. Ma è lecito sospettare che non sia dei migliori.
Questo sì per ragioni scientifiche: il sonno è un bisogno biologico che si misura quasi sempre per sottrazione. «Se hai fame mangi di più. Il sonno vive uno strano paradosso: rimane insoddisfatto, di tanto o poco, quasi ogni mattina. È come se ti interrompessero artificialmente ogni volta che mangi», spiega Luigi De Gennaro, neurofisiologo e professore di psicobiologia alla Sapienza di Roma. Che sia colpa degli squilli o del gatto che, come in Colazione da Tiffany , viene a ricordare che è l’ora di alzarsi, si ha sempre la sensazione di svegliarsi troppo presto. Anche perché, ha rilevato il Centro per i disturbi del sonno delle Molinette di Torino, si è allungata la durata dei tragitti lavorativi (40 minuti in media) e gli italiani da lunedì a venerdì sono in piedi alle 6.49. Spesso con meno delle 6-8 ore (a seconda degli individui) necessarie a un adulto per riposare davvero.
Per alcuni la sveglia è più facile: «Dipende dai tipi fisiologici: i “mattutini”, le persone che hanno il massimo di efficienza nelle prime ore del giorno, sono avvantaggiati» dice De Gennaro. Ma sono in molti a soffrire la sindrome dell’«ancora 5 minuti» come ogni bambino ha detto almeno una volta ai genitori. Con la variante adulta e moderna: lo snooze , che permette a sveglie e cellulari di continuare a suonare anche dopo che li abbiamo spenti. Visto che suonano, tanto vale aspettare il prossimo squillo.
Se poi una volta svegli non si riesce comunque ad alzarsi, è per il fenomeno noto agli esperti come «inerzia del sonno»: «Alcune caratteristiche del sonno continuano per qualche minuto dopo l’inizio della veglia. Dipende dalla diversa velocità delle aree cerebrali — spiega De Gennaro —. Mentre prendiamo sonno le aree anteriori (quelle dei processi mentali più elevati) sono le prime che presentano i segni dell’addormentamento. Al mattino accade l’opposto». Quindi si è coscienti ma restii a muoversi e le capacità sensoriali sono ridotte. La scienza, infine, certifica anche l’esistenza di rari fortunati: «Alcune persone riescono a svegliarsi da sole, sempre alla stessa ora — dice De Gennaro —. Sappiamo che lo fanno, ma non come». L’eccezione alla sveglia è ancora un segreto per pochi.