Rocco Moliterni, La Stampa 20/9/2015, 20 settembre 2015
Duecento giorni sul Monte Athos per cercare i colori della fede A Torino gli scatti del greco Stratos Kalafatis sui luoghi dei monaci ortodossi “Ho imparato ad avere pazienza, lassù il tempo funziona diversamente” Rocco Moliterni «Sul Monte Athos non nascono uomini
Duecento giorni sul Monte Athos per cercare i colori della fede A Torino gli scatti del greco Stratos Kalafatis sui luoghi dei monaci ortodossi “Ho imparato ad avere pazienza, lassù il tempo funziona diversamente” Rocco Moliterni «Sul Monte Athos non nascono uomini. Ci arrivano per fede, per bisogno, per curiosità, per attrazione o per disperazione. Vengono iniziati all’ascetismo e intraprendono, con rassegnazione, una marcia verso la morte il cui traguardo è un posto nell’ossario del convento. La stessa storia secolare, in cui il testimone passa, senza distinzioni, dall’abate all’anziano e dal monaco al novizio, poiché il monachesimo si guadagna, non si eredita». Così il fotografo greco Stratos Kalafatis introduce ai protagonisti della sua mostra «Athos. I colori della fede» che si apre oggi pomeriggio a Palazzo Saluzzo Paesana, nell’ambito di Torino Spiritualità. «Per me - prosegue - il Monte Athos è sempre stato un luogo di grande fascino, come lo è per tutti i ragazzi di Salonicco. Ma l’ho scoperto davvero solo quando un mio amico ha aperto lì una scuola. Da allora, ed era il 2008, ci sono tornato 25 volte e ci ho passato più di duecento giorni e notti». Viaggi realizzati con mezzi di trasporto di ogni sorta, in barca, col mulo o a piedi. «Non ci sono strade, solo sentieri polverosi i cui tornanti ti riservano l’imprevedibile. E da lì cominciano percorsi segreti che portano a monasteri, eremitaggi, celle, pozzi e grotte; a piccoli ritiri e veri eremiti. Fotografare i monaci è quasi una sfida, perché non sempre sono disponibili». Eremiti e tablet Una sfida che Stratos, uno dei fotografi più famosi del suo Paese (ha anche rappresentato alcuni anni fa la Grecia alla Biennale di Venezia) ha vinto, come dimostrano le 120 immagini a colori per lo più di grande formato («Ho usato solo una Hasselblad analogica, per questo sono quadrate») che permettono di entrare nei più celebri santuari della spiritualità ortodossa. In questi luoghi anche ai non monaci, con i dovuti permessi, è possibile accedere. Non però alle donne: «Il Monte - ricorda Afrodite Oikonomidu, con Enrico Debandi curatrice dell’esposizione - è dedicato a Maria Vergine, che secondo un leggenda sarebbe approdata da queste parti con san Giovanni dopo la morte di Cristo. Per questo le donne non vi sono ammesse. L’unica eccezione fu per la madre di Maometto II, il sultano che nel 1453 conquistò Bisanzio, capitale del cristianesimo d’Oriente: consent ai monaci di rimanere nei loro conventi, chiese solo che sua madre potesse visitare il Monte Athos». Su questa impervia penisola allungata sul Mare Egeo, fin dal VI secolo si stabilirono eremiti. Poi a poco a poco sorsero i monasteri, oggi quasi una ventina, con monaci di provenienza diversa, dai greci ai serbi, dai bulgari ai russi. Non tutti rispettano le stesse regole: «C’è chi vive - dice Kalafatis - ancora in vero eremitaggio come nei primi secoli della cristianità, e chi invece usa tablet e cellulari per comunicare con il resto del mondo». Kalafatis ci porta all’interno delle loro celle, fotografa i giovani novizi (colpiscono un monaco cinese e uno congolese) e gli anziani (magari li sorprende davanti a un tacchino), gli allievi delle scuole e le guardie che in costume tradizionale sorvegliano il Monte. Si sofferma nella trápeza, la mensa, ci mostra i piatti strabordanti di pesce, gli affreschi alle pareti che sovente rimandano a scene dell’Apocalisse di Giovanni, riprende alle prime luci dell’alba grandi monasteri e piccoli eremitaggi. La prima regola Una serie di immagini sono dedicate alle croci che si trovano sulle pareti o che con uno strano gioco di luce si creano sul pavimento di una cella. Il suo sguardo talora è colpito dalle geometrie di un luogo, talaltra dai lineamenti di un volto giovanile che gli consente di realizzare alcuni scatti che sembrano ritratti rinascimentali. Cosa gli ha insegnato quest’esperienza? «Soprattutto ad avere pazienza. Il tempo sul Monte Athos funziona diversamente, ha una sua strana logica. Ignora le nostre ansie di cittadini frettolosi, confonde le lancette degli orologi, si perde nei secoli. Questa è stata la prima regola che ho imparato». D’altronde sul Monte, oltre a seguire il calendario giuliano, si segue anche l’ora bizantina, per cui il pranzo principale della giornata è alle nove del mattino che corrispondono al nostro mezzogiorno. La sera in genere si digiuna. «Ma è proprio la sera - conclude Kalafatis - che ci si riunisce nelle celle di questo o quel monaco e si discute di tutto. Ho ancora nelle memoria il fascino di quelle discussioni interminabili».