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 2015  settembre 20 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA GRECIA AL VOTO


REPUBBLICA.IT
ATENE - I primi dati reali (9% di voti scrutinati) danno Syriza al 34,9% e Nuova Democrazia al 28,8 per cento.

Ancora prima dei dati, però, erano stati gli exit poll a sorridere a Syriza che risultava leggermente avanti (ma senza maggioranza) rispetto a Nuova Democrazia nelle elezioni politiche in Grecia, le seconde del 2015. Syriza infatti veniva data al 33-35% mentre il partito di Evangelos Meimarakis al 28,5-30. Sempre secondo gli exit poll delle tv greche, Alba dorata, forza politica filonazista, si confermava terza forza con percentuali che comprese tra il 7 e l’8 per cento: secondo il quotidiano Kathimerini, sarebbe stato il partito più votato dai disoccupati nel Paese con una percentuale del 16,6 per cento. I socialisti del Pasok quarti con il 6-7 per cento.

TUTTI I RISULTATI: LO SPOGLIO IN TEMPO REALE

Un quadro che corrisponde a quanto pronosticato dai sondaggi nei giorni scorsi e che fa prevedere un nuovo mandato per Alexis Tsipras. Il quale però dovrà ricercare alleanze in parlamento perché, nonostante il premio di maggioranza, la percentuale incassata non permetterà di ottenere 151 deputati. L’altra buona notizia per l’ex premier è che la destra di Anel, alleata nello scorso esecutivo, sembra destinata a superare il quorum. Quasi scontato che verrà siglato un nuovo accordo.

"Avremo un governo entro tre giorni - assicura a caldo un alto funzionario di Syriza all’agenzia di stampa greca Ana-Mpa -. Il vantaggio di Syriza è indiscutibile". L’alto funzionario ha poi aggiunto che la differenza con Nuova Democrazia sarà compresa fra il 2 e il 6 per cento.

Andare alle urne è stata una scommessa per Tsipras, che punta a rafforzare la posizione di Syriza dopo essersi liberato della sinistra interna contraria all’accordo che il governo ha siglato con i creditori internazionali (in cambio di altri 86 miliardi di prestiti). Dalla scissione è nato un nuovo partito che si chiama Unità popolare: stando agli exit poll, i dissidenti fuoriusciti da Syriza guidati da Panagiotis Lafazanis sono accreditati tra il 2,5 e il 3% e rischiano di non entrare neanche in parlamento vista la soglia di sbarramento al 3 per cento. Ancora altri numeri: i comunisti del Kke tra il 5,5 e il 6,5, i Greci Indipendenti - Anel, gli ex alleati di governo di Tsipras - tra il 3 e il 4%, To Potami il 4 e il 4,5%, e l’Unione centristi tra il 3 e il 4 per cento.

Alla sede di Syriza i primi risultati sono stati accolti con moderato ottimismo: l’entusiasmo dello scorso gennaio è un lontano ricordo. Perché dopo la (eventuale) vittoria arriverà il momento più duro: applicare il memorandum siglato con l’Europa lo scorso luglio.

IL CONFRONTO CON LE ELEZIONI DI GENNAIO (dati in real time)

Secondo quanto indicano i primi dati ufficiali dello scrutinio diffusi dal ministero dell’Interno greco, l’affluenza al voto alle elezioni di oggi è stata del 51,75%, la più bassa dal 1946, quando andò a votare circa il 53% dei greci. La disaffezione è ovvia in un Paese andato al voto 5 volte in 6 anni e tre volte negli ultimi nove mesi. Peraltro, secondo Kathimerini, il 13,9% dei greci che sono andati a votare ha scelto solo oggi il partito a cui dare la preferenza. La percentuale sale al 25% tra gli elettori di Greci Indipendenti.


PEZZI USCITI STAMATTINA
REPUBBLICA
Tsipras e Meimarakis sfida all’ultimo voto all’ombra della troika
Nea Demokratia ha recuperato.Oggi alle urne I due leader già alle prese con il rebus alleanze
ETTORE LIVINI
DAL NOSTRO INVIATO
ATENE.
Alexis Tsipras contro Vangelis Meimarakis. Il “bambino viziato” (come il leader di Nd chiama quello di Syriza) contro “il volto di 40 anni di scandali” (la risposta). L’ex-nuovo — invecchiato precocemente dopo la guerra con la Troika — contro il vecchio, ringiovanito da un’astuta operazione di marketing politico. La Grecia decide oggi il suo futuro nelle urne con un derby a due destinato a risolversi solo sul filo di lana. I sondaggi delle ultime ore danno il partito dell’ex premier di nuovo in leggero vantaggio sul centrodestra. L’esito però resta incertissimo e la certezza pare una sola: Atene sarà governata da un governo di coalizione. E chiunque vinca — Tsipras o Meimarakis — il programma del nuovo esecutivo sarà quello messo nero su bianco nell’accordo firmato a luglio con Ue, Bce e Fmi in cambio degli 86 miliardi di prestiti necessari per evitare la Grexit.
I due protagonisti di questo duello quasi kafkiano — giocato sotto il Partenone ma con il copione scritto a Bruxelles — lo sanno bene. Ma per dare la caccia a indecisi e delusi (tantissimi specie tra le fila di Syriza) hanno chiuso la campagna elettorale gettando alle ortiche il bon ton e dandosele, verbalmente, di santa ragione. Il 62enne leader di Nea Demokratia, abilissimo a passare come uomo nuovo pur essendo uno dei fondatori del partito che ha portato la Grecia nel baratro, ha giocato la carta del padre rassicurante, costretto a sculacciare il figlio pasticcione e un po’ discolo. «È ora di dire basta agli esperimenti di Tsipras», ha ripetuto fino alla noia. «Al paese serve stabilità e non un leader capriccioso che quando è in difficoltà convoca un referendum o nuove elezioni ». Il “piccolo bugiardo” o “Mr. 60 euro” — altri soprannomi rifilati al rivale ricordando le promesse elettorali e i limiti di prelievo in banca — «ha portato il paese in rovina in sette mesi». Sottinteso: adesso devono tornare a governare gli adulti «che hanno dimostrato tra il 2012 e il 2014 di poter portare Atene fuori dalle secche». Tsipras, come il figliol prodigo, può essere perdonato. «Sono pronto a governare con lui», concede Meimarakis. «Ma solo per il bene della Grecia».
La commedia psicanalitica in qualche modo ha funzionato. Atene è reduce da nove mesi ad altissima tensione, vissuti sull’orlo del default e sotto la pressione dei creditori. E il leader di Nea Demokratia, grazie ai modi posati e all’ironia quasi da bar, è riuscito a trasmettere quel senso di affidabilità che ha consentito al centrodestra di accorciare quasi a zero il distacco da Syriza.
Tsipras ha risposto mettendo sul piatto il carisma personale, sopravvissuto al suo acrobatico trasformismo politico. «È l’unico in grado davvero di fare la guerra alle oligarchie che ingessano il paese », diceva adorante una delle ragazze che all’ultimo comizio reggevano lo striscione “Alexis ti amiamo”. «Abbiamo fatto errori, ma gli errori sono esperienza», ha ammesso l’ex premier. «Ma restiamo la sinistra “utile” che cambierà l’Europa dal suo interno». Meimarakis? «È il corresponsabile dei disastri che hanno portato la Grecia in queste condizioni. È stato ministro dei governi che hanno aperto i buchi in bilancio. Accusare noi di aver rovinato il paese è come dire a chi ha bevuto tre bottiglie di whisky e un bicchierino di vodka che a ubriacarlo è stata la vodka». Il figliol prodigo non ha nessuna voglia di tornare a casa a farsi sgridare dal vecchio padre: «Lunedì la Grecia avrà un governo perché serve stabilità », ha ribadito. «Ma non faremo mai un’alleanza innaturale con Nd. O ci sarà un esecutivo progressista o uno conservatore».
Cosa succederà allora domattina? Difficile che Syriza o Nea Demokratia facciano Bingo, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi. L’incarico di formare il governo sarà affidato al leader del partito con più voti. Tsipras potrebbe allearsi con la destra di Anel, il partner nell’ultimo esecutivo, che rischia però di non passare quel 3% necessario per entrare in Parlamento. In alternativa punterebbe sul Pasok ( «in fondo si è rinnovato», ripetono per autoconvincersi in Syriza) o il centro di To Potami. A queste due stesse forze potrebbe rivolgersi Meimarakis in caso di successo. All’opposizione rimarranno così i comunisti del Kke, Unità Popolare, nata dalla scissione con Syriza ma a rischio di non superare il 3%, e Alba Dorata, in gran spolvero nei sondaggi sull’onda del dramma rifugiati.
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Chiunque vinca, il programma sarà quello stilato con Ue, Bce e Fmi in cambio del prestito
PRIMA DEL VOTO
Manifestazione di chiusura della campagna elettorale di Syriza ad Atene. In piazza anche le bandiere dell’ italiana “L’altra Europa con Tsipras”

IGLESIAS
Ognuno ha le sue fisse: per Tsipras mai la cravatta, per Pablo Iglesias mai la cravatta e mai la camicia dentro i pantaloni. Codino e braccialetti, al comizio di chiusura di Syriza il leader di Podemos saluta piazza Syntagma con il pugno chiuso e un “ hasta la victoria siempre ” d’antan.
La coppia terribile della sinistra radicale d’Europa – “Syriza Podemos venceremos”, aprì a tutta pagina il giorno prima delle scorse elezioni Avgì, il quotidiano del partito greco - è ormai legata a doppio filo: «Se vince Tsipras, può dare una mano anche a noi in Spagna, anche se sono due situazioni diverse. Non è un problema di sinistra o meno, ma di dare risposte a una maggioranza sociale europea», dice Iglesias.
Le vostre sono due storie che si parlano, e forse sarà un caso, ma dopo che Tsipras è stato costretto a firmare il memorandum anche Podemos è scesa nei sondaggi. Appunto, è una coincidenza?
«A noi ciò che è avvenuto non piace, l’accordo non ci piace. Non ci nascondiamo dietro a un dito. Ma il merito del governo Tsipras è stato quello di dimostrare che si può negoziare senza piegare la testa, con orgoglio. È sempre difficile farlo, soprattutto se i rapporti di forza sono così sbilanciati. Era uno contro 18. E la verità è che di fronte a ogni negoziato puoi trovarti di fronte a una situazione difficile e inaspettata. Una nuova affermazione di Syriza per Podemos e per altre forze della sinistra in Europa è comunque fondamentale ».
Si può negoziare, ma il risultato qual è stato finora?
«Tsipras si è battuto come un leone per il suo popolo e contro dei poteri che erano rimasti intoccabili, dei totem. Ha dimostrato di tenere alla sua gente e ha fatto dei passi avanti rispetto al passato di una classe politica servile. Ha riaperto una discussione, una partita in Europa, tra chi difendi la gente e chi i privilegiati. Ma lui da solo non basta, per questo siamo qui».
Tutta Podemos la pensa come lei? Qualcuno nel suo movimento ha avuto posizioni più critiche nelle settimane scorse rispetto a ciò che è avvenuto in Grecia.
«Siamo un partito dove ognuno può avere le proprie opinioni. Ma la cosa è molto chiara, Podemos appoggia Alexis Tsipras, che ha fatto un’altra cosa che nessuno prima di lui era riuscito a fare prima: chiedere ai greci attraverso un referendum se accettare o meno un accordo. Zapatero in Spagna per caso fece la stessa cosa?».
Cosa ne pensa di Yanis Varoufakis? Non voterà Syriza e ha utilizzato parole molto dure nei confronti dell’accordo siglato da Tsipras.
«Ho grande rispetto per l’economista, che stimo. Ci sono delle diverse idee sul momento, sull’attualità. Non sui fondamentali ».
Se perde Tsipras perde anche Podemos e tutta la sinistra in Europa?
«Secondo me no, ma c’è anche un problema di sovranità da affrontare. Noi siamo più forti, quel che è successo in Inghilterra con Jeremy Corbyn nuovo leader dei laburisti è indicativo, spira un vento nuovo. Non è un tema di ideologie, ma la differenza è tra chi difende i diritti sociali della maggioranza della popolazione e chi finora ha messo in pratiche misure antipopolari. Ci sono delle buone ragioni per essere ottimisti».
Come detto prima, i sondaggi vi danno tra il 15 e il 20% in Spagna, un po’ in calo rispetto a qualche mese fa. Avete in mente di fare delle alleanze per le prossime elezioni di novembre?
«Dobbiamo aspettare, è ancora presto. Prima delle europee del 2014 i sondaggi dicevano che avremmo ottenuto un solo deputato. Alla fine ne abbiamo conquistati cinque. Noi lavoriamo per vincere le elezioni, e sono certo che la Spagna come la Grecia voterà contro la disillusione incarnata da Mariano Rajoy e dalla sua politica».

REPUBBLICA DI IERI

NAZIONALE - 19 settembre 2015
CERCA
20/21 di 76
MONDO
Il reportage.
Nove mesi fa a Kyriaki, Syriza ottenne il record di consensi:il 59%.Oggi c’è chi parla di tradimento.E nei sondaggi è testa a testa con il centrodestra di Nea Demokratia
Nel feudo di Tsipras “Siamo un po’ delusi ma rivoteremo per lui non c’è alternativa”
ETTORE LIVINI MATTEO PUCCIARELLI
DAI NOSTRI INVIATI
KYRIAKI.
«Io? Rivoterò Tsipras!». «Io pure. Il memorandum? Era inevitabile. Alexis non poteva fare di più. Ha combattuto come un leone contro la Troika. E gli ridarò fiducia ». Il comitato centrale della Stalingrado greca — riunito come ogni giorno sotto il platano che dà il nome (“O Platanos”) al suo bar di riferimento — ha emesso il verdetto. «Non possiamo nasconderle che siamo un po’ delusi. Non c’è più quell’aria elettrica e la speranza di gennaio scorso», racconta a nome dei sette pensionati seduti davanti ai bicchieri di raki l’ex-operaio siderurgico Yannis Roumeliotis. «Ma abbiamo discusso a lungo e siamo arrivati a una conclusione: alternative non ce ne sono. Sei di noi rimetteranno la croce sul simbolo di Syriza. Solo Panos, l’elettricista, vuole astenersi. Ma vedrà, domenica cambierà idea pure lui».
Se tutta la Grecia fosse come Kyriaki — il piccolo paese della Beozia ai piedi del monte Elikonas dove il partito a gennaio ha fatto il botto con il 59%, record nazionale — Alexis Tsipras potrebbe dormire tra due guanciali. Invece no. Il vento è girato: il centrodestra di Nea Demokratia è testa a testa con la sinistra nei sondaggi, il dramma dei rifugiati gonfia i consensi di Alba Dorata e tanti supporter dell’ex-premier — gelati dal tradimento delle promesse elettorali — sono pronti a disertare le urne. La prova? Il comizio di chiusura della campagna elettorale di ieri sera a Syntagma. Il cast era stellare: sul palco l’ex-premier con al fianco Pablo Iglesias (gli amici si vedono nel momento del bisogno) di Podemos. La piazza invece è rimasta mezza vuota, specie per chi ricorda quella oceanica del 25 gennaio e la folla in festa del 5 luglio, la sera del “no” al referendum.
«Dobbiamo dire tanti altri “no”», ha detto Tsipras. «No al vecchio (ovviamente Nd e gli scissionisti della Piattaforma ora alle elezioni con il cartello di Unità popolare, ndr. ) no agli oligarghi e all’Europa di Schaeuble ». «Chi poteva negoziare meglio di noi? Quale credibilità hanno gli altri?», ha continuato, invitando il blocco sociale composto da lavoratori, piccoli imprenditori, forze dell’ordine, professori e giovani a dare un nuovo e chiaro mandato a Syriza. «Non dobbiamo cedere ora allo scoraggiamento e regalare ai conservatori il terreno che abbiamo conquistato », ha concluso rivolto ai militanti scoraggiati.
È riuscito a convincerli? A giudicare dagli exit-poll informali di “O Platanos”, sì. «Qui da noi, malgrado tutto, rivincerà. E vedrà che succederà lo stesso in tutto il paese», dice convinta Heleni Georgiadis mentre fa la spesa al mini-market Loukas. Se lo dice un’elettrice ondivaga come lei c’è da darle credito. «A gennaio per la prima volta ho puntato sulla sinistra», racconta. «Al referendum ho detto “Oki”, come il 79% degli abitanti di Kyriaki. E quando Tsipras ha firmato il memorandum ho giurato a me stessa che non l’avrei più vota- to». Ora — come l’ex-premier — si è rimangiata le sue promesse: «Ho 57 anni e la vita mi ha insegnato a essere pragmatica», ammette. «Pasok e Nea Demokratia riporterebbero la Grecia al clientelismo e alla corruzione, la sinistra radicale alla dracma. Alexis invece mi pare una persona razionale e pulita. Ergo: mi turo il naso e punto di nuovo su di lui».
Il carisma del premier, ancora intatto, tira più del partito. E Syriza non a caso ha stampato migliaia di manifesti con il suo volto (e il nome della colazione defilato in basso) per provare a convincere gli indecisi — molti a sinistra — che potrebbero diventare l’ago della bilancia delle elezioni, arginando la rimonta di Nea Demokratia.
Difficile dire se basterà. La Caporetto dei negoziati con la Troika ha lasciato il segno. Christos, che ogni giorno viaggia da Kyriaki a Livadia per insegnare matematica al liceo, è sicuro che il vero salasso di consensi per Tsipras arriverà dai giovani. «Sento i discorsi dei 18enni a scuola: per loro un anno fa Alexis era un eroe, il Davide in grado di sconfiggere Golia. Ora lo giudicano un traditore che ha distrutto un sogno. E loro, vista l’età, vogliono continuare a sognare». Non succede solo a Livadia: il partito dell’ex-premier è scivolato al quarto posto nei sondaggi tra i 18-24enni, una classifica da brividi visto che in cima alla graduatoria dei consensi tra i ragazzi è balzata Alba Dorata.
«È quello che temevamo un po’ tutti», spiega Leonidas, 25enne muratore al lavoro di fianco al museo del Folklore della Beozia. Lui domenica tradirà Syriza per Unità Popolare («è più coerente»), il partito anti- memorandum nato dalla scissione a sinistra. «Ma falliti i vecchi partiti e smontata l’illusione di Tsipras — ammette — il rischio è che a beneficiarne siano i neo-nazisti». «Per fortuna nessuno chiederà i loro voti per governare », dice Yannis bevendo un ultimo Raki a “O Platanos”. «Ha visto che al comizio di Atene c’è Iglesias? Tsipras ha perso una battaglia. Ma tutte le partite hanno due tempi. E con Podemos e Jeremy Corbyn vincerà in Europa». Kyriaki, o — garantito — almeno il Syriza fan club di “O Platanos”, sarà ancora al suo fianco.
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Anche Iglesias sul palco del comizio di chiusura della campagna, ma la piazza è mezza vuota “Tutte le partite hanno due tempi. Alexis vincerà in Europa con Podemos e Corbyn” ,,
Dobbiamo dire tanti altri “no” No al vecchio, no agli oligarchi, no a Schaeuble Non dobbiamo cedere allo scoramento e regalare ai conservatori il terreno conquistato
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L’EX PREMIER
ALEXIS TSIPRAS
IL COMIZIO
Sostenitori del partito di centrosinistra Syriza in piazza Syntagma per il comizio di fine campagna elettorale dell’ex primo ministro Alexis Tsipras
LA DESTRA
Sostenitori del partito di centro destra Nea Demokratia prima del discorso preelettorale del leader Evangelos Meimarakis in piazza Omonia ad Atene

INTERVISTA A VAROUFAKIS

NAZIONALE - 19 settembre 2015
CERCA
20/21 di 76
MONDO
Varoufakis.
L’ex ministro greco ieri ha annunciato che domenica voterà per i dissidenti euroscettici di Unità popolare. In un colloquio con Salmon: “L’Europa ha perso l’integrità e l’anima”
“La Primavera di Atene ha messo a nudo la tirannia dell’Unione”
CHRISTIAN SALMON
Il sontuoso “No!” gridato da quell’incredibile 62 per cento di greci è un meraviglioso lascito di resistenza all’idiozia dell’eurolealismo e alla riluttanza dell’euroclastia. Non era un “No” all’euro. Era un “No” a un accordo all’interno dell’Eurozona insostenibile e vendicativo. La maggioranza che ha detto “No” ci stava dicendo: “Non vogliamo che ci portiate fuori dall’euro. Ma non intendiamo tollerare un’umiliante parvenza di accordo che condanna i nostri figli a una depressione permanente e a un perenne status di Paese di terza classe in Europa. E se Bruxelles-Francoforte- Berlino continueranno a minacciarci con la Grexit, allora ditegli: Andate all’inferno”. Quel “No” è stato tradito, su questo non c’è dubbio. Ma il suo spirito non è evaporato».
Dalle sue dimissioni il 6 luglio Lei sembra dire solo una cosa: “È venuto il momento delle rivoluzioni europee”. Cerca di creare “una nuova narrativa per l’Europa”, che io interpreto come “Creatività, solidarietà, democrazia”. Contro l’impotenza autoritaria delle istituzioni dobbiamo contribuire a far emergere una potenza d’azione democratica.
«Prima delle elezioni del 25 gennaio 2015, insieme ad Alexis Tsipras dicevamo al mondo che quello che sarebbe cominciato in Grecia si sarebbe esteso all’Europa. Il nostro slogan era: “Riprendiamoci la Grecia – Cambiamo l’Europa!”. Dopo la capitolazione di luglio, sono giunto alla naturale conclusione che con la Grecia sconfitta (anche se mai soggiogata) è venuto il momento di portare il messaggio della nostra Primavera di Atene, che ha già “infettato” tutti in Europa, da Helsinki a Porto, da Belfast a Creta. La Primavera di Atene ha dimostrato, anche agli europei che non erano d’accordo con il nostro governo, che tutte le decisioni importanti vengono prese da organismi che non rendono conto a nessuno, privi di trasparenza, dittatoriali, che non rispettano nessun principio di legalità, che agiscono nell’ombra, che nutrono solo disprezzo verso la democrazia. E allora i tempi sono maturi per portare il trittico della rivoluzione francese, libertà-uguaglianza- fratellanza, a livello europeo, e aggiungere a esso tolleranza-trasparenza-diversità».
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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Le decisioni vengono prese da organismi privi di trasparenza, dittatoriali,che agiscono nell’ombra
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L’EX MINISTRO GRECO
YANIS VAROUFAKIS
IGRECI domani tornano al voto per la seconda volta in nove mesi. Sono le elezioni anticipate volute dal premier Alexis Tsipras che non poteva più contare su una maggioranza in Parlamento. L’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis era già uscito dal governo il 6 luglio (tanto che ieri ha annunciato a Press project che non voterà per Syriza ma per “Unità popolare”, la neo-formazione dei dissidenti euroscettici, ndr). In questo dialogo, racconta la sua visione dell’Europa.
La crisi dei rifugiati, come la crisi greca, rappresentano due momenti parossistici di una più generale crisi dell’Ue, ed è necessario analizzarle congiuntamente, come ha detto recentemente: due facce di una stessa crisi, due sintomi acuti di una stessa malattia, il “male di sovranità” dell’Europa.
«Esattamente. Gli europei devono riuscire a comprendere la radice delle forze centrifughe che ormai da tempo stanno lacerando l’Unione Europea, toccando l’apice in questa orrenda estate del 2015 in cui prima la democrazia greca è stata stritolata (con la minaccia di un’espulsione dall’Eurozona come punizione per aver rifiutato un nuovo prestito a condizioni che ridurrebbero il Paese ancora più in miseria), e poi l’Europa non ha saputo mostrarsi all’altezza della crisi dei profughi. La radice sta nelle fondamenta stesse dell’Unione, che è stata costruita come un mastodontico cartello industriale, si è trasformata in una coalizione di banchieri, è stata gestita da una tecnocrazia incompetente che disprezza i principi della democrazia, e infine ha elaborato una sua versione di moneta unica che rispecchia la “logica” del sistema aureo vigente fra le due guerre. Una “costruzione” simile non poteva reggere. Quando ha cominciato a frammentarsi, dopo il 1929 della nostra generazione (l’implosione del 2008), gli Stati membri hanno cominciato a ripiegarsi su se stessi. Il dramma greco di luglio, che ha messo a nudo la perdita di integrità dell’Europa, e l’attuale crisi dei rifugiati, che dimostra che l’Europa ha perso la sua anima, sono il risultato di questa frammentazione. È così che interpreto la sua appropriata espressione, “male di sovranità”».
Gli Stati-nazione hanno perso la loro sovranità democratica, l’Ue non l’ha ritrovata. Siamo su un continente che vola col pilota automatico, abbandonato alla mano invisibile dei mercati… A bordo del bateau ivre , due categorie di politici litigano sulla direzione da prendere e la condotta da seguire.
«È esattamente quello che stiamo vivendo. Se posso permettermi di “correggere” leggermente la sua metafora, direi che abbiamo lanciato un battello fluviale nella vastità dell’oceano durante giornate di bonaccia. Il nostro battello è maestoso, ma non ha quello che serve per sopravvivere a un mare in tempesta. Peggio ancora: in questo spazio allegorico, quando gli elementi hanno deciso di scatenare una tempesta, la loro furia è stata proporzionale alla nostra mancanza di preparazione. E quando la tempesta è arrivata, il capitano e i suoi ufficiali hanno continuato a negare l’evidenza, insistendo che era tutta colpa dei passeggeri di terza classe (i greci, i portoghesi ecc.). Come dico spesso, la situazione in cui ci troviamo è figlia del modo stupido in cui è stata gestita una crisi inevitabile.
Da un lato i “sovranisti” chiedono che la Nazione torni in porto. Dall’altra parte ci sono i loro avversari, i “de-democratizzatori”, che raccomandano di andare al largo affindandosi alle correnti della globalizzazione. I sovranisti esigono una riterritorializzazione del potere, l’uscita dall’euro, la resurrezione delle frontiere. I de-democratizzatori vogliono abbandonare qualsiasi potere decisionale e perfino il sistema democratico, affidando la politica a esperti e mercati finanziari.
In questo dualismo si consuma il fallimento della politica. Che si è manifestato sotto una figura paradossale, l’“autoritarismo impotente”: autoritari di fronte alla Grecia, impotenti di fronte ai rifugiati.
«È proprio così. Con l’aggiunta di un altro aspetto: in questo falso scontro fra rinazionalizzatori e paladini dell’euro, le due parti si nutrono a vicenda! Concorrono insieme, ovviamente senza volerlo, al processo che genera centralizzazione autoritaria e al tempo stesso frammentazione. Le due crisi di questa estate, la crisi greca e quella dei rifugiati, lo dimostrano: gli Stati membri cercano di scaricarsi a vicenda l’onere della crisi, ponendo incessantemente una domanda avvelenata “Che ci guadagno?”; e intanto Bruxelles e Francoforte cercano di accaparrarsi, riuscendoci, altro potere arbitrario a spese degli Stati-nazione. La frammentazione centralizzata è il risultato peggiore possibile della pessima architettura dell’Europa, ma anche della reazione nazionalistica che vuole rinazionalizzare i sogni, le aspirazioni, le politiche migratorie, la politica di bilancio e così via».
Per converso, il “no” greco al referendum del 5 luglio e il movimento europeo di solidarietà verso i rifugiati rappresentano la nascita caotica di un’opinione pubblica europea, e forse l’abbozzo di una sollevazione democratica contro le istituzioni europee, che non li rappresentano più e li opprimono.

LA STAMPA OGGI
TONIA MASTROBUONI

I militanti di Alba dorata
“In Grecia siamo noi
l’unica opposizione”
Il “tradimento” delle politiche contro il rigore dell’Europa e la crisi dei profughi siriani favoriscono l’estrema destra

Tonia Mastrobuoni

La bandiera con i volti di Manolis Kapelonis e Giorgos Fountoulis occupa un piano intero del palazzo di Alba dorata, lungo una delle grandi, rumorose arterie di Atene. «Immortali» recita la scritta sotto le facce dei due militanti uccisi anni fa in un agguato, in periferia. Al pianoterra, le vetrine della sede ateniese dei neonazisti sono piene di gadget. Magliette «la Macedonia è Grecia», portachiavi a forma di croci celtiche, adesivi con rune, un asciugamano «ridiamo la Grecia ai greci». Sono le due di pomeriggio, non c’è anima viva. Dopo qualche minuto un ronzìo ci avverte che qualcuno ha aperto il pesante portone di ferro.
L’estrema destra
All’ingresso, due energumeni ci spiegano che non c’è nessuno perché i militanti sono in giro a chiudere la campagna elettorale. «Soprattutto a Kos, a Lesbo», sorridono, ammiccanti. Sono le isole che hanno fatto il giro del mondo, ridotte al collasso dalle decine di migliaia di profughi che dalla Siria o dall’Iraq arrivano in Europa. Un fallimento che sta regalando una miriade di voti ai neonazisti greci. Alba dorata, nei sondaggi, è il terzo partito greco. E nella percezione di molti, nella velocissima, sconvolgente trasformazione del quadro politico degli ultimi anni, i neonazisti rappresentano ormai l’unica opposizione. A Syntagma incontriamo Yanis, jeans e camicia; è un trentacinquenne tranquillo, lavora in un ente pubblico, abita vicino a Omonìa, quartiere ad alta densità di immigrati. Voterà Alba dorata: «gli altri sono tutti uguali, servi dell’Europa».
In pochissimi anni la Grecia ha bruciato ere politiche che altri Paesi smaltiscono in decenni. Il vecchio bipolarismo trentennale delle due «Volksparteien» di centrodestra e centrosinistra, rispettivamente Nuova Democrazia e Pasok, si è squagliato, dopo i pesantissimi sacrifici chiesti ai greci dopo il 2010. Già nel 2012 il quadro politico era sconvolto, e i greci non votavano già più secondo i criteri della destra o della sinistra, bensì secondo il principio dei partiti che si dichiaravano «pro» o «contro» l’austerità. È stata la fortuna di Alexis Tsipras: ha armato il suo micro partito contro la «vecchia partitocrazia», contro conservatori e socialisti, e ha cannibalizzato questi ultimi. Alle ultime elezioni, a gennaio, i greci hanno scelto di dargli fiducia, di sfidare l’Europa, di votare in massa per i partiti contrari all’austerità.
Le coalizioni
Il fallimento del suo governo ha rivoluzionato il quadro per la terza volta. Lo slittamento al centro, il «salto della quaglia» di Tsipras nell’odiato schieramento di partiti pro trojka ha favorito una sorta di «grande centro», dove i due maggiori, Nuova Democrazia e Pasok, si contendono lo scettro di governo - negli ultimi sondaggi sono testa a testa - ma le coalizioni sono possibili tra tutti, con tutti. Tsipras smentisce solo la possibilità di una grande coalizione con i conservatori, ma fino a gennaio avrebbe rifiutato anche solo l’idea di allearsi con il Pasok o To Potami.
Lo slittamento di tutti verso il centro tranquillizza molti, in Europa. E fanno finta di non vedere che, sull’onda della crisi economica interminabile e dell’emergenza profughi, lo scettro dell’opposizione, l’etichetta del partito anti-sistema è finito in mano ai neonazisti. Lo si capisce anche da alcuni sondaggi recenti. Tra i giovani è ormai il primo partito.

MOSCOVICI

“Scongiurato il pericolo di una Grexit
E il lavoro della troika non finirà”
Il commissario Ue Moscovici: chiunque vinca collaborerà con noi



Pierre Moscovici non teme il risultato delle urne greche: il Commissario Ue agli Affari economici è fiducioso che qualsiasi governo ne emerga, collaborerà con la troika e andrà avanti con le riforme. Il politico socialista francese vede ormai il rischio Grexit ridotto al minimo e promette che dopo le elezioni comincerà anche una discussione su come alleggerire l’immenso debito pubblico. In quest’intervista, raccolta a margine di un convegno organizzato da Eunews, Moscovici spiega anche perché la Ue sta cercando di imparare dai «fallimenti» del negoziato e perché quella di Juncker è una presidenza più politica e trasparente.
Commissario Moscovici, cosa si aspetta dalle elezioni greche? E cosa dirà ad Alexis Tsipras o a Evangelos Meimarakis, se vincono le elezioni?
«Prima delle elezioni non abbiamo da dire nulla agli elettori greci. Viviamo in Paesi democratici e la volontà degli elettori non andrebbe discussa. Ma abbiamo molta fiducia in queste elezioni. Abbiamo fiducia che, chiunque le vinca, qualunque coalizione ne emerga, formerà un governo favorevole al programma di riforme concordato con noi. Da lunedì, non appena si sarà formato il nuovo esecutivo, siamo pronti a collaborare per implementare il programma e riformare l’economia greca».
Si è ridotto il rischio di una «Grexit»?
«Ma certo. Abbiamo fatto un grande lavoro, c’è un piano di salvataggio da 86 miliardi – non sono noccioline. D’altra parte abbiamo concordato un programma che riformerà seriamente l’economia greca, in modo che diventi una vera economia dell’Eurozona».
Nei prossimi mesi discuterete anche una riduzione del debito greco?
«Sì. Un taglio del debito non è sul tavolo, ma cominceremo una discussione su come ristrutturarlo. E sono fiducioso che il Fmi resterà “a bordo”».
Quali sono stati gli errori dell’Europa nella crisi greca?
«È vero: 17 riunioni dell’Eurogruppo sono un record di cui non possiamo andare fieri. La crisi greca ha rivelato alcuni fallimenti del processo decisionale. Tuttavia, dettaglio importante, lo abbiamo capito tutti».
E cosa farete?
«Abbiamo bisogno di una governance migliore, più democratica, più legittimata, più efficiente. Per questo è così importante riformare l’Eurozona. Se avessimo raggiunto prima un accordo con la Grecia, ad esempio a marzo, il costo sarebbe stato inferiore e la situazione economica sarebbe stata migliore. Abbiamo bisogno di strutture più forti, più efficienti, ecco perché mi batto per un presidente dell’Eurogruppo più forte, che faccia parte della Commissione e che assuma il ruolo di ministro delle Finanze in Europa, per il bilancio e il tesoro».
Il livello intergovernativo sembra prevalere sempre, lo abbiamo visto nel caso della Grecia ma anche nel dramma dei rifugiati, dove l’iniziativa sulle quote vincolanti di Juncker non è stata discussa seriamente finché non l’hanno rilanciata, di recente, Germania e Francia...
«Io non contrapporrei il metodo intergovernativo e quello comunitario. La Commissione ha il monopolio dell’iniziativa ed è importante che si mostri capace di assolvere ai suoi compiti, di guidare. Questa Commissione ha assunto pienamente il suo ruolo politico. Il Parlamento garantisce il controllo democratico, il Consiglio europeo garantisce la legittimità degli Stati membri. Nessuno dovrebbe contare più degli altri».
C’è l’impressione generale che questa sia una Commissione più politica anche nella crisi greca. Juncker è stato molto attivo - tanto che a Berlino qualcuno nutriva il sospetto che stesse aiutando i greci persino a scrivere le proposte...
«Durante la precedente Commissione, i negoziati con la Grecia si svolgevano in segreto. Il contraccolpo politico di procedure percepite da molti come la negazione della democrazia è stato talmente forte che il presidente Juncker si è impegnato a sostituirle in futuro “con strutture più legittime, dal punto di vista democratico”. Ci siamo sganciati dalla prassi precedente: il presidente è stato fortemente coinvolto nel negoziato e io insisto nel voler apparire in Parlamento, col vicepresidente Dombrovskis, per aggiornare i parlamentari europei sulle trattative».

[t. mas.]


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CORRIERE DI OGGI
MARCO IMARISIO
DAL NOSTRO INVIATO ATENE «Qual è la vera posta in gioco?» Alexis Tsipras sembra quasi sorpreso dalla domanda. Il sorriso sulle labbra si increspa in una specie di smorfia. «La mia testa», risponde dandosi una manata sul capo. Ridono tutti, tranne lui, che saluta con gentilezza, stringe mani, posa per un paio di selfie e intanto risale verso la strada dove è atteso dalla scorta.
Il «Six Dogs» è un locale al centro di Monastiraki, il quartiere della movida ateniese, un bar dallo stile trasandato ma per finta, panche e sedie di legno in un bel giardino sormontato dalle facciate di palazzi fatiscenti. La visita di saluto ai ragazzi del movimento giovanile di Syriza non è certo una sorpresa, fu così anche prima del voto di gennaio, e anche la scaramanzia conta. Ma da allora sono cambiate molte cose, a cominciare da un entusiasmo evaporato con il brusco richiamo alla realtà del terzo memorandum.
Tsipras maschera la stanchezza aggirandosi per i tavoli, ne cambia uno ogni dieci minuti e ogni volta parla con la scioltezza di chi si sente a casa. L’ottovolante della sua prima esperienza di governo, la tensione di questi mesi cruciali per lui, la Grecia e l’Europa, hanno lasciato segni evidenti. Il girovita è diventato importante, l’herpes sul labbro lo accompagna ormai dalla fine dell’estate. «E’ ormai il mio portafortuna», scherza con i giovani che lo guardano con reverenza. Non è giorno di grandi dichiarazioni, vigilia delle urne e quindi silenzio elettorale da rispettare. Ma l’atmosfera informale consente qualche strappo alla regola. «Non rimpiangerò mai la scelta di aver convocato le elezioni. Era un passo necessario dopo tutto quel che è successo».
All’epoca il rischio sembrava calcolato con cura, ma di recente i conti sembravano non tornare più. «Vi stupite dei miei sorrisi, ma forse sono dovuti al fatto che non prendo sul serio i sondaggi», dice sornione. In realtà gli ultimi rilevamenti si sono nuovamente allineati al suo ottimismo ostentato, restituendogli quel vantaggio di 4-5 punti percentuali sui rivali di Nea Demokratia che sembrava perso nelle ultime settimane. Quando riconosce alcuni giornalisti italiani si lascia andare a una battuta niente male sull’adorazione che la sua figura attira oltre confine. «Se andassi alle elezioni in Italia probabilmente otterrei risultati migliori che qui in Grecia» .
E’ come se queste elezioni fossero il seguito scontato e non riuscito di un film con lo stesso protagonista, logorato dallo scorrere del tempo e dagli eventi. L’emotività dell’estate ha lasciato posto a una disillusione diffusa. A gennaio votò il 65 per cento della popolazione, oggi l’affluenza viene data in ribasso, come l’umore del Paese. All’estero queste elezioni sono percepite come una faccenda di politica interna che non prevede svolte epocali, dato che il vincitore dovrà comunque recitare il canovaccio imposto da Bruxelles. In Grecia somigliano a un referendum su Tsipras, sulla sua capacità di costruire una sinistra di governo e di farsi carico da sinistra degli oneri imposti dalla crisi e da Bruxelles.
«E’ l’unico ad avere coraggio in questo Paese». Eleftheria Angeli lo sussurra guardando l’uomo per il quale ha girato Atene e l’Attica , dieci ore al giorno per trenta giorni, gratis. Ha 25 anni, una laurea in Scienze e ancora fiducia nel futuro. «Certo, non è più come prima. Noi di Syriza ci siamo divisi, a luglio abbiamo perso una battaglia importante. Ma c’è ancora una guerra da combattere. E non possiamo lasciare la guida a chi c’era prima».
In una campagna elettorale giocata sulla contrapposizione tra il vecchio e un nuovo che forse non appare più tale, l’assenza più vistosa è stata proprio quella di Syriza, intesa come partito. La trasformazione di Tsipras non corrisponde a quella della sua creatura politica, ancora aggrappata a strutture e massimalismi del secolo scorso, con molti al suo interno ad augurarsi in segreto una sconfitta che consenta il ritorno alle origini barricadere. Anche per questo Tsipras non ha riso alla sua battuta sulla posta in gioco. Non era una facezia, era la verità.
Marco Imarisio

M.IMA
DAL NOSTRO INVIATO ATENE Neppure le olive e gli stuzzichini placano l’ira funesta della terribile Zoe. La campagna elettorale è ormai finita, quel che doveva essere è stato, c’è solo da aspettare. Lei invece non si dà pace. «Questo voto è una pulizia etnica nei confronti di chi è contrario al terzo memorandum». È appena entrata nel ristorante sopra il quartiere di Exarchia dove abita e dove spesso cena, ma l’unico alimento che vorrebbe mettere sotto i denti si chiama Alexis Tsipras. «In questo preciso istante, con elezioni convocate di fretta, si distrugge la democrazia in Grecia. La colpa è soltanto sua».
L’avvocato Zoe Konstantopoulou, 39 anni, è l’ultima presidente del Parlamento greco, posizione dalla quale ha opposto fiera resistenza all’approvazione del terzo memorandum imposto e accettato dal suo ormai ex amico Tsipras. La conseguenza dell’ostruzionismo estivo e di un dissenso gridato a gran voce è stata l’abbandono di Syriza e l’approdo a Unità popolare con annessa candidatura. L’unica figura conosciuta del partito nato dalla scissione interna è la figlia del partigiano Nikkòs, fondatore di Synapsismos, l’antenato di Syriza.
La sua fama è dovuta soprattutto a un «tremendismo» in servizio permanente ed effettivo, come dimostra l’improvvisato comizio tenuto prima di cena, dove ha risposto alle domande degli altri clienti continuando ogni volta a battere il pugno sul tavolo. Uno sfogo sincero. A sinistra la ferita è ancora aperta, eccome. «Per quale motivo Tsipras non ha mai parlato dei risultati ottenuti dalla Commissione sul debito greco che lui stesso aveva voluto?». La domanda è retorica, ci pensa lei a rispondere. «Diceva di cercare soluzioni alternative ma non ha mai davvero considerato un piano B, che invece non solo era possibile ma doveroso. Ci ha tradito, ma facendolo ha tradito anche gli ideali con cui è cresciuto». Le viene chiesto se c’era proprio bisogno della scissione. La risposta è un esercizio di ferocia. «Syriza in greco significa coalizione, ma in una coalizione si decide insieme. Alexis è andato dritto per la sua strada, senza tenere conto della sfiducia del Comitato centrale. Non era più casa nostra, quella, ma solo l’abitazione privata del premier».
La ragione del fascino che Konstantopoulou esercita su molti suoi connazionali di sinistra appare chiara anche in questa sede poco istituzionale. Nessun compromesso, mai, e molta intensità. Unità popolare viene accreditata di un 3-4% che dovrebbe consentirle l’ingresso in Parlamento e togliere a Syriza i voti necessari alla maggioranza assoluta. «Anche Angela Merkel ha gioito per queste elezioni, che si svolgono con il pieno sostegno dei debitori. Il Sistema ha come unico programma la realizzazione del memorandum. Non mi importa se toglieremo voti a Syriza. Ormai sono tutti uguali. Nel prossimo Parlamento solo noi saremo contro le riforme volute da Bruxelles». Sempre se ci arrivate, osa aggiungere un commensale. «Il tempo ci darà ragione» è la replica secca. All’incauto contestatore viene comunque risparmiata la vita. Ma solo perché la cena di Zoe è ormai servita in tavola .
M. Ima.

FUBINI
U n paio di anni fa un teenager di nome Stavros Tsompanidis, al secondo anno di Economia all’università del Pireo, andò a un incontro pubblico in cui si parlava di alghe. In una nazione fallita come la Grecia sono un enorme problema. Per tenere pulite le spiagge e non allontanare i turisti, ogni municipalità deve trovare i soldi per raccogliere decine di tonnellate di alghe tutti gli anni, per poi bruciarle nelle discariche.
Tsompanidis, figlio di un consulente finanziario rimasto disoccupato nella crisi, uscì dall’incontro folgorato. «Ho provato qualcosa che non saprei descrivere, un’energia dentro di me. Mi sono detto: Stavros, provaci, il viaggio vale la pena anche se non arrivi». A 19 anni gli era venuta un’idea: farsi consegnare le alghe dalle municipalità, portarle in un laboratorio, trattarle con resine naturali e trasformarle in un materiale innovativo adatto a molti usi: occhiali, mobili, rivestimenti, interni degli yacht. Due anni dopo, Tsompanidis ha appena vinto una gara per un finanziamento dell’Unione Europea e, seduto a un caffè vicino alla zecca di Atene, si gira nelle mani un pezzo del suo materiale lucido, elegante. Che dalla zecca di Atene un giorno escano banconote diverse da quelle in euro gli sembra impensabile. Ma stasera Stavros non si siederà alla televisione per sapere chi ha vinto le elezioni: è troppo occupato a sviluppare il suo prodotto, perché lui fa parte della «generazione zero».
La Grecia che oggi elegge il quinto governo in sei anni, e ha perso più di un quarto del suo reddito, è piena di ragazzi così: decisi a partire da zero. Giovani così totalmente certi di non poter contare per il proprio futuro sulla famiglia, sullo Stato, sui «salvataggi» europei o su un mitico ritorno alla dracma, che nemmeno ne parlano più. Non hanno più tempo. «Ho capito che la sola cosa da fare era prendere in mano la situazione e fare da solo», dice Stavros Tsompanidis.
Il modo più diretto per farlo, come sempre, è andarsene. Ma dopo cinque anni di caos, anche la migrazione sta diventando un processo più sofisticato. In un venerdì sera di campagna elettorale ad Atene la sede di un’agenzia chiamata Global, un appartamento al terzo piano di un viale di periferia, è gremita di studenti. Vengono qui per l’esame più duro: il Gmat, un test internazionale di comprensione logica, quantitativa e analisi di testi complessi in inglese. Passare con un punteggio elevato apre le porte delle migliori scuole di business negli Stati Uniti o delle grandi multinazionali. I corsi preparatori costano 800 euro, l’iscrizione all’esame altri 200, dunque fallire non è più un’opzione accettabile. Eleftheria Mertiri dell’isola di Salamina, il cui padre è disoccupato da cinque anni, lo ha ben chiaro. Da mesi non smette di prepararsi: «Non mi basta passare — dice —. Ho bisogno di un punteggio sopra quota 700 su 800 per sperare in una borsa di studio, che mi permetta di entrare in una grande business school».
Non per tutti nella generazione zero la porta di uscita dalla Grecia è la soluzione più attraente. La pressione sociale di giovani istruiti e affamati di una chance ha raggiunto livelli tali che si sta sfogando in una proliferazione di start-up, imprese innovative nate dal nulla. Di recente l’agenzia Thomson-Reuters ha definito Atene «un microcosmo di Silicon Valley», con 400 nuove aziende del genere. Quella di maggiore successo, una piattaforma di analisi dei dati chiamata BugSense, è stata comprata da un gruppo di San Francisco e da allora ha creato «Zero Fund»: un sistema — il nome dice tutto — per pagare la bolletta della connessione in rete alle altre start-up di Atene.
Per loro l’ambasciata olandese ha aperto uno spazio in cui mette a disposizione Internet, consigli di esperti, presentazioni all’estero e denaro per i progetti migliori. È l’incubatore «Orange Grove». È lì che una ragazza di 29 anni di nome Katerina Exakoustidiou si è presentata con un’idea maturata quando, due anni fa, ha iniziato a cercare un piano nel caso avesse perso il suo lavoro in una società di consulenza. La sua proposta si basava su una semplice osservazione: un check-up medico, una chirurgia plastica o una fecondazione in vitro ad Atene costano la metà che a Londra o negli Stati Uniti, ma qui ci sono anche l’Acropoli e le spiagge. Poteva offrire pacchetti turistici completi, inclusa la tappa dai medici. Exakoustidiou ha iniziato a farsi pubblicità su Facebook, su Twitter o sui blog, e in pochi mesi ha già attratto una decina di clienti dall’estero. Ma è inutile chiederle per chi voterà stasera: «Non credo più ai politici. Voglio restare nell’euro, il resto non fa differenza», è il suo commento.
Una Grecia in cui socialisti e democristiani distribuivano agli elettori persino i posti nel settore privato, ha generato un terribile collasso e una nuova generazione che non cerca neanche di rimettere a posto le stesse, vecchie macerie. Le vuole solo rimuovere. Angel Paidas a 34 anni ha creato una start-up che analizza milioni di dati sulle competizioni sportive e vende i risultati agli scommettitori. «Come mi è venuto in mente? I tempi di crisi sono anche una buona occasione — dice —. Vedi le cose in modo diverso, devi farti venire delle idee »

FUBINI IERI INTERVISTA A MEIMARAKIS
DAL NOSTRO INVIATO Atene Vangelis Meimarakis a 62 anni si sta giocando l’occasione che neanche lui avrebbe mai immaginato di poter avere. Avvocato nato a Creta ma ben introdotto da decenni nelle élite che hanno portato la Grecia al collasso, ex presidente del Parlamento, in luglio è stato nominato leader di transizione di Nea Demokratia nel momento più duro: i conservatori avevano perso il referendum sull’accordo con l’Europa ed erano screditati come mai prima. Oggi invece, in questa campagna elettorale fulminea, Nea Demokratia è data da quasi tutti i sondaggi testa a testa con Syriza, il partito della sinistra radicale. L’incedere semplice e pacato di Meimarakis tranquillizza i ceti medi, o ciò che ne resta, più delle sbandate di Alexis Tsipras. Domenica in Grecia si vota e in questi ultimi giorni di campagna ogni secondo conta per Meimarakis: al punto di accettare in questa intervista solo poche domande, ma non quelle sul ruolo del suo partito nella corruzione e nella crisi del Paese.
Solo poche settimane fa Nea Demokratia sembrava alle corde. Di recente invece alcuni sondaggi l’hanno data persino in testa. Che è successo?
«È successo che la realtà inizia a farsi sentire. L’incoscienza di Tsipras e di Syriza hanno portato la Grecia al limite estremo del collasso. Da quando ha assunto il potere, Tsipras e Syriza hanno prodotto solo caos nell’economia e divisioni sociali. Tsipras ha sprecato tempo prezioso e ha fatto perdere alla Grecia miliardi di euro. Quel che è troppo, è troppo».
Ma qual è la sua proposta di governo?
«La popolazione greca è semplicemente esausta da mesi e anni di turbolenza e polarizzazione. I greci adesso vogliono stabilità e unità nazionale. Chiedono una leadership responsabile che possa fornire questi beni essenziali. E vogliono anche un premier che possa assicurare il posto del loro Paese in Europa, non una fuoriuscita. Vogliono un governo che porti il Paese in avanti e noi risponderemo a questa richiesta».
Dall’Italia molti hanno sostenuto Tsipras. Come se lo spiega?
«Vorrei solo dire una cosa: il risultato di queste elezioni è importante anche per i nostri vicini. Un altro governo di Syriza avrebbe gravi conseguenze per i Paesi confinanti, in particolare l’Italia, il nostro vicino mediterraneo più importante a cui storicamente ci lega una grande amicizia».
Non è stato lei, ma Tsipras, a firmare il terzo programma di aiuti contro riforme. Se domenica lei vince, cercherà di rinegoziarlo a Bruxelles o si impegna ad applicarlo?
«La sventatezza di Tsipras e di Syriza sono la vera causa del terzo salvataggio. Se avessero agito in modo più responsabile, la Grecia non sarebbe arrivata alla situazione estrema in cui si è trovata. Tsipras e Syriza hanno portato il Paese sull’orlo della catastrofe. Il risultato è che non avevamo altra scelta se non di sostenere il terzo pacchetto di aiuti per salvare il Paese dalla gestione disastrosa del premier e assicurarci un futuro in Europa. A questo punto dobbiamo avviare l’attuazione del programma e, dove possibile, anche proporre misure diverse, che siano più giuste per la popolazione. Soprattutto, ora alla Grecia serve stabilità. Ci impegniamo a lavorare con i partner europei per questo».
Perdoni, ma non è chiaro: lei dice che Tsipras è un irresponsabile, ma anche che è disposto a formare un governo con lui. Può spiegare?
«La mia posizione è chiara a tutti i greci e a chiunque in Europa. Sono pronto a formare un governo di unità nazionale con tutti i partiti pro-europei. Questo significa con tutti i partiti che si sono impegnati a mantenere la Grecia nell’euro. Sono anche disposto a cooperare con Syriza. Il mio atteggiamento è inclusivo, non ho problemi a rivolgermi all’altro lato del Parlamento. La Grecia ha davanti a sé una strada molto difficile, più che mai ha bisogno di unità nazionale e di consenso. Per il bene superiore del Paese, la situazione richiede di mettere l’interesse nazionale sopra l’interesse immediato di partito».
Tsipras però dice che non intende allearsi con voi. Come lo convincerà?
«Tsipras purtroppo continua a non capire. Continua a parlare e ad agire contro l’interesse nazionale. Sta continuando la stessa vecchia retorica, la stessa vecchia politica della divisione e della polarizzazione: quella che ha caratterizzato i suoi mesi da primo ministro ».